La Voce 5

Il terreno è fertile, la nostra tattica non è ancora assestata

lunedì 10 luglio 2000.
 

Quali sono nel breve periodo le possibilità di sviluppo per la nostra causa?

Anche alcuni compagni che non hanno dubbi sul fatto che sta montando una nuova ondata della rivoluzione proletaria, dopo quella della prima metà del secolo scorso, non danno oggi una risposta chiara e giusta a questa domanda e tanto meno valutano chiaramente e giustamente, in modo concreto e pratico, quali sono le possibilità attuali e immediate del nostro sviluppo. Questo si ripercuote negativamente sul nostro lavoro. Questi compagni collocano lo sviluppo delle nostre forze nella nebbia dei tempi, trascurano le attuali concrete possibilità di sviluppare il nostro lavoro e ai loro occhi tutto il nostro lavoro consiste negli sforzi volonterosi di alcuni compagni che “si sacrificano per il futuro”.

Il primo passo per dare un risposta chiara e giusta alla domanda posta all’inizio dell’articolo è comprendere la posizione attuale delle varie classi delle masse popolari del nostro paese: la loro posizione oggettiva (i loro interessi) e il loro stato d’animo attuali e come essi vanno modificandosi.

• Quanto alla posizione oggettiva delle varie classi delle masse popolari, noi sottoscriviamo ancora oggi quello che era detto, nel 1990, nel n. 7 della rivista Rapporti Sociali che trascriviamo qui di seguito per i nostri lettori più giovani. “A partire dagli anni ‘70 il movimento economico e politico delle società imperialiste ha reso sempre meno compatibili con il resto degli ordinamenti sociali gli istituti la cui combinazione costituiva il “capitalismo dal volto umano”: misure di regolazione dell’iniziativa economica individuale dei capitalisti e di limitazione dei suoi effetti più distruttivi, piena occupazione, reddito minimo garantito, assistenza sanitaria gratuita, accesso gratuito all’istruzione, sistema generale di sicurezza sociale, estensione dei diritti individuali e collettivi dei lavoratori sui posti di lavoro, ecc.

Man mano che ciò avveniva, davanti a queste società si sono aperte due strade possibili:

- smantellare gli istituti del “capitalismo dal volto umano”, ove necessario dopo averli trasformati dall’interno nel loro contrario o averne sabotato il funzionamento al punto da coalizzare le forze necessarie al loro smantellamento e alla repressione delle forze che continuano a difenderli;

- estendere gli istituti del “capitalismo dal volto umano” ed eliminare gli altri istituti della società borghese incompatibili con la permanenza di quelli (la proprietà individuale delle principali forze produttive, il libero mercato, le libere professioni, le organizzazioni politiche pubbliche e segrete dei capitalisti, l’estraneità della massa dei lavoratori alla direzione della società, la direzione dei capitalisti sull’apparato statale), adottare tutte le misure necessarie per rendere tutte le istituzioni della società coerenti con essi, costituirli in un sistema organico e coerente di nuova società, reprimere le forze che si opponevano a queste misure o le sabotavano: ossia compiere la rivoluzione socialista. Il proletariato per mantenere quello che ha conquistato, deve conquistare e assumere la direzione dell’intera società.

La lotta tra le due vie è il substrato delle politiche in corso e quindi la discriminante tra le forze politiche delle due classi antagoniste. Ciò che invece è diventato oggettivamente impossibile (e quindi politicamente perdente) è il mantenimento della situazione esistente: conservare gli istituti del “capitalismo dal volto umano” già acquisiti e mantenere immutato il resto della società. Da qui l’inevitabile tramonto della via riformista e il passaggio dei suoi sostenitori ad uno dei due fronti che soli hanno possibilità di successo” ( Rapporti Sociali n. 7, maggio 1990, pag. 16, nota 1).

