La Voce 16

SUL SECONDO FRONTE DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA

sabato 15 maggio 2004.
 

La questione della via che dobbiamo seguire, nell’ambito delta presente situazione rivoluzionaria in sviluppo e della seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo, per arrivare a fare dell’Italia un nuovo paese socialista è una questione della massima importanza. È ovvio e necessario che ogni comunista degno di questo nome se ne occupi seriamente. Occuparsi o no seriamente di questa questione è anzi un indizio importante della serietà con cui un compagno che si dichiara comunista lo è effettivamente diventato. Il comunismo cessa di essere in un compagno un’aspirazione più o meno vaga esposta senza difese ad influenze da ogni lato e diventa azione politica e condotta di vita, nella misura in cui egli si preoccupa di avere una visione chiara di come la classe operaia e le masse popolari avanzeranno verso la conquista del potere (l’instaurazione del socialismo, l’instaurazione della dittatura del proletariato sono espressioni che indicano la stessa cosa) e di cosa deve quindi fare ogni comunista e i comunisti nel loro insieme (quindi il partito comunista) per guidarla a compiere quanto necessario, per svolgere il proprio ruolo di avanguardia. A sua volta il partito deve progettare e condurre tutta la sua attività corrente e attuale (la sua tattica) in conformità alla via alla rivoluzione socialista che bisogna seguire e in particolare deve dare ad ogni suo membro una comprensione chiara circa la via da seguire: comprensione che deve ispirare l’azione di ogni membro e costituisce il quadro che permette lo sviluppo pratico ed efficace delta sua iniziativa e della sua creatività. Ogni membro del partito riesce ad avere iniziativa, ad essere creativo in modo costruttivo, a non disperdersi in iniziative inutili, a cogliere occasioni e spunti che la sua situazione concreta presenta e a farti confluire nell’orbita dell’attività del partito, tanto più quanto più chiara e ricca è la conoscenza e comprensione che egli ha non solo dei suoi compiti immediati e diretti, ma anche del percorso generale che il partito sta promuovendo, di quello che il partito sta compiendo sulla base delta divisione del lavoro tra i suoi organismi e i suoi membri, di quello che il partito sta preparando e di quello che il partito farà domani e dopodomani.

Quindi la via alla rivoluzione socialista non è qualcosa che riguarda il futuro. È qualcosa che orienta tutto il nostro lavoro attuale. Lavorare oggi senza un’ipotesi su cosa dovremo fare domani e dopodomani, vuol dire che oggi lavoriamo male, alla cieca.

La via alla rivoluzione socialista non è qualcosa che il partito inventa, ma qualcosa che il partito scopre elaborando l’esperienza passata del movimento comunista nazionale e internazionale e facendo un’attenta analisi del movimento presente e delle sue tendenze.

La via alla rivoluzione socialista non è un segreto custodito dai capi del partito, anche se il partito è clandestino. Al contrario permea tutto il programma e le linee d’azione del partito, è il frutto del concorso di tutti i suoi membri, è quanto più possibile patrimonio di tutti i suoi membri, è oggetto della sua propaganda. Anche se non è direttamente il programma di ogni singola fase né la parola d’ordine che lanciamo in ogni circostanza e su cui uniamo le masse e le guidiamo all’azione. La propaganda e il perseguimento pratico della via al socialismo (della strategia) non sostituisce la linea di massa, ma guida la sua applicazione, permette di individuare la sinistra e di guidarne l’azione. Un compagno che propaganda la guerra popolare rivoluzionaria in ogni riunione, è un compagno che non segue la linea di massa. Un compagno che, nell’individuare la sinistra e guidarla nell’azione, in ogni concreta circostanza non lo fa in coerenza con lo sviluppo della guerra popolare rivoluzionaria e ai fini del suo sviluppo, lavora per obiettivi che non sono quelli del partito.

