Lenin

La situazione rivoluzionaria in sviluppo e i compiti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti

venerdì 27 aprile 2007.
 

La situazione rivoluzionaria in sviluppo e i compiti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti

 

Un esempio

la Svizzera negli anni 1916-1917

 

Supplemento al n. 25 de La Voce (marzo 2007)

 

 

Delegazione della CP del CC del (nuovo)Partito comunista italiano BP 3  4, rue Lénine 93451 L’Ile St Denis E mail: delegazionecpnpci@yahoo.it


INDICE

 

PRESENTAZIONE

 

L’IMPERIALISMO E LA SCISSIONE DEL SOCIALISMO

ottobre 1916  Opere vol. 23 - pag. 103

 

DISCORSO AL CONGRESSO DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO

4 novembre 1916  Opere vol. 23 - pag. 119

 

I COMPITI DEGLI ZIMMERWALDIANI DI SINISTRA NEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO

fine ottobre,  primi di novembre 1916  Opere vol. 23 - pag. 134

 

TESI SULL’ATTEGGIAMENTO DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO VERSO LA GUERRA

primi di dicembre 1916  Opere vol. 23 - pag. 146

 

POSIZIONI DI PRINCIPIO SUL PROBLEMA DELLA GUERRA

dicembre 1916  Opere vol. 23 - pag. 149

 

PER L’IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA DELLA DIFESA DELLA PATRIA

dicembre 1916  Opere vol. 23 - pag. 159

 

PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO SOCIALISTA

1° gennaio 1917  Opere vol. 23 - pag. 177

 

LETTERA APERTA A CHARLES NAINE MEMBRO DELLA COMMISSIONE SOCIALISTA INTERNAZIONALE DI BERNA

26-27 dicembre 1916  Opere vol. 23 - pag. 221

 

AGLI OPERAI CHE SOSTENGONO LA LOTTA CONTRO LA GUERRA E CONTRO I SOCIALISTI CHE SI SONO SCHIERATI CON I LORO GOVERNI

fine dicembre 1916,  metà gennaio 1917  Opere vol. 23 - pag. 231

 

DODICI BREVI TESI SULLE ARGOMENTAZIONI DI H. GREULICH A FAVORE DELLA DIFESA DELLA PATRIA

13-17 gennaio 1917  Opere vol. 23 - pag. 255

 

LA DIFESA DELLA NEUTRALITÀ

gennaio 1917  Opere vol. 23 - pag. 261

 

PALUDE IMMAGINARIA O REALE?

fine gennaio 1917  Opere vol. 23 - pag. 279

 

PROPOSTE DI EMENDAMENTI ALLA RISOLUZIONE SULLA QUESTIONE DELLA GUERRA

27-29 gennaio 1917  Opere vol. 23 - pag. 283

 

STORIA DI UN BREVE PERIODO DI VITA DI UN PARTITO SOCIALISTA

fine febbraio 1917  Opere vol. 23 - pag. 284

 

LETTERA DI COMMIATO AGLI OPERAI SVIZZERI

8 aprile 1917  Opere vol. 23 - pag. 364

 

NOTE

 

 

 

 

PRESENTAZIONE

 

“L’Europa sta vivendo una situazione rivoluzionaria

che è aggravata dalla guerra e dal carovita”

(Lenin, Opere vol. 23 pag. 194)

 

 

La lotta contro il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti offre alla sinistra dei sindacati, delle altre organizzazioni popolari e dei movimenti popolari condizioni favorevoli per assumere un ruolo dirigente. La mobilitazione della sinistra ad assumere la direzione è condizione indispensabile perché quella lotta sia efficace e impedisca che la borghesia imperialista riesca a fare con il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti quello che non è riuscita a fare con il governo Berlusconi-Bossi-Fini. Proprio a questo fine è importante che i comunisti promuovano nella sinistra un orientamento e un atteggiamento rivoluzionari.

Soltanto la lotta deciderà quanta parte del proletariato e delle masse popolari continuerà a seguire la destra (gli Epifani, i Bonanni, gli Angeletti e altri tristi figuri del loro genere) che oggi dirige i sindacati di regime, le altre organizzazioni delle masse popolari, il movimento delle masse popolari.

La maggiore linea di demarcazione che oggi divide le FSRS nel lavoro di massa (cioè ai fini delle parole d’ordine lanciate nel lavoro di massa e dell’indirizzo che cerchiamo di dare al movimento delle masse ) passa tra quelle che sono convinte che ci troviamo in una situazione rivoluzionaria e che si comportano coerentemente e quelle che sono convinte che stiamo attraversando un periodo di forza e stabilità dei regimi politici della borghesia imperialista.

Fin dal numero 1 di La Voce (marzo 1999) il nostro partito ha presentato e sostenuto la tesi che siamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo (ossia di lungo periodo e che per sua natura si aggrava), prodotta dalla seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Abbiamo più volte spiegato che “situazione rivoluzionaria” non significa che le azioni rivoluzionarie delle masse caratterizzano il nostro tempo. Significa che l’assetto politico interno e il sistema di relazioni internazionali sono precari, che sia la classe dominante sia le classi oppresse devono trovare un nuovo modo di essere. L’esito di questa ricerca sarà deciso dalla lotta politica, dallo scontro tra mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e mobilitazione reazionaria delle masse popolari: le uniche due matrici possibili della soluzione della crisi generale del capitalismo in cui siamo immersi. Su questa analisi della situazione si fonda tutta la nostra attività politica: essa è tesa a trasformare la situazione rivoluzionaria in rivoluzione. Infatti non è possibile fare una rivoluzione al di fuori di una situazione rivoluzionaria. Ma non tutte le situazioni rivoluzionarie danno luogo a una rivoluzione. Da una situazione rivoluzionaria nasce una rivoluzione solo grazie all’attività rivoluzionaria della classe operaia e in primo luogo del suo partito.