A dieci anni di distanza non possiamo che constatare che il corso delle cose ha completamente confermato quanto era già evidente nel ‘90. La situazione è andata molto avanti. Quello che manca nella citazione che abbiamo trascritto è un chiaro richiamo al carattere mondiale del processo che ha coinvolto anche i paesi coloniali e gran parte dei paesi già socialisti, allo sviluppo delle contraddizioni, in ogni paese e a livello internazionale, tra gruppi e Stati imperialisti e all’influsso della situazione internazionale sulla situazione di ogni paese.

La citazione che abbiamo riportato dice che lo sviluppo della nostra causa è una delle due vie possibili su cui può istradarsi il nostro paese, una delle sole due vie possibili. Quindi lo sviluppo della nostra causa non è fatale perché è possibile anche un’altra via, ma è possibile. Non dice astrattamente che lo sviluppo della nostra causa è uno dei due soli programmi e progetti politici ragionevoli e realistici, ma dice anche che le grandi masse della popolazione, milioni e milioni di uomini e di donne, possono incanalarsi sulla strada che noi indichiamo. Possono: quindi concretamente vi si incanaleranno, ma solo se le forze politiche promotrici della mobilitazione rivoluzionaria delle masse saranno all’altezza del loro compito. Ovviamente padroni e responsabili delle nostre capacità siamo noi stessi: dipendono dalla concezione del mondo e dalla linea che seguiamo, dall’organizzazione che ci diamo, dal metodo che adottiamo per conoscere e agire.

• Quanto allo stato d’animo attuale delle masse popolari, vi è un istruttivo avvenimento recente che ce lo mostra su grande scala e conferma le mille osservazioni e i mille dati raccolti per altra via. Le elezioni regionali del 16 aprile hanno offerto elementi su grande scala per comprendere lo stato d’animo delle masse popolari del nostro paese. (1)

Questi elementi confermano l’osservazione diretta e gli elementi forniti da altri punti di osservazione dello stato d’animo e dell’orientamento delle masse. In sintesi il risultato è che le masse popolari abbandonano l’esistente regime politico e che con rapidità ancora maggiore abbandonano le loro illusioni nei partiti conservatori (Centro-Sinistra) e riformisti (PRC).

Alle elezioni regionali del 2000 ben 11.3 milioni di adulti non sono andati a votare. Astenuti cronici, abituali? Certamente non tutti. Gli astenuti sono stati 3.5 milioni più che nelle regionali del ‘95 e 6 milioni più che nelle regionali del ‘90: sicuramente questi non sono astenuti abituali. Questi dati si riferiscono ad un periodo omogeneo della storia del paese: quello della putrefazione del regime DC. Riguardano solo gli elettori delle regioni a statuto ordinario (41.5 milioni di adulti su 48): quindi a livello dell’intero paese le cifre date e quelle che seguono devono essere maggiorate.

Un altro dato importante è che le perdite di elettori riguardano entrambi gli schieramenti: rispetto al ‘95 il blocco dei reazionari (il blocco della destra: Polo più Lega) ha perso 1.1 milioni di elettori e il blocco dei conservatori e dei riformisti (il blocco della sinistra borghese: Centro-Sinistra più Rifondazione) ha perso 2.4 milioni di elettori. La destra ha vinto solo perché ha perso di meno!

Nel blocco della sinistra borghese i DS hanno perso il 23% dei loro elettori del ‘95 (1.5 milioni in meno) e PRC(Bertinotti) più PDCI(Cossutta) sommati (nelle regionali del ‘95 erano ancora insieme) hanno perso il 16% dei loro elettori (350.000 in meno).

Quindi i dati elettorali confermano e quantificano il distacco complessivo delle masse dall’attuale regime e in particolare il distacco dall’ala conservatrice (DS e il Centro-Sinistra) e riformista (Rifondazione) del regime. L’ala reazionaria (Polo e Lega) perde seguaci, ma più lentamente.