Infine la via alla rivoluzione socialista non è un dogma fissato una volta per tutte. È una guida per l’azione ed è soggetta a verifica: dobbiamo essere pronti a cambiarla se la nostra analisi si rivela sbagliata o se sopravvengono nella realtà avvenimenti che sconvolgono il quadro di riferimento su cui ci eravamo basati.

Fatte queste premesse che dobbiamo avere ben chiare, quale è la via alla instaurazione del socialismo nel nostro paese? Gli articoli di Nicola P. (Lotta politica rivoluzionaria e lotte rivendicative) nel n. 14 di La Voce e quello di Ernesto V. (Politica rivoluzionaria) nel n. 15 hanno ripreso, sintetizzato e sviluppato molte delle concezioni che abbiamo elaborato in proposito nel corso del lavoro oramai pluriennale di ricostruzione del partito. In particolare l’articolo di Ernesto V. indica con chiarezza i "tre fronti di lotta" contro la borghesia sui quali il partito deve combinare l’impegno per avanzare nell’accumulazione delle forze rivoluzionarie che è il compito principale di questa prima fase, della fase strategicamente difensiva, della guerra popolare rivoluzionaria:

1.  resistenza del partito comunista alla repressione che la borghesia conduce contro di esso;

2.  intervento delle masse popolari guidate dal partito comunista nella lotta politica che si svolge tra i gruppi imperialisti;

3.  promuovere, organizzare e dirigere le lotte rivendicative degli operai e del resto dette masse popolari contro i singoli padroni, contro le associazioni padronali e contro il toro Stato. Per andare verso il socialismo e la seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria (quella dell’equilibrio strategico) dobbiamo avanzare nella lotta su ognuno di questi tre fronti e combinare il lavoro su questi tre fronti.

Per quanto riguarda il secondo fronte, esso non comprende solo la partecipazione alle elezioni, al Parlamento e alle altre assemblee elettive, ma anche le dimostrazioni di propaganda e di forza nelle strade e nette piazze, gli scioperi politici, le campagne di orientamento e mobilitazione dell’opinione pubblica e la combinazione di tutte queste forme di lotta. Si tratta di sfruttare tutte le forme di aggregazione, di mobilitazione e di lotta che il concreto sistema politico borghese del nostro paese presenta, a cui le masse popolari si sono assuefatte e a cui esse in larga misura e in un modo o nell’altro partecipano, che noi lo si voglia o no. Di sfruttarle beninteso per costituire il più vasto schieramento possibile di classi e di forze politiche attorno alla classe operaia e al suo partito comunista, per acuire i contrasti nella borghesia e dividerla e per arrivare tramite questo alla guerra civile in condizioni favorevoli alla vittoria del campo della masse popolari.

Questo fine esclude ad esempio, in questa fase, una tattica come quella praticata per anni dal Partito comunista d’Italia m-l (Nuova Unità). "Non disperdere voti", quindi votare per i revisionisti fu la consegna che diresse la sua tattica elettorale. Il che concretamente volle dire privarsi di uno strumento utile a rafforzare l’organizzazione rivoluzionaria e il suo legame con le masse, allo scopo di evitare che i revisionisti moderni disponessero di meno deputati in Parlamento per imbrogliare le masse e condurre il movimento comunista alla rovina. La linea del "voto utile" (a una composizione "più di sinistra" delle assemblee elettive) implicava la rassegnazione allo stato attuale delle cose e la fiducia nelle riforme che dovevano venire dal Parlamento e dalle assemblee elettive. Era la linea del "meno peggio" che condusse al peggio. Volle dire rilasciare ai revisionisti moderni e ai riformisti la patente immeritata di migliori campioni a favore delle conquiste delle masse popolari. Al contrario noi dobbiamo già oggi anche nelle elezioni e nel lavoro nelle assemblee elettive porre in primo piano la ricostruzione e il rafforzamento del partito. Un delegato che lavora nelle assemblee elettive secondo la linea del partito rafforza il lavoro complessivo del partito e inoltre obbliga decine di sedicenti "amici del popolo" a fare quello che di per sé non farebbero. Una campagna elettorale sulle parole d’ordine del partito, e tanto meglio se ne ricaviamo alcuni eletti (per pochi che siano) che lavorano secondo la linea del partito, è incommensurabilmente più importante per le sorti immediate e future delle masse popolari che qualche eletto "di sinistra" in più o in meno.