Alcuni di quelli che negano che ci troviamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo, si sono serviti di Lenin per sostenere le loro tesi. Hanno tirato fuori che “la situazione rivoluzionaria in sviluppo” è una categoria che non esiste nella dottrina di Lenin, che è un’invenzione di perfidi e sciocchi maoisti. A sentir loro Lenin parlerebbe di situazione rivoluzionaria solo in relazione all’insurrezione, alla valutazione se ci sono o no le condizioni perché l’insurrezione sia vittoriosa, alla scelta del momento e del luogo dell’attacco da portare per rovesciare il governo in carica, impadronirsi delle strutture fondamentali dello Stato e disperdere (imprigionare o sciogliere a seconda dei casi) gli organi decisivi del vecchio Stato.

Riportiamo quindi un passo dello scritto di Lenin Il llimento della II internazionale (maggio-giugno 1915, Opere vol. 21 pag. 190-194). In esso Lenin spiega che la guerra imperialista iniziata nel 1914 aveva creato una situazione rivoluzionaria di lungo periodo e che il compito dei veri comunisti era: mostrare alle masse l’esistenza di una situazione rivoluzionaria, mostrarne l’ampiezza e la profondità, svegliare le coscienze e l’energia rivoluzionaria dei proletari, aiutarli a passare all’azione rivoluzionaria, creare organizzazioni conformi alla situazione rivoluzionaria per lavorare in questa direzione, per adempiere questi compiti.

 

Ma non può darsi che i socialisti sinceri fossero per la risoluzione di Basilea nella previsione che la guerra avrebbe creato una situazione rivoluzionaria, e che i fatti li abbiano smentiti e che la rivoluzione si sia dimostrata impossibile?

Precisamente con tale sofisma Cunow (nell’opuscolo Fallimento del partito? e in una serie di articoli) tenta di giustificare il suo passaggio nel campo della borghesia. In forma allusiva, in forme meno chiare incontriamo “argomenti” simili in quasi tutti i socialsciovinisti, in Kautsky prima che negli altri. Le speranze nella rivoluzione si sono dimostrate illusorie e non è da marxisti difendere delle illusioni: ecco come ragiona Cunow. Ma questo struvista [Struve era un economista russo che usava in funzione antisocialista un’interpretazione oggettivista, determinista e fatalista del marxismo simile a quella diffusa ancora oggi da alcuni gruppi bordighisti come ad esempio la redazione della rivista n + 1 di Torino, ndt] non dice parola riguardo alle “illusioni” di tutti i firmatari del manifesto di Basilea e, da vero gentiluomo come egli è, tenta di scaricarne la colpa sui rappresentanti dell’estrema sinistra, del genere di Pannekoek e Radek!

Il nocciolo della linea rivoluzionaria nell’epoca imperialista, nei paesi imperialisti, consiste nel rivolgersi alle ampie masse: esse non sono comperate dalla borghesia, privilegiate. Al contrario subiscono le conseguenze più atroci, sul piano economico, intellettuale e morale, della dominazione economica, politica e culturale dei gruppi imperialisti.

Esaminiamo la sostanza di quest’argomento, secondo il quale gli autori del manifesto di Basilea presupponevano sinceramente lo scoppio della rivoluzione e sono poi stati smentiti dai fatti. Il manifesto di Basilea dice: 1. che la guerra creerà una crisi economica e politica; 2. che i lavoratori considereranno la partecipazione alla guerra come un delitto e riterranno criminoso “sparare gli uni sugli altri per il profitto dei capitalisti, per l’orgoglio delle dinastie e per la stipulazione di trattati segreti”; e che la guerra provocherà tra gli operai “l’indignazione e la collera”; 3. che i socialisti hanno il dovere di utilizzare quella crisi e quello stato d’animo degli operai per “fare agitazione tra gli strati popolari” e “affrettare la caduta del dominio capitalista”; 4. che “i governi”, nessuno escluso, non possono scatenare la guerra “senza pericolo per loro stessi”; 5. che i governi “hanno paura della rivoluzione proletaria”; 6. che i governi “devono ricordare” la Comune di Parigi (cioè la guerra civile), la rivoluzione del 1905 in Russia, ecc. Tutte queste sono idee assolutamente chiare; in esse non vi è la garanzia che la rivoluzione avverrà; ma in esse si mette l’accento sulla precisa caratterizzazione dei fatti e delle tendenze. Chi dice, a proposito di questi argomenti e di questi ragionamenti, che prevedere lo scoppio della rivoluzione è stata un’illusione, dimostrano di avere, verso la rivoluzione stessa, un atteggiamento non marxista, ma struvista, poliziesco, da rinnegato [come se la rivoluzione dovesse scoppiare senza che i partiti rivoluzionari intervengano a “fare agitazione” e ad “affrettarne” lo scoppio, ndt] .

