5 - L’indipendenza reale dai riformisti e dalla borghesia di sinistra

Una riflessione per le FSRS che vanno al seguito di Bertinotti e del circo Prodi
sabato 19 marzo 2005.
 
Con le riforme che le masse popolari strappano alla borghesia, la classe dominante cerca di adescare le masse e mantenere il potere. Cede qualcosa per mantenersi in sella, per conservare l’essenziale. Ciò vale per ogni riforma, comunque sia concepita e formulata. Le idee, i propositi, le intenzioni, le espressioni e le parole non cambiano i fatti.

Per il partito riformista la riforma quando arriva è la vittoria: vittoria definitiva e totale della sua “guerra”. Per il partito comunista che, combattendo per le riforme, ha conservato la sua indipendenza politica dai riformisti, la riforma quando arriva è una battaglia vinta. A quel punto il partito rivoluzionario ha conquistato una posizione più avanzata da cui continuare la guerra. Il partito comunista che non ha conservato la sua indipendenza politica dai riformisti, si trova invece “esaurito”. Anche se un numero più o meno ampio dei suoi membri e dirigenti in cuor loro hanno coltivato il proposito di andare oltre. Anche se ora vorrebbero andare oltre la riforma. L’indipendenza formale (organizzativa) del partito dai riformisti viene nella realtà smentita. La reale dipendenza politica impone di forza i suoi diritti. Il partito si trova esaurito. Le forze mobilitate e organizzate sotto la sua bandiera, ovviamente sulla base della sua posizione politica (e non dei propositi reconditi di alcuni dirigenti e membri), non sono preparate, né adatte né capaci, per affrontare la nuova fase della lotta politica. È un fenomeno ripetutamente osservato nel corso della vita dei “sindacati alternativi”-“partiti economicisti”. Allora quei dirigenti e membri che si credevano comunisti, devono ricominciare daccapo a mobilitare e organizzare: un lavoro di Sisifo. Il corollario è che il comunista incoerente e senza fiducia nelle capacità rivoluzionarie delle masse, istruito seppur confusamente dall’esperienza, teme in cuor suo la vittoria della battaglia in corso per la riforma del momento: sa che con la vittoria della battaglia l’esercito che ha mobilitato e organizzato si dissolverà. Questo timore recondito sminuisce la determinazione con cui conduce la battaglia in corso. Fa di lui un combattente irresoluto. Al contrario il comunista rivoluzionario coerente e aperto, è un combattente risoluto e determinato per la riforma. Per lui la vittoria della battaglia per la riforma è la conquista di una posizione più avanzata e più forte nella guerra che sta conducendo. Conquistata questa posizione migliore, i comunisti prepareranno o lanceranno, più forti di prima, le nuove battaglie. Per ognuna di esse si avvarranno certamente anche di forze ausiliarie, disponibili solo per quella specifica battaglia (forze di rivoluzionari incoerenti e di riformisti). I rivoluzionari incoerenti e i riformisti sono così per i rivoluzionari non dei nemici, ma degli alleati provvisori, delle truppe ausiliarie di cui si avvalgono per quello che esse possono dare. Gli elementi migliori che l’esperienza della battaglia forma in queste truppe ausiliarie, sono attratti dal rivoluzionario coerente e aperto. Prima o poi almeno una parte di essi si unirà al corpo principale dell’esercito rivoluzionario. Così i rivoluzionari incoerenti e i riformisti anziché da nemici funzioneranno, lo vogliano o meno non importa, ne siano o meno consapevoli non importa, come agenti (uffici) di reclutamento per il partito coerentemente rivoluzionario. Durante l’ascesa della rivoluzione, vi è un passaggio graduale o per salti degli elementi migliori dai gruppi e partiti indecisi, riformisti, ecc. ai partiti rivoluzionari. Al contrario, il comunista che non conserva la sua indipendenza, tratta gli opportunisti e gli altri incoerenti come nemici, addirittura come nemici principali. È settario e dogmatico. Oscilla tra sudditanza e settarismo.

Tutto ciò perché il partito rivoluzionario è ideologicamente e politicamente indipendente. Mantiene sempre la sua indipendenza politica. Questa a sua volta può essere mantenuta con continuità solo se egli è indipendente anche ideologicamente dai riformisti e se resiste bene all’influenza della borghesia.

La maggior parte dei partiti socialdemocratici della II Internazionale, in ogni caso tutti quelli dei maggiori paesi imperialisti con l’eccezione della Russia, coltivarono l’indipendenza organizzativa (“formale”) del proletariato. Essa si concretizzava nel partito socialdemocratico con le sue organizzazioni di massa (sindacati, cooperative, organizzazioni culturali, ricreative e sportive, ecc.). Ma non seppero mantenere e alcuni neppure raggiunsero mai l’indipendenza politica dalla borghesia riformista. Strati rivoluzionari della borghesia e proletariato si confusero nella democrazia rivoluzionaria, come se fossero una sola cosa. In questa condizioni le riforme funzionarono come esca della borghesia per imbrigliare le masse popolari. Mancando la comprensione della differenza tra la rivoluzione democratica e quella socialista, gli obiettivi democratici non erano presentati sotto il loro aspetto effettivamente democratico e rivoluzionario, come risultato della mobilitazione delle masse, della loro crescita intellettuale, morale e organizzativa. Quindi oggettivamente si lasciò la porta aperta perché funzionassero come esca con cui la classe dominante ostacolò lo sviluppo delle masse. Gli obiettivi comunisti erano espressi con la confusione propria della concezione democratica borghese: quindi non forgiarono un partito veramente rivoluzionario e comunista. Ne risultarono parole d’ordine non sufficientemente rivoluzionarie per il democratico e imperdonabilmente confuse per il comunista.