Altro esempio negativo di lavoro su questo fronte è il comportamento del PRC dopo l’uccisione di Giuliani il 20 luglio 2001 e il tentativo di colpo di mano del governo Berlusconi a Genova. Le proteste di piazza montavano in tutta Italia. Il colpo di mano tentato dalla banda Berlusconi appena insediata al governo le si rivoltava contro. Un vero partito comunista doveva sviluppare tutte le sue iniziative, ivi compresa l’azione parlamentare, per aumentare la mobilitazione delle masse fino a costringere la borghesia a licenziare il governo Berlusconi. Invece il PRC spostò il centro detto scontro in Parlamento e contribuì così con l’azione parlamentare a trarre d’impaccio il governo Berlusconi e il "camerata Fini" che a Genova aveva diretto l’operazione e a soffocare il movimento di piazza.

Il fine che dobbiamo perseguire con la lotta su questo fronte implica che la nostra attenzione sia in ogni ambiente popolare rivolta principalmente a mobilitare e orientare la sinistra, non a cercare di convincere la destra con "proposte ragionevoli", cioè con proposte compatibili con l’ordinamento esistente, nella speranza di allargare il nostro successo elettorale, e tanto meno a cercare l’unità con la borghesia a scapito della mobilitazione e degli interessi delle masse popolari.

Sarà la sinistra che poi in ogni ambiente provvederà, col "linguaggio" proprio di quell’ambiente, a unire a sé il centro e a isolare la destra. Nelle campagne elettorali l’efficacia della "linea di massa" come metodo di lavoro dei comunisti è immediatamente verificabile: il successo è strettamente legato alla mobilitazione che il partito riesce a determinare nella sinistra.

A causa dell’uso riformista, contro la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari che i revisionisti moderni hanno per decenni fatto dell’intervento nella lotta politica delta società borghese, il secondo fronte è oggi particolarmente "malfamato" tra i comunisti e l’esperienza di come condurre su questo fronte una lotta a favore delta rivoluzione socialista è praticamente nulla. I revisionisti moderni hanno propagandato per decenni la "via parlamentare al socialismo", la "via elettorale al socialismo", la "via pacifica e democratica" al socialismo. Essi hanno ridotto tutta la lotta politica del partito alla partecipazione alla vita politica borghese, a fare l’ala sinistra dello schieramento politico borghese, fino a fare del partito sedicente comunista il portavoce politico della borghesia di sinistra. La partecipazione alla vita politica borghese è diventata così se non la principale comunque una delle principali vie di corruzione e di disgregazione del partito. È quindi più che comprensibile che molti compagni siano diffidenti se non francamente ostili alla partecipazione alla lotta politica della società borghese. È inoltre inevitabile che nei primi passi che facciamo su questo fronte commettiamo molti errori: impareremo passo dopo passo anche dai nostri errori, con la critica, l’autocritica e la trasformazione.

Ma a ben guardare tutte le obiezioni che si avanzano contro la partecipazione alla lotta politica della società borghese si possono avanzare anche contro la partecipazione alle lotte rivendicative e in particolare all’attività sindacale. L’esperienza di un lavoro rivoluzionario (non a parole, ma per gli effetti che produce: quindi oggi principalmente per il contributo che dà alla costruzione del partito clandestino) sul secondo fronte è quasi nulla, ma altrettanto lo è l’esperienza di un simile lavoro sul terzo fronte. La questione è che il secondo come il terzo fronte sono stati entrambi usati dai revisionisti moderni e dalla borghesia come strumento di liquidazione della politica rivoluzionaria, di corruzione e disgregazione del partito comunista e delle sue organizzazioni di massa. Le vicende degli anni ’70 ci hanno dei resto mostrato su grande scala che nemmeno impugnare le armi preserva dalla corruzione e dalla disgregazione. La garanzia sta solo nella concezione con cui il partito si guida e nella linea che esso segue.