Un altro risultato importante: le elezioni confermano anche questa volta che il PDCI (nato nell’ottobre ‘98 da una scissione del PRC favorevole ai governi Prodi e D’Alema) ha tra gli elettori un seguito (28% della somma dei voti andati a PDCI più Rifondazione) minore di quello che Cossutta raccolse al momento della scissione nel gruppo parlamentare (58%), tra i consiglieri regionali (52%) e nel partito (33%). Questo conferma quello che avevano dimostrato anche le elezioni politiche del ‘96 confrontate con la scissione a favore del governo Dini subita dal PRC nel ‘95: il PRC come partito è più a destra del suo elettorato e fa eleggere in parlamento e nei consigli regionali persone ancora più a destra del partito. Il PRC è cioè uno strumento della subordinazione delle masse popolari alla borghesia imperialista. Tutti i lamenti del tipo: “Noi vorremmo fare, ma le masse non ci seguono” che ogni tanto si alzano dalle file del PRC, sono clamorosamente smentiti ancora una volta.

Questi risultati elettorali, convalidati da osservazioni raccolte per altra via, 1. confermano la crisi politica del regime (putrefazione del regime DC), il crescente isolamento del regime dalle masse; confermano che una parte già importante e crescente della popolazione non ha fiducia in questo regime, in nessuna delle sue espressioni politiche; 2. smentiscono la tesi, continuamente da più parti riproposta come luogo comune, che le masse popolari sarebbero cloroformizzate dalla propaganda del regime (governativa, berlusconiana o vaticana); 3. smentiscono la tesi avanzata da alcune FSRS (tipicamente da Iniziativa Comunista) che la ricostruzione del partito comunista e in generale la mobilitazione rivoluzionaria delle masse sarebbero impedite dall’influenza dei riformisti sulle masse: l’influenza dei riformisti sulle masse declina rapidamente, 350.000 adulti in meno rispetto al ‘96 a favore dei riformisti dichiarati e più di 2 milioni in meno per il blocco borghese conservatore che in Italia, per la storia particolare dei DS e della sinistra DC, raccoglie voti anche da illusioni riformiste. (2)

Quindi lo stato d’animo delle masse popolari, che compongono il 90% degli elettori, (3) è quanto meno ostile all’attuale ordinamento sociale e quindi, a determinate condizioni, favorevole alla lotta contro di esso, per la sua sostituzione. Persino tra la borghesia imperialista prende sempre più piede la convinzione che è necessaria una generale riorganizzazione della società: anche questo fatto conferma e avvalora la nostra conclusione.

È però evidente che nel corso degli ultimi dieci anni la raccolta, la formazione e l’accumulazione delle forze rivoluzionarie nel nostro paese non ha fatto quantitativamente grandi passi avanti, nonostante il distacco delle masse popolari dal regime confermato anche dai risultati elettorali che abbiamo indicato. (4)

In conclusione i risultati elettorali confermano la crisi dell’attuale regime politico, confermano che si forma una massa crescente della popolazione che non ha né speranze né illusioni di potersi salvare con l’attuale regime. Si forma quindi, principalmente per effetto dell’andamento oggettivo, spontaneo della società borghese, un terreno fertile per il nostro lavoro di raccolta, formazione e accumulazione delle forze rivoluzionarie. Ma proprio questo rende non più eludibile per ogni compagno con i piedi per terra la questione: perché la raccolta, la formazione e l’accumulazione delle forze rivoluzionarie non procede o procede così lentamente? (5) Come affrontiamo noi comunisti il fatto inconfutabile che milioni di uomini e donne hanno abbandonato, almeno in parte, le loro illusioni nell’attuale ordinamento sociale?

Le difficoltà che noi comunisti incontriamo nella raccolta, formazione ed accumulazione delle forze rivoluzionarie nella attuale situazione dei paesi imperialisti sono principalmente dovute alla nostra arretratezza: arretratezza della nostra comprensione della situazione o arretratezza della nostra organizzazione o entrambe. La situazione concreta offre già oggi grandi possibilità di sviluppo del movimento comunista nei paesi imperialisti.