Per il marxista non v’è dubbio che la rivoluzione non è possibile senza una situazione rivoluzionaria e che non tutte le situazioni rivoluzionarie sboccano nella rivoluzione. Quali sono, in generale, i segni di una situazione rivoluzionaria? Siamo sicuri di non sbagliare a indicare questi tre segni come i segni principali: 1. le classi dominanti non riescono più a conservare il loro potere senza modificarne la forma; una crisi negli “strati superiori”, una crisi nel sistema politico della classe dominante, che apre una fessura nella quale si incuneano il malcontento e l’indignazione delle classi oppresse. Per lo scoppio della rivoluzione non basta ordinariamente che “gli strati inferiori non vogliano più” continuare a vivere come prima, ma occorre anche che “gli strati superiori non possano più” vivere come per il passato; 2. un aggravamento, maggiore del solito, dell’oppressione e della miseria delle classi oppresse; 3. in forza delle cause suddette, un rilevante aumento dell’attività delle masse, le quali in un periodo “pacifico” si lasciano depredare tranquillamente, ma in periodi burrascosi sono spinte, sia da tutto l’insieme della crisi, che dagli stessi “strati superiori”, ad un’azione storica indipendente.

Senza questi cambiamenti oggettivi, indipendenti dalla volontà non soltanto di singoli gruppi e partiti, ma anche di singole classi, la rivoluzione - di regola - è impossibile. L’insieme di tutti questi cambiamenti oggettivi si chiama situazione rivoluzionaria. Una tale situazione si presentò nel 1905 in Russia e in tutte le epoche rivoluzionarie in Europa occidentale; ma essa si presentò anche nel 1860 in Germania e nel 1859-1861 e 1879-1880 in Russia, sebbene in questi casi non vi sia stata alcuna rivoluzione. Perché? Perché la rivoluzione non nasce da ogni situazione rivoluzionaria, ma solo nei casi in cui, alle trasformazioni oggettive sopra indicate, si aggiunge una trasformazione soggettiva, cioè la capacità della classe rivoluzionaria di compiere azioni rivoluzionarie di massa sufficientemente forti da spezzare (o almeno incrinare) il vecchio governo, il quale, anche in un periodo di crisi, non “cadrà” mai se non lo “si fa cadere”.

Questa è la concezione marxista della rivoluzione. Essa è stata molte e molte volte esposta e accettata come irrefutabile da tutti i marxisti. Per noi russi essa è stata confermata, in modo particolarmente evidente, dall’esperienza del 1905. La questione allora sta nel domandarsi che cosa presupponeva a questo riguardo il manifesto di Basilea del 1912 e che cosa è avvenuto nel 1914-1915.

Il manifesto presupponeva una situazione rivoluzionaria brevemente definita con l’espressione di “crisi economica e politica”. Si è determinata questa situazione? Sì, senza dubbio. Il socialsciovinista Lensch (che difende lo sciovinismo più apertamente, francamente, onestamente degli ipocriti Cunow, Kautsky, Plekhanov e soci) ha persino detto che “assistiamo a quella che potremmo chiamare una rivoluzione” (pag. 6 del suo opuscolo La socialdemocrazia tedesca e la guerra, Berlino, 1915). La crisi politica è evidente: non v’è un governo sicuro del proprio domani, non un governo che sia libero dal pericolo d’un fallimento finanziario, di perdere il suo territorio, di esser cacciato dal proprio paese (così come il governo belga è stato cacciato dal suo). Tutti i governi vivono sopra un vulcano e fanno appello essi stessi all’iniziativa e all’eroismo delle masse. Il sistema politico dell’Europa è tutto sconvolto, e nessuno, certo, oserà negare che siamo entrati (e sprofondiamo sempre più: scrivo questo nel giorno della dichiarazione di guerra dell’Italia) in un periodo di grandissimi sconvolgimenti politici. Se Kautsky, due mesi dopo lo scoppio della guerra, ha scritto (nella Neue Zeit del 2 ottobre 1914) che “mai un governo è forte e mai i partiti sono deboli come all’inizio di una guerra”, questo è uno degli esempi del modo in cui Kautsky falsifica la scienza storica per compiacere i Südekum e gli altri opportunisti. Mai il governo ha tanto bisogno del consenso di tutti i partiti delle classi dominanti e della “pacifica” sottomissione delle classi oppresse a questo dominio, quanto in tempo di guerra. Questo in primo luogo. Secondariamente, se “all’inizio della guerra”, specialmente in un paese in cui si attende una rapida vittoria, il governo sembra onnipotente, nessuno, mai, in nessun luogo, ha legato l’attesa di una situazione rivoluzionaria esclusivamente all’“inizio della guerra” e, ancora meno, ha identificato ciò “che sembra” con ciò che è in realtà.

L’impossibilità di dire legalmente la verità non è un argomento a favore della dissimulazione della verità. È un argomento a favore della necessità di un’organizzazione e di una stampa clandestine , cioè libere dalla censura e dalla polizia.
 (
Opere vol. 23 pag. 186 )