La concezione e la linea che i revisionisti moderni hanno imposto al partito comunista erano sbagliate. nel partito la sinistra ha subito la loro imposizione a causa dei suoi limiti di concezione e di analisi. Questi e non altro le hanno impedito di dare soluzioni rivoluzionarie ai problemi che lo sviluppo della prima ondata della rivoluzione proletaria aveva posto all’ordine del giorno e quindi di fronteggiare vittoriosamente la destra.

La concezione e la linea dei revisionisti hanno permeato ogni forma di attività del partito e delle sue organizzazioni di massa. Hanno fatto di ognuna di esse un veicolo di corruzione e di disgregazione. Buttare queste forme di attività perché il revisionismo le ha usate contro la rivoluzione, è eludere il vero problema che consiste nel superare quei limiti di concezione e di analisi che sono stati così dannosi al movimento comunista. Contemporaneamente è dimenticare quanto queste forme di attività sono servite al movimento comunista quando i partiti comunisti avevano una concezione e una linea giuste. Chi non assimila e usa a fondo l’esperienza del vecchio movimento comunista, del tutto spontaneamente non si cura di superare i limiti che ne hanno impedito la continuazione e quindi non rompe abbastanza a fondo con il revisionismo moderno: la storia del movimento marxista-leninista conferma pienamente questa tesi. Buttare queste forme di attività significa privarci di strumenti di aggregazione, di mobilitazione, di formazione e di verifica.

I voti che il partito raccoglie nelle elezioni, tramite liste in qualche modo collegate al partito, sono un indice di quanto è avanzato il lavoro di raccolta della classe operaia e delle masse popolari attorno al partito, di quanto in questo o quell’ambiente la sinistra aderisce al partito e riesce a unire a sé il centro. Ma soprattutto la partecipazione alle campagne elettorali è un ottimo strumento, che la borghesia a causa delle sue proprie contraddizioni ci mette a disposizione, per propagandare su grande scala la nostra concezione, i nostri obiettivi, la nostra analisi della situazione e la nostra linea e per formare i nostri compagni a farlo con efficacia. Si tratta ovviamente però di partecipare alle campagne elettorali per realizzare i nostri obiettivi, di usare la partecipazione al Parlamento e alle altre assemblee elettive per i nostri scopi e non per quelli che la borghesia assegna loro. Un partito che non è capace di condurre una campagna elettorale efficace, che non è capace di mandare suoi esponenti in un Parlamento senza che si corrompano o si facciano abbindolare, certamente non è ancora un partito che riesce a guidare con successo una guerra popolare rivoluzionaria. Non è ritirandoci dal mondo che lo trasformeremo, ma partecipando con la nostra concezione e la nostra linea e per realizzare i nostri obiettivi a ogni movimento o iniziativa a cui nell’attuale società partecipano le masse popolari. Ovunque vi sono masse popolari, in linea di massima c’è un terreno favorevole per noi, se abbiamo una linea giusta. La posta in gioco è conquistare la direzione delle masse popolari, conquistare il loro cuore e la loro mente onde dirigere le loro azioni. La borghesia cerca di mantenerle soggette: tranquille o mobilitate contro altre masse popolari (mobilitazione reazionaria). Noi abbiamo il compito di mobilitarle a emanciparsi dalla borghesia imperialista e instaurare il socialismo. Certo in questa lotta per la direzione la borghesia si avvale degli strumenti del potere che detiene e della forza della millenaria tradizione di oppressione, ma noi ci avvaliamo degli interessi delle masse popolari e della loro esperienza, nonché delle contraddizioni insanabili dell’ordinamento borghese.