Non è vero che il proletariato e le masse popolari dei paesi imperialisti sono stabilmente e solidamente nelle mani dei riformisti. Al contrario le masse popolari abbandonano i partiti riformisti da quando questi non riescono più a guidarle alla conquista di riforme favorevoli alle masse popolari e tutta la sinistra borghese è in liquidazione.

Essenzialmente la confusione diffusa nel nostro campo circa le possibilità di sviluppo nel breve periodo delle nostre forze nella situazione attuale e su quale azione esso richiede da parte nostra, deriva dal non aver compreso la natura della crisi generale del capitalismo e dal non aver fatto un giusto bilancio dell’esperienza del movimento comunista. Chi non ha una buona comprensione della crisi generale del capitalismo, non riesce a comprendere i concreti sviluppi della situazione rivoluzionaria che essa genera, non coglie le possibilità di sviluppo delle nostre forze che in essa si creano, non adatta i metodi di lavoro e in generale la tattica alla situazione concreta. (6) Chi non ha fatto un giusto bilancio dell’esperienza del movimento comunista, non va oltre i limiti che già durante la prima crisi generale del capitalismo hanno impedito ai partiti comunisti di accumulare nei paesi imperialisti forze rivoluzionarie in misura sufficiente a raggiungere la vittoria anche in questi paesi. (7)

È vero invece che se i comunisti non svolgeranno nei paesi imperialisti un’attività all’altezza della situazione e non svilupperanno la mobilitazione rivoluzionaria delle masse, le masse popolari dei paesi imperialisti saranno inevitabilmente coinvolte nella mobilitazione reazionaria che i gruppi imperialisti certamente cercheranno di sviluppare. Gli attuali regimi hanno il tempo contato: se non saranno sostituiti dalla mobilitazione rivoluzionaria delle masse lo saranno dalla mobilitazione reazionaria delle masse.

In ogni paese imperialista, a parte i problemi specifici del movimento politico del paese, i comunisti devono porre fine per quanto li riguarda alla confusione delle concezioni e dei programmi e regolare i conti col revisionismo moderno che ha portato nelle nostre file una interpretazione borghese delle novità del mondo. A questo fine e in via preliminare devono regolare i conti col dogmatismo che non vuole sentir parlare delle novità del mondo e di fatto non difende i principi del movimento comunismo, ma difende e conserva l’arretratezza del movimento comunista. Essi devono porre fine alle esitazioni e costituire in ogni paese imperialista partiti marxisti-lninisti-maoisti liberi dl controllo della borghesia (clandestini) e da questa base condurre un ampio lavoro aperto tra le masse popolari, in primo luogo tra la classe operaia di cui il partito comunista grazie al suo lavoro deve diventare l’avanguardia organizzata.

Quanto al nostro paese, a impedire che il nostro lavoro proceda più celermente sono la confusione di concezioni, di obiettivi e di programmi che domina nelle file delle FSRS che si propongono di ricostruire il partito comunista e la dispersione organizzativa e di iniziative che quella confusione mantiene. Oggi le attività indispensabili e principali sono l’elaborazione del Manifesto Programma del (nuovo)Partito comunista italiano e la costruzione delle organizzazioni di partito che lo propagandano e lo mettono in pratica. Nel nostro paese esiste già un ampio e fertile terreno per chi porterà in porto con successo questa attività. È l’arretratezza delle FSRS che rende modesti i loro successi. Ma proprio per questo il nostro successo dipende principalmente da noi. L’iniziativa per sviluppare la nostra causa è nelle nostre mani.

Al lavoro, compagni, per costruire il (nuovo)Partito comunista italiano!


 


NOTE

 

1. Per un’analisi più dettagliata dei risultati delle elezioni regionali tenute il 16 aprile e dei principali insegnamenti che se ne devono ricavare rimandiamo al n. 6 (giugno) di Resistenza , il foglio dei CARC e all’articolo in esso pubblicato Il risultato più importante delle elezioni di aprile .