Tutti sapevano, vedevano e riconoscevano che la guerra europea sarebbe stata ben più grave delle guerre precedenti. L’esperienza della guerra lo conferma sempre più. La guerra si estende. Le basi politiche dell’Europa sono sempre più sconvolte. Le difficoltà in cui si trovano le masse sono terribili e tutti gli sforzi dei governi, della borghesia e degli opportunisti per fare il silenzio su queste difficoltà, falliscono sempre più frequentemente. I profitti di guerra di certi gruppi di capitalisti sono inauditi, scandalosamente grandi. Enorme è l’aggravamento delle contraddizioni. La sorda indignazione delle masse, la confusa aspirazione degli strati oppressi e arretrati a una pace di compromesso (“democratica”), il brontolio che comincia a farsi sentire “negli strati più umili” delle masse, tutto questo è incontestabile. E quanto più la guerra si trascina e s’inasprisce, tanto più fortemente gli stessi governi sviluppano e sono costretti a sviluppare l’attività delle masse, spronandole a una straordinaria tensione delle loro forze e al sacrificio di se stesse. L’esperienza della guerra, come l’esperienza di qualsiasi crisi nella storia, come qualsiasi grande disastro o qualsiasi svolta nella vita d’una persona, mentre istupidisce e abbatte gli uni, educa e tempra gli altri, e in complesso, se si considera la storia di tutto il mondo, il numero e la forza di questi ultimi superano il numero e la forza dei primi, ad eccezione di singoli casi di decadenza e di sfacelo di un qualche Stato.

La conclusione della pace non solo non può metter fine “di colpo” a tutte queste calamità e a tutto questo aggravamento delle contraddizioni, ma, al contrario, per molti aspetti, li renderà più sensibili e particolarmente evidenti alle masse più arretrate della popolazione.

In una parola, per la maggioranza dei paesi sviluppati e delle grandi potenze d’Europa la situazione rivoluzionaria è evidente. E a questo riguardo la previsione del manifesto di Basilea è stata pienamente confermata. Negare direttamente o indirettamente questa verità, oppure tacerla, come fanno Cunow, Plekhanov, Kautsky e soci, significa proferire la più grande menzogna, ingannare la classe operaia e servire la borghesia. Nel Sotsial-Demokrat (nn. 34, 40, 41) abbiamo fornito dati comprovanti che coloro i quali temono la rivoluzione, i preti ipocriti cristiani, gli stati maggiori, i giornali dei milionari sono stati costretti a constatare che in Europa esistono i segni di una situazione rivoluzionaria.

Questa situazione si protrarrà ancora a lungo? In quale misura si aggraverà? Condurrà essa alla rivoluzione? Non lo sappiamo e nessuno può saperlo. Questo potrà mostrarlo soltanto l’esperienza dello sviluppo dello stato d’animo rivoluzionario e del passaggio alle azioni rivoluzionarie della classe avanzata, del proletariato. Qui non si tratta né di “illusioni” di nessun genere né della confutazione di esse, perché nessun socialista, mai e in nessun luogo, ha garantito che la rivoluzione sarà generata precisamente dall’attuale guerra (e non dalla prossima), precisamente dall’attuale situazione rivoluzionaria (e non da quella di domani). Qui si tratta del più indiscutibile e fondamentale obbligo di tutti i socialisti: dell’obbligo di mostrare alle masse l’esistenza della situazione rivoluzionaria, di mostrarne l’ampiezza e la profondità, di svegliare la coscienza rivoluzionaria e la risolutezza rivoluzionaria del proletariato, di aiutarlo a passare alle azioni rivoluzionarie e a creare organizzazioni corrispondenti alla situazione rivoluzionaria, per lavorare in questa direzione.

Nessun socialista influente e responsabile si è mai permesso di dubitare che tale, appunto, sia il dovere dei partiti socialisti, e il manifesto di Basilea, senza diffondere né alimentare la benché minima “illusione”, parla proprio di questo dovere dei socialisti: incitare e “agitare” il popolo (e non addormentarlo con lo sciovinismo, come fanno Plekhanov, Axelrod e Kautsky), “utilizzare” la crisi per “affrettare” il crollo del capitalismo, seguire l’esempio della Comune e dell’ottobre-dicembre 1905. Il fatto che i partiti attuali non adempiono questo dovere costituisce appunto il loro tradimento, la loro morte politica, il ripudio della loro funzione e il loro passaggio dalla parte della borghesia.

 

Da questo brano risulta inequivocabilmente che il concetto, la categoria di situazione rivoluzionaria in sviluppo, elaborata compiutamente da Mao Tse-tung, è già ben presente il Lenin, a conferma della tesi che il maoismo è il terzo superiore stadio del pensiero comunista.

È ovvio che per ogni comunista è d’importanza decisiva dare una risposta chiara e inequivocabile, basata sull’esame di tutti i principali aspetti della nostra epoca, su un esame condotto sulla base del materialismo dialettico, alla domanda: siamo o no in una situazione rivoluzionaria?

Che la seconda crisi generale del capitalismo iniziata negli anni 70 abbia determinato e continui ancora a mantenere una situazione rivoluzionaria è cosa che noi abbiamo mostrato e dimostrato, sul piano dell’analisi, più e più volte. Non ci soffermiamo qui ulteriormente. Crediamo che possa oramai essere cosa chiara a chi studia l’evoluzione economica, politica e culturale della società mondiale nel corso degli ultimi 30 anni.

Proprio questa situazione rivoluzionaria di lungo periodo è alla base della nostra linea per accumulare forze rivoluzionarie e adempiere gli altri compiti che costituiscono la prima fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, premessa necessaria per passare alla seconda fase.

L’importanza degli scritti che abbiamo riunito in questo opuscolo consiste nel fatto che in essi Lenin espone analiticamente e “nel fuoco della lotta” quale doveva essere il lavoro di massa dei comunisti in un paese imperialista (la Svizzera - coinvolta (anche se non impegnata militarmente) nella situazione rivoluzionaria in sviluppo generata dalla prima guerra mondiale) per realizzare il compito che sopra abbiamo indicato nelle sue linee generali.