Forse che condurre una guerra popolare rivoluzionaria e partecipare alla lotta politica della società borghese sono cose tra loro incompatibili? Forse che è incompatibile la clandestinità del partito e la sua partecipazione alla lotta politica della società borghese? Lasciamo alla borghesia il problema. Avrà le sue difficoltà a risolverlo e noi sfrutteremo ognuna delle sue difficoltà. Parteciperemo finché e dovunque potremo partecipare. Appoggeremo tutti quelli che saranno colpiti dalle misure che essa prenderà per escluderci: le "operazioni chirurgiche" in politica esistono solo sulla carta. Per la borghesia escluderci sarà tanto più difficile e tanto più necessario quanto maggiore sarà il nostro tegame con le masse popolari. Partecipare alla lotta politica della società borghese fa parte di quella libertà d’azione che il partito comunista conquista proprio perché è clandestino, perché è in condizione di vivere e operare liberamente dalle costrizioni e dalle pressioni della borghesia, perché è rivoluzionario.

Anche nel lavoro sul secondo fronte la prima Internazionale Comunista ci fornisce un’esperienza molto ricca. Caduta l’illusione che lo sfacelo prodotto dalla prima Guerra Mondiale e la ribellione delle masse contro di esso portassero direttamente all’instaurazione della dittatura del proletariato, saltando il periodo di accumulazione delle forze rivoluzionarie che Engels aveva giustamente indicato e che solo in Russia era stato fatto, (1) i partiti comunisti dei paesi imperialisti si inserirono attivamente nella lotta politica tra i gruppi imperialisti seguendo le indicazioni riassunte da Lenin nell’opuscolo L’estremismo, malattia infantile del comunismo (1919). Prima con la linea del fronte unico della classe operaia tracciata alla fine del 1921, poi con la linea del governo operaio (o del governo operaio e contadino) tracciata alla fine del ’22, infine con la linea del fronte popolare antifascista tracciata alla fine del 1934. (2) Nel corso della prima crisi generale del capitalismo, in Germania ("governi operai" della Turingia e della Sassonia nel 1923), in Austria, in Francia (governo del fronte popolare 1936-1937 e Resistenza 1940-1945), in Italia (Resistenza 1943-1945) e in Spagna (governo del fronte popolare 1936-1939) le sezioni nazionali della IC si inserirono nella lotta politica della società borghese, manovrarono tra e contro le frazioni della borghesia, guidarono le masse popolari che seguivano la direzione del partito a schierarsi e operare nelle contraddizioni della politica borghese e a costruire un ampio fronte. E ciò in modo tale da arrivare alla guerra civile o alla soglia della guerra civile in condizioni favorevoli al campo delle masse popolari. Il successo della partecipazione del partito alla lotta politica della società borghese fu tale che la borghesia o prese la strada della guerra civile o lo avrebbe fatto se il partito non avesse fatto fare marcia indietro alle masse.

Nell’attuazione pratica di queste linee generali fatta dai partiti della IC nei paesi imperialisti emergono però anche i limiti che impedirono la vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti durante fa prima ondata della rivoluzione proletaria.

Il principale limite fu che i partiti non erano nel complesso preparati al fatto che la politica che essi stavano conducendo non avrebbe condotto direttamente al socialismo, ma avrebbe portato prima o poi la borghesia a scatenare la guerra civile. Quando fu chiaro che così succedeva, o fecero marcia indietro (come in Germania, in Francia nel ’36, nel ’47 in Francia e in Italia) o affrontarono La guerra civile con grande eroismo (come in Spagna nel 36, nel ’40 in Francia e nel ’43 in Italia) ma impreparati ideologicamente, politicamente e organizzativamente. (3) Insomma con la loro partecipazione alla lotta politica del regime borghese contribuivano a precipitarne la crisi fino alla guerra civile, ma non erano concretamente preparati a prendere la direzione delle masse popolari nella guerra civile. Un partito che non si prepara ai compiti che la sua attività di oggi, domani o dopodomani gli porrà, quasi certamente va incontro o a una disfatta rovinosa benché eroica e fruttuosa o a una ritirata vergognosa e liquidatoria.