 

2. È chiaro che la nostra analisi delle elezioni regionali di aprile è grossolana (come lo è anche quella di Resistenza ), perché basata su grandi aggregati: non tiene conto che nuovi elettori hanno sostituito quelli morti, che vi sono stati certamente anche passaggi di elettori da un blocco borghese all’altro, che gli andamenti sono certamente diversi per classi, per aree geografiche e per età, ecc. Farebbe cosa molto utile la FSRS che misurasse l’analisi e gli insegnamenti qui esposti da noi (e quelli esposti da Resistenza ) su dati più analitici, calati in casi particolari, delle elezioni di aprile e sulla serie storica dei risultati di elezioni (omogenee) del periodo della putrefazione del regime DC (grossomodo gli ultimi dieci anni). Noi non abbiamo potuto disporre di un assieme sistematico di dati più analitici per fare il lavoro necessario. I pochi dati più analitici di cui abbiamo potuto disporre confermano però la nostra analisi e gli insegnamenti che ne abbiamo tratto.

Un altro lavoro utile, che proponiamo a quei nostri lettori che hanno gli strumenti e le attitudini necessari, è quello di misurare l’analisi e gli insegnamenti qui esposti sui risultati delle elezioni tenute negli anni recenti in altri paesi imperialisti, in particolare europei.

 

3. Si veda l’analisi della composizione di classe della popolazione italiana esposta nel Progetto di Manifesto Programma del nuovo partito comunista italiano , pag. 89.

 

4. In proposito i risultati elettorali già indicati offrono anche un altro insegnamento che tutti quelli che hanno testa per ragionare dovranno tenere presente. Anche se contiamo solo gli ultimi dieci anni, il numero degli astenuti è aumentato (abbiamo visto i risultati delle elezioni regionali, ma l’andamento delle elezioni politiche ‘92, ‘94 e ‘96 è analogo e tutto fa pensare che le prossime politiche lo confermeranno). Quelli che attribuiscono virtù taumaturgiche all’astensione (gli astensionisti di principio e tutti gli anarchici) hanno così modo di constatare che di per sé l’astensione non sposta a favore delle masse popolari il rapporto delle forze, non è sinonimo di accumulazione di forze rivoluzionarie. L’astensione è il sintomo della crisi dell’attuale regime politico della borghesia imperialista; non dà una soluzione della crisi, tanto meno una soluzione favorevole alle masse popolari. L’aumento delle astensioni smentisce gli astensionisti di principio. “Se nessuno andasse a votare ...” è il loro motto; ma la realtà mostra che la conclusione della frase è “di per sé non cambierebbe nulla”.

 

5. Segnaliamo che la redazione della rivista Rapporti Sociali aveva posto all’inizio del passato decennio una domanda simile: “Da dove vengono le difficoltà che le forze soggettive della rivoluzione socialista incontrano nello sviluppo nel nostro paese (e negli altri paesi dell’Europa occidentale)?” ( Per il marxismo-leninismo-maoismo. Per il maoismo in Rapporti Sociali n. 9/10, settembre 1991). La domanda era più generica, ma soprattutto allora era più generica la risposta, conforme allo stadio più arretrato in cui si trovava allora il lavoro di ricostruzione del partito comunista. Esso era essenzialmente ancora nella fase della riappropriazione del patrimonio del movimento comunista: della sua concezione del mondo e del suo metodo di conoscenza e di azione.

 

6. L’esposizione più sistematica della teoria della crisi generale del capitalismo è data in Rapporti Sociali n. 17/18, autunno 1996, Per il dibattito sulla causa e sulla natura della crisi attuale . I dogmatici si accontentano di ripetere che Lenin e Stalin hanno già spiegato tutto quello che c’è da spiegare sulla crisi e sull’imperialismo. Il resto è "deviazione dai principi".

 

7. I principali limiti del vecchio movimento comunista sono indicati in La Voce n. 2, nell’articolo Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista: le conquiste e i limiti . I dogmatici si accontentano di ripetere che il revisionismo è sorto e ha trionfato perché i revisionisti hanno tradito i principi del marxismo-leninismo. Il resto è "deviazione dai principi".