 

I redattori


L’IMPERIALISMO E LA SCISSIONE DEL SOCIALISMO

 

(Scritto nell’ottobre 1916. Pubblicato per la prima volta in Sbornik Sotsialdemokrata , n. 2, dicembre 1916, firmato Lenin. Opere vol. 23)

 

Esiste un legame fra l’imperialismo e la vittoria mostruosa e ignobile riportata dall’opportunismo (in veste di socialsciovinismo) sul movimento operaio in Europa?

Questo è il problema fondamentale del socialismo contemporaneo. Dopo che nella stampa del nostro partito abbiamo completamente stabilito: 1. il carattere imperialista della nostra epoca e dell’attuale guerra 2. l’indissolubile legame storico del socialsciovinismo con l’opportunismo, nonché il loro identico contenuto ideologico e politico, si può e si deve passare all’analisi di questa questione fondamentale.

È necessario cominciare dalla definizione più precisa e completa possibile dell’imperialismo. [1] L’imperialismo è uno stadio storico particolare del capitalismo. Questa particolarità ha tre aspetti: l’imperialismo è 1. il capitalismo monopolista; 2. il capitalismo parassitario o in putrefazione; 3. il capitalismo agonizzante. La sostituzione del monopolio alla libera concorrenza è il tratto economico fondamentale, l’essenza dell’imperialismo. Il monopolismo si manifesta sotto cinque aspetti principali: 1. i cartelli, i sindacati e i trusts: la concentrazione della produzione ha raggiunto un livello tale da generare questi gruppi monopolisti di capitalisti; 2. la posizione monopolista delle grandi banche: da tre a cinque banche gigantesche dirigono tutta la vita economica dell’America, della Francia, della Germania; 3. l’accaparramento delle fonti di materie prime da parte dei trusts e dell’oligarchia finanziaria (il capitale finanziario è il capitale industriale monopolista che si è fuso con il capitale bancario); 4. la spartizione (economica) del mondo tra i cartelli internazionali è cominciata. Sono già più di un centinaio questi cartelli internazionali padroni di tutto il mercato mondiale, che se lo spartiscono “amichevolmente” finché una guerra non lo ridivide. L’esportazione di capitale è un fenomeno particolare caratteristico dell’epoca imperialista, a differenza dell’esportazione di merci che caratterizzava l’epoca del capitalismo non monopolista. Essa è legata strettamente alla spartizione economica e politico-territoriale del mondo; 5. la spartizione territoriale del mondo (colonie) è terminata.

La formazione dell’imperialismo, come fase suprema del capitalismo in America e in Europa, e in seguito anche in Asia, si è completata tra il 1898 e il 1914. Le guerre ispano-americana (1898), anglo-boera (1899-1902), russo-giapponese (1904-1905) e la crisi economica dell’Europa (nel 1900): ecco le pietre miliari più importanti della nuova epoca della storia mondiale.

Che l’imperialismo sia il capitalismo parassitario o in putrefazione appare, in primo luogo, nella tendenza all’imputridimento che distingue ogni monopolio in regime di proprietà privata dei mezzi di produzione. La differenza tra la borghesia imperialista democratica repubblicana e quella reazionaria monarchica scompare appunto perché tanto l’una che l’altra imputridiscono ancor prima di morire (il che non esclude affatto lo sviluppo sorprendentemente rapido del capitalismo in singoli rami dell’industria, in singoli paesi, in singoli periodi). In secondo luogo, l’imputridimento del capitalismo si manifesta con la formazione di un enorme strato di rentiers, di capitalisti che vivono del “taglio delle cedole”. In quattro paesi imperialisti progrediti: Inghilterra, America del nord, Francia e Germania, il capitale in titoli giunge a 100-150 miliardi di franchi: il che significa un reddito annuo non inferiore ai 5-8 miliardi per ciascun paese. In terzo luogo, l’esportazione del capitale è parassitismo elevato al quadrato. In quarto luogo, “il capitale finanziario aspira alla supremazia e non alla libertà”. La reazione politica su tutta la linea è propria dell’imperialismo. Venalità, corruzione in proporzioni gigantesche, truffe di ogni genere. In quinto luogo, lo sfruttamento delle nazioni oppresse, indissolubilmente legato alle annessioni, e particolarmente lo sfruttamento delle colonie da parte di un pugno di “grandi” potenze, trasforma sempre più il mondo “civile” in un parassita che vive sul corpo dei popoli non civili composti da centinaia di milioni di uomini. Il proletariato di Roma antica viveva a spese della società. La società odierna vive a spese del proletariato contemporaneo. Marx ha dato particolare rilievo a questa profonda osservazione di Sismondi. L’imperialismo muta alquanto le cose. Uno strato privilegiato del proletariato delle potenze imperialiste vive parzialmente a spese di centinaia di milioni di uomini dei popoli non civili.

Nel dare questa definizione dell’imperialismo, ci mettiamo in completa contraddizione con K. Kautsky. Costui si rifiuta di vedere nell’imperialismo una “fase del capitalismo”. Definisce l’imperialismo come la politica “preferita” dal capitale finanziario, come la tendenza dei paesi “industriali” ad annettere i paesi “agricoli” [2] . Dal punto di vista delle teoria marxista, questa definizione di Kautsky è del tutto falsa. La particolarità dell’imperialismo è il dominio non del capitale industriale, ma di quello finanziario. È la tendenza all’annessione non soltanto dei paesi agricoli, ma di qualsiasi paese. Kautsky stacca la politica dell’imperialismo dalla sua economia. Stacca il monopolismo nella politica dal monopolismo nell’economia. Così egli apre la via al suo triviale riformismo borghese del genere del “disarmo”, dell’“ultraimperialismo” e di altre sciocchezze simili. Il senso e lo scopo di questa menzogna teorica consistono unicamente nel nascondere le più profonde contraddizioni dell’imperialismo e nel giustificare in questo modo la teoria dell’“unità” con gli apologeti dell’imperialismo, con i socialsciovinisti e gli opportunisti dichiarati.