Qualcosa di analogo si verificò anche a livello internazionale. Il movimento comunista, che allora era una potenza mondiale, seppe manovrare bene tra i gruppi imperialisti e riuscì a impedire che Hitler realizzasse il suo progetto di unire tutti i gruppi imperialisti nella crociata anticomunista. Ma quando la linea antifascista del movimento comunista ebbe successo, si trovò impreparato ad affrontare il compito di instaurare il socialismo nei paesi imperialisti europei. (4)

In secondo luogo era abbastanza diffusa nei partiti comunisti di allora l’idea che il partito comunista riusciva a stabilire alleanze con partiti borghesi o influenzati dalla borghesia solo grazie alle concessioni che il partito faceva alla borghesia sugli obiettivi economici o politici dell’alleanza a scapito degli interessi e della mobilitazione delle masse popolari. In realtà i partiti borghesi o influenzati dalla borghesia arrivavano a stabilire alleanze col partito comunista principalmente per non perdere egemonia e consenso sulle masse popolari. Quindi il motore principale dell’alleanza non erano le concessioni alla borghesia, ma la larga mobilitazione delle masse popolari attorno al partito comunista e la costrizione in cui la borghesia di conseguenza veniva a trovarsi.

Un altro limite fu che i partiti comunisti dei paesi imperialisti non salvaguardarono a sufficienza la propria autonomia di iniziativa politica e in particolare la propria autonomia militare. Ciò fu chiaro nella subordinazione delle forze armate che il partito costruiva a una direzione generale dove prevaleva la borghesia. In vari casi le forze armate costruite dal partito comunista avevano un grande ruolo e perfino il ruolo principale nello sforzo militare, ma la direzione complessiva era nelle mani della borghesia.

Aveva infine un certo seguito nei partiti comunisti della IC anche quella che Lenin chiamava "la teoria menscevica delle due fasi di infausta memoria" (Lenin, A proposito dell’opuscolo di Junius, 1916): non porre con audacia chiaramente alle masse popolari i compiti rivoluzionari della fase, cercare di giocare a rimpiattino con la storia, porre obiettivi illusori ("transitori" dicevano i trotzkisti) conformi ai pregiudizi della cultura borghese predominante, contando che fossero più "comprensibili" alle masse e che le masse, innamoratesi di questi obiettivi, constatando che erano irraggiungibili nella società borghese si sarebbero in definitiva schierati contro di essa. Un po’ come oggi alcuni compagni propongono il pieno impiego o un salario per tutti o altri "programmi minimi". Insomma rivolgersi alla destra delle masse popolari e cercare di convincerla sul terreno dei suoi pregiudizi, delle sue illusioni e dell’influenza che la borghesia ha su di essa, mascherare la situazione e i contrasti di classe e di interessi, nascondere i propri obiettivi; anziché rivolgersi alla sinistra per mobilitarla e organizzarla onde unisca a sé il centro e isoli la destra.

Proprio perché siamo consapevoli di questi limiti del vecchio movimento comunista e abbiamo attinto, per ora soprattutto teoricamente, dal maoismo i mezzi per superarli, noi possiamo e dobbiamo usare l’esperienza del vecchio movimento comunista e imparare dalla nostra stessa esperienza a condurre con efficacia un lavoro rivoluzionario sul secondo come sul terzo fronte della nostra lotta contro la borghesia imperialista. La lotta sul secondo fronte è una componente indispensabile della nostra lotta per trasformare la guerra non dichiarata di sterminio che la borghesia conduce contro le masse popolari in guerra popolare rivoluzionaria. Oggi è una componente indispensabile del nostro lavoro per la ricostruzione di un vero partito comunista.