La rivoluzione borghese dell’Europa Occidentale è terminata nel 1848 con un compromesso tra la borghesia e le vecchie classi reazionarie contro la classe operaia: Cavaignac e Napoleone III a Parigi, l’impero e Bismark a Berlino, Cavour in Italia, Andrassy in Ungheria. Nei partiti della II Internazionale dominò la confusione tra compiti democratici e compiti comunisti, tra completamento della rivoluzione democratica e rivoluzione socialista. La dipendenza dei partiti socialdemocratici dalla borghesia riformista fu dovuta alla mancanza di una lotta aperta tra le due linee (quella marxista e quella economicista, rivendicativa, sindacalista), alla mancanza di un metodo di lavoro basato sulla critica e autocritica, alla mancanza di una concezione giusta della situazione e dei compiti politici (distinzione tra completamento della rivoluzione democratica e rivoluzione socialista, alla confusione tra marxismo dogmatico (Kautsky è il rappresentante più famoso e tipico) e materialismo dialettico: il revisionismo (Bernstein, Sorel) e il marxismo dogmatico (Kautsky) erano le concezioni dominanti.

La borghesia dei paesi dell’Europa Occidentale per combattere contro l’assolutismo era stata costretta dovunque a risvegliare la coscienza politica del popolo, tentando al tempo stesso di seminare nella classe operaia i semi delle teorie borghesi. Per il movimento comunista però in generale fu utile che la borghesia si rivolgesse al popolo. Facendolo, ha fornito il materiale che ha destato l’interesse delle masse per la lotta politica e ha educato alla lotta politica masse così arretrate e così vaste che sarebbe stato impossibile ai comunisti raggiungerle direttamente con la loro agitazione. Che la borghesia desti pure le masse alla lotta politica: noi semineremo instancabilmente il seme comunista sul terreno che essa ara. Il clero che si dà a promettere il paradiso in terra oltre al paradiso celeste (preti operai, teologia della liberazione e movimenti affini), apre la strada al comunista. Appena si sente al sicuro dal comunismo, la borghesia lo reprime, come Woityla in Nicaragua.

Noi attualmente possiamo giovarci sia dell’opera della borghesia reazionaria che cerca di mobilitare una parte delle masse contro un’altra facendo leva sulle ristrettezze e difficoltà che il suo sistema causa, sia dell’opera della borghesia riformista che cerca di mobilitare le masse facendo leva sulle loro aspirazioni progressiste che immancabilmente deluderà e facendo promesse che immancabilmente tradirà.

Il nostro compito è 1. trarre vantaggio dal lavoro di agitazione che la borghesia compie, compreso quello contro le conquiste del passato che, dirette dalla borghesia e rimaste in un contesto borghese, sono effettivamente diventate una cosa marcia, miserevole e abbietta e 2. illuminare instancabilmente la classe operaia sui suoi obiettivi comunisti, sull’inconciliabile contrasto esistente tra i suoi interessi e gli interessi della borghesia.

La borghesia dei maggiori paesi dell’Europa Occidentale ha avuto successo nella sua opera di corruzione dei partiti comunisti (socialisti), aiutata da vari fattori. L’espansione imperialista nel resto del mondo (esportazione dei capitali e spartizione del resto del mondo tra le potenze europee). L’assorbimento nella borghesia dei resti delle vecchie classi reazionarie (tramite il capitale finanziario e la classe dei rentiers, tramite l’espansione coloniale con cui apriva loro “orizzonti di gloria” come ufficiali, missionari, esploratori e amministratori coloniali). L’assoggettamento e lo sfruttamento di una massa di lavoratori senza una loro diretta e completa proletarizzazione (monopoli, capitale finanziario, regolamentazione pubblica). La creazione di una massa di impiegati pubblici (pubblica amministrazione) e privati a cui per molto tempo assicurò un trattamento privilegiato rispetto ai lavoratori manuali. Ma la causa principale del suo successo è stata la difficoltà che la classe operaia ha incontrato nel creare la sua indipendenza ideologica e politica dalla borghesia. La chiave del problema sta nei dirigenti dei partiti socialdemocratici dell’Europa Occidentale. Mancanza di strategia vuol dire mancanza di indipendenza politica. I partiti socialdemocratici condussero la loro attività senza indipendenza politica dalla borghesia riformista, a rimorchio della borghesia riformista. Quando non c’è un vero partito comunista, gli opportunisti e i riformisti sono a rimorchio della borghesia di sinistra (dei riformisti borghesi). Questa è a rimorchio della borghesia conservatrice e reazionaria (monarchica, clericale, militarista, guerrafondaia, colonialista, sanguinaria). Questa era la catena che legava i partiti socialisti al carro della borghesia conservatrice e reazionaria. L’esistenza di questa catena rimase nascosta per alcuni decenni - i decenni di pace sociale che vanno dal 1871 al 1914 - sotto il fogliame del verbalismo rivoluzionario (alla Mussolini, alla Jaurès, alla Risoluzione di Basilea 1912, ecc.), del dogmatismo marxista (alla Kautsky, alla Plekhanov, ecc.), dell’entusiasmo per l’“azione dal basso” (alla Luxemburg, ecc.) e dell’attività sindacale e culturale. Divenne palese nel 1914 quando gli avvenimenti politici posero all’ordine del giorno l’azione anche dall’alto e le assegnarono il compito principale. I partiti socialdemocratici si trovarono con le mani e i piedi legati al carro della borghesia imperialista e lasciarono allo sbando le masse che dovevano dirigere all’insurrezione (come a Basilea nel 1912 avevano giurato di fare).

Miriam M.