Di questa rottura di Kautsky col marxismo abbiamo già parlato a sufficienza sia nel Sotsialdemokrat che nel Kommunist. I nostri kautskiani russi, i fautori del Comitato di organizzazione, capeggiati da Axelrod e Spectator, non esclusi Martov e in gran parte Trotzki, hanno preferito passare sotto silenzio la questione del kautskismo come tendenza. Essi non hanno osato difendere quello che Kautsky ha scritto durante la guerra. Se la sono cavata ora con la pura e semplice esaltazione di Kautsky (vedi ad esempio Axelrod, nel suo opuscolo tedesco, che il Comitato d’organizzazione aveva promesso di pubblicare in russo), ora con la citazione di lettere private di Kautsky (vedi ad esempio Spectator), dove egli afferma di appartenere all’opposizione e cerca gesuiticamente di ridurre a nulla le sue dichiarazioni scioviniste.

Notiamo che, nella sua “concezione” dell’imperialismo, - che equivale al suo abbellimento, - Kautsky fa un passo indietro non soltanto rispetto al Capitale finanziario di Hilferding (per quanto lo stesso Hilferding cerchi attualmente di difendere a spada tratta sia Kautsky che l’“unità” con i socialsciovinisti!), ma anche nei confronti del social-liberale J. A. Hobson. Questo economista inglese, che non ha la minima pretesa di definirsi marxista, dà una definizione dell’imperialismo molto più profonda di Kautsky e ne svela le contraddizioni in un suo libro del 1902 [3] . Ecco che cosa scrive quest’autore (nel quale si possono trovare quasi tutte le banalità pacifiste e “conciliatrici” di Kautsky) sulla questione particolarmente importante del carattere parassitario dell’imperialismo.

Secondo Hobson, due ordini di circostanze indebolivano la potenza degli imperi antichi: 1. il “parassitismo economico” e 2. il reclutamento degli eserciti tra le popolazioni soggette. “La prima circostanza è il parassitismo economico. Lo Stato dominante sfrutta le sue province, le sue colonie e i paesi soggetti per arricchire la classe dominante e corrompere le proprie classi inferiori, per tenerle così a freno”. Sulla seconda circostanza Hobson scrive: “Uno dei sintomi più singolari della cecità dell’imperialismo [sulle labbra del social-liberale Hobson questo ritornello sulla “cecità” degli imperialisti suona meglio che su quelle del “marxista” Kautsky] è l’avventatezza con cui la Gran Bretagna, la Francia e altre nazioni imperialiste si mettono su questa via. In essa l’Inghilterra si è inoltrata più di ogni altra. La maggior parte delle battaglie con cui conquistammo l’impero indiano furono combattute da eserciti formati da indigeni. In India, e ultimamente anche in Egitto, nei grandi eserciti permanenti gli inglesi sono presenti solo come comandanti. Quasi tutte le guerre per la conquista dell’Africa, fatta eccezione per la parte meridionale, sono state combattute, per noi, dagli indigeni”.

La prospettiva della spartizione della Cina dà origine al seguente apprezzamento economico di Hobson: “La maggior parte dell’Europa occidentale potrebbe allora assumere l’aspetto e il carattere ora posseduti soltanto da alcuni luoghi, cioè l’Inghilterra meridionale, la Riviera e le località dell’Italia e della Svizzera più visitate dai turisti e abitate da gente ricca. Si avrebbe un piccolo gruppo di ricchi aristocratici, che traggono le loro rendite e i loro dividendi dal lontano Oriente. Accanto ad essi un gruppo alquanto più numeroso di impiegati e commercianti e un gruppo ancora maggiore di domestici, lavoratori dei trasporti e operai delle industrie per il montaggio di manufatti. Allora scomparirebbero i più importanti rami di industrie. Gli alimenti e i semilavorati affluirebbero come tributo dall’Asia o dall’Africa”. “Ecco quale possibilità sarebbe offerta da una più vasta lega delle potenze occidentali, da una federazione europea delle grandi potenze. Essa non solo non spingerebbe innanzi l’opera della civiltà mondiale, ma potrebbe presentare il gravissimo pericolo di un parassitismo occidentale che finirebbe per creare un gruppo di nazioni industriali più progredite, le cui classi superiori riceverebbero, dall’Asia e dall’Africa, enormi tributi e mediante questi, si procurerebbero grandi masse di impiegati e di servitori, che non sarebbero occupati nella produzione in grande di derrate agricole o di articoli industriali, ma nel servizio personale o in lavori industriali di second’ordine, sotto il controllo della nuova aristocrazia finanziaria. Coloro per i quali queste teorie [bisognava dire: prospettive] sono da ritenersi indegne di essere prese in considerazione dovrebbero meditare di più sulle condizioni economiche e sociali di quelle zone dell’odierna Inghilterra meridionale che già sono cadute in questo stato. Essi dovrebbero immaginarsi quale immensa estensione acquisterebbe tale sistema, se la Cina fosse assoggettata al controllo economico di analoghi gruppi di finanzieri, di “investitori di capitale” [rentiers] e dei loro funzionari politici, industriali e commerciali, intenti a pompare profitti dal più grande serbatoio potenziale che mai il mondo abbia conosciuto, per consumarli in Europa. Certo la situazione è troppo complessa e il giuoco delle forze mondiali è troppo difficile da decifrare perché questa o una qualsiasi altra previsione del futuro, in un senso unico, possa essere considerata come la più probabile. Ma le tendenze che dominano attualmente l’imperialismo dell’Europa occidentale agiscono nel senso anzidetto e, se non incontrano una forza opposta che le avvii verso un’altra direzione, lavorano appunto perché il processo abbia lo sbocco accennato.”