Rosa L.

 

Note

1.  In proposito vedere l’opuscolo Federico Engels: 10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del partito comunista (Edizioni Rapporti Sociali 1995) e la Introduzione del 1895 di F. Engels all’opuscolo di K. Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 .

2.  " Fronte unico della classe operaia " : il partito doveva fare in modo che gli operai costituissero, su problemi e rivendicazioni dirette e immediate e sulla difesa dei propri organismi dagli attacchi delle forze legali ed extralegali della borghesia, un unico fronte contrapposto alla borghesia, nonostante la persistenza dell’influenza della borghesia tramite partiti socialdemocratici, anarco-sindacalisti, riformisti, cattolici, corporativi, ecc. e le relative organizzazioni di massa (sindacali ed altre). "Governo operaio" (o "governo operaio e contadino’): dove i risultati elettorali lo consentivano, il partito doveva fare in modo che i partiti che traevano la loro forza dalle organizzazioni di massa della classe operaia (o della classe operaia e dei contadini) costituissero essi un governo che attuasse misure favorevoli alle masse popolari e soddisfacesse alle loro maggiori rivendicazioni e, quando la borghesia si fosse ribellata a questo governo, essere pronto a mettersi alla testa della lotta per schiacciarla conducendo la guerra civile fino ad instaurare la dittatura del proletariato. "Fronte popolare antifascista": la stessa operazione vista per il "governo operaio e contadino" era estesa a tutte le classi, forze politiche e personalità contrarie al fascismo (da L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo in La Voce n. 10).

3.  Nell’estate-autunno del 1936 il governo del fronte popolare, costituitosi a Parigi dopo la vittoria elettorale del 3 maggio, negò persino l’esecuzione degli accordi di forniture militari già conclusi col governo di Madrid che doveva far fronte all insurrezione dei generali fascisti spalleggiati da Hitler e Mussolini, perché la destra francese e lo Stato Maggiore delle Forze Armate francesi minacciarono a loro volta l insurrezione.

Nel 1947 il Partito comunista francese e il Partito comunista italiano si lasciarono estromettere senza colpo ferire dai governi antifascisti di Parigi e di Roma: cosa per cui furono aspramente criticati dal movimento comunista internazionale e in particolare dal PCUS per bocca di A. Zdanov.

4.  In proposito vedasi l’articolo di Marco Martinengo Il movimento politico degli anni trenta in Europa in Rapporti Sociali n. 21 pagg. 23-31.

 


MANCHETTE

 

La Voce sul bilancio della esperienza della prima Internazionale Comunista

 

Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista - Le conquiste e i limiti ( La Voce n. 2).

L’ottava discriminante ( La Voce nn. 9 e 10).

L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo ( La Voce n. 10).

La Rivoluzione d’Ottobre e il 50 anniversario della morte di Stalin ( La Voce n. 12).

 


  Trasformare la guerra non dichiarata di sterminio che la borghesie conduce contro le masse popolari in guerra popolare rivoluzionaria, Sull’argomento leggere l’articolo di Giuseppe Maj La guerra non dichiarata di sterminio della borghesia imperialista contro le masse popolari pubblicato in Rapporti Sociali n. 34, pagg. 12 e 13.


Otto marzo 04

 

Che le donne delle masse popolari si mobilitino e si uniscano nella costituzione di comitati clandestini del partito per fare del nostro paese un nuovo paese socialista!

nella solidarietà con i rivoluzionari prigionieri!

nella lotta per abbattere il governo Berlusconi!

nella difesa delle conquiste delle masse popolari!

nella solidarietà con la rivoluzione democratica antimperialista delle masse popolari arabe e musulmane!