Il social-liberale Hobson non vede che questa “forza opposta” può essere esercitata soltanto dal proletariato rivoluzionario e soltanto sotto la forma di una rivoluzione sociale. Non per nulla è un social-liberale! Ma fin dal 1902 ha affrontato in modo del tutto giusto anche la questione del ruolo e dell’importanza degli “Stati Uniti d’Europa” (ne prenda nota il kautskiano Trotzki!) e di tutto quello che i kautskiani ipocriti dei diversi paesi cercano di velare: il fatto che gli opportunisti (i socialsciovinisti) collaborano con la borghesia imperialista proprio nello sforzo che tende a creare un’Europa imperialista sulle spalle dell’Asia e dell’Africa; che gli opportunisti rappresentano oggettivamente una parte della piccola borghesia e di alcuni strati della classe operaia, una parte comprata con i soldi del sovrapprofitto imperialista e trasformata in cane da guardia del capitalismo, in corruttore del movimento operaio. Abbiamo accennato più volte, non soltanto in articoli, ma anche in risoluzioni del nostro partito, a questo profondissimo legame economico tra la borghesia imperialista e l’opportunismo che oggi ha vinto (ma resisterà a lungo?) nel movimento operaio. Da questo abbiamo dedotto, fra l’altro, che la scissione con il socialsciovinismo è inevitabile. I nostri kautskiani hanno preferito eludere l’argomento! Martov, ad esempio, già da tempo nelle sue conferenze ha messo in circolazione un sofisma, che nelle Izvestia zagranicnovo sekretariata OK (n. 4, 10 aprile 1916) è espresso nella seguente forma:

“...La situazione della socialdemocrazia rivoluzionaria sarebbe molto brutta, anzi addirittura disperata, se i gruppi di operai, che più si avvicinano agli “intellettuali” per il loro sviluppo intellettuale e che sono i più qualificati, si allontanassero fatalmente dalla socialdemocrazia per andare verso l’opportunismo...”.

Per mezzo della sciocca parolina “fatalmente” e di un certo “gioco di parole” si elude il fatto che determinati strati di operai sono passati all’opportunismo e alla borghesia imperialista! Ma i sofisti del Comitato d’organizzazione cercano solo di eludere questo fatto! Essi tentano di cavarsela con l’“ottimismo ufficiale”, di cui oggi fanno pompa il kautskiano Hilferding e molti altri: le condizioni oggettive, dicono, garantiscono l’unità del proletariato e la vittoria della tendenza rivoluzionaria! Noi, si dice, siamo “ottimisti” nei riguardi del proletariato!

Ma in realtà tutti questi kautskiani, Hilferding, i fautori del Comitato d’organizzazione, Martov e soci sono ottimisti... nei riguardi dell’opportunismo. Sta qui la sostanza!

Il proletariato è una creatura del capitalismo, del capitalismo mondiale, e non soltanto europeo, non soltanto imperialista. Su scala mondiale, cinquant’anni prima o cinquant’anni dopo, - su questa scala la questione è secondaria, - il “proletariato” “sarà” certamente unito, e nelle sue fila trionferà “inevitabilmente” la socialdemocrazia rivoluzionaria. Non si tratta di questo, signori kautskiani, ma del fatto che voi ora, nei paesi imperialisti dell’Europa, vi comportate da lacché degli opportunisti, i quali sono estranei al proletariato come classe, i quali sono i servi, gli agenti, i veicoli dell’influenza borghese; e, se il movimento operaio non se ne libererà, resterà un movimento operaio borghese. La vostra predica sull’“unità” con gli opportunisti, con i Legien e i David, i Plekhanov o i Ckhenkeli e i Potresov, ecc. tende oggettivamente ad asservire gli operai alla borghesia imperialista per mezzo dei suoi migliori agenti nel movimento operaio. La vittoria della socialdemocrazia rivoluzionaria su scala mondiale è assolutamente inevitabile, ma essa prosegue e proseguirà, si ha e si avrà soltanto contro di voi, segnerà il trionfo su di voi.

Le due tendenze, direi perfino i due partiti, del movimento operaio contemporaneo, che si sono così palesemente scisse in tutto il mondo dal 1914 al 1916, furono già studiate da Engels e da Marx in Inghilterra per decine di anni, all’incirca dal 1859 al 1892.

Né Marx né Engels sono vissuti fino all’epoca imperialista del capitalismo mondiale, che comincia non prima del 1898-1900. Ma, già a partire dalla seconda metà del secolo XIX, la particolarità dell’Inghilterra era che in essa si trovavano per lo meno due tratti caratteristici fondamentali dell’imperialismo: 1. colonie sterminate e 2. profitti monopolisti (per effetto della posizione monopolista dell’Inghilterra sul mercato mondiale). Sotto entrambi gli aspetti la Gran Bretagna era allora un’eccezione fra i paesi capitalisti. Engels e Marx, analizzando questa eccezione, dimostrarono in modo assolutamente chiaro e preciso il suo legame con la vittoria (temporanea) dell’opportunismo nel movimento operaio inglese.

Nella sua lettera a Marx del 7 ottobre 1858, Engels parla dell’“effettivo progressivo imborghesimento del proletariato inglese, di modo che questa nazione, che è la più borghese di tutte, sembra voglia portare le cose al punto da avere un’aristocrazia borghese e un proletariato borghese accanto alla borghesia. In una nazione che sfrutta il mondo intero, ciò è in certo qual modo spiegabile”.

Nella lettera a Sorge del 21 settembre 1872, Engels comunica che Hales ha sollevato un grande scandalo nel Consiglio federale dell’Internazionale e ha fatto dare un voto di biasimo a Marx perché questi aveva detto che “i capi del movimento operaio inglese si sono venduti”.

Marx scrive a Sorge il 4 agosto 1874: “Per quanto riguarda gli operai delle città di qui [d’Inghilterra], non ci resta che dolerci che tutta la banda dei capi non sia finita in parlamento. Questa sarebbe la giusta via per liberarci di tale canaglia”.

Engels, nella lettera a Marx dell’11 agosto 1881, parla delle “pessime trade unions inglesi, che si lasciano guidare da uomini che sono venduti alla borghesia o per lo meno pagati da essa”.

Nella lettera a Kautsky del 12 settembre 1882, Engels scrive: “Mi chiedete che cosa pensano gli operai inglesi sulla politica coloniale? Lo stesso di quel che pensano sulla politica in generale. Qui non c’è un partito operaio; ci sono soltanto conservatori e liberal-radicali. Gli operai usufruiscono tranquillamente con essi del monopolio coloniale dell’Inghilterra e del suo monopolio sul mercato mondiale”.

Il 7 dicembre 1889 Engels scrive a Sorge: “...Quel che c’è qui [in Inghilterra] di più ripugnante è “la rispettabilità” [ respectability ] borghese penetrata nella carne e nel sangue degli operai. Perfino Tom Mann, ch’io considero il migliore fra di loro, ama raccontare che andrà a colazione dal lord mayor. Paragonandoli coi francesi, ci si può convincere quanto sia benefica l’influenza della rivoluzione”.

Nella lettera del 19 aprile 1890 scrive: “Il movimento [della classe operaia in Inghilterra] marcia in avanti sotto la superficie, abbraccia strati sempre più vasti, anzitutto fra la massa più oscura [corsivo di Engels] che finora non s’era mossa. Non è ormai lontano il giorno in cui questa massa ritroverà sé stessa, in cui le sarà chiaro che appunto essa rappresenta la massa colossale in moto”.

Il 4 marzo 1891: “Con l’insuccesso del sindacato dei lavoratori del porto, che si è sciolto, le “vecchie” trade unions conservatrici, ricche e appunto per ciò pusillanimi, restano sole sul campo di battaglia”.

Il 14 settembre 1891: al congresso delle trade unions tenutosi a Newcastle sono stati battuti i vecchi membri delle trade unions, nemici della giornata di otto ore, “ed i giornali borghesi riconoscono la sconfitta del partito operaio borghese ” (il corsivo è sempre di Engels).

Che questi pensieri, ripetuti per decine d’anni, Engels li esprimesse anche pubblicamente, nella stampa, lo mostra la sua prefazione alla seconda edizione della Situazione della classe operaia in Inghilterra (1892). Qui si parla dell’“aristocrazia della classe operaia”, della “minoranza privilegiata degli operai” in contrapposizione alla “vasta massa operaia”. Soltanto una “piccola minoranza privilegiata e protetta” della classe operaia otteneva “vantaggi durevoli” dalla posizione privilegiata dell’Inghilterra nel periodo dal 1848 al 1868; “la grande massa nel migliore dei casi ottenne soltanto un miglioramento transitorio”. “Con il crollo del monopolio [industriale dell’Inghilterra], la classe operaia inglese perderà la sua posizione privilegiata.” I membri delle “nuove” trade unions, dei sindacati degli operai non qualificati, hanno un “vantaggio incommensurabile: i loro spiriti sono ancora terreno vergine, completamente liberi dai “rispettabili” pregiudizi borghesi tradizionali, che confondono la mente dei “vecchi unionisti” meglio sistemati”. Quelli che “in Inghilterra riuscivano fino a ieri a spacciarsi per rappresentanti degli operai” sono coloro “ai quali si perdona la loro qualità di operai perché essi stessi sarebbero ben lieti di affogarla nell’oceano del loro liberalismo”.

Abbiamo riportato di proposito stralci abbastanza ampi di dichiarazioni fatte direttamente da Marx e da Engels, affinché i lettori possano studiarle nel loro complesso. È necessario studiarle, vale la pena di meditarci sopra attentamente. Poiché sta qui il nocciolo della linea che il movimento operaio deve adottare e che ci viene dettata dalle condizioni oggettive dell’epoca dell’imperialismo.

Kautsky anche qui ha tentato “d’intorbidare le acque” e di sostituire al marxismo la melliflua conciliazione con gli opportunisti. Nella polemica con i socialimperialisti aperti e ingenui (del genere di Lensch), che giustificano la guerra condotta dalla Germania poiché porta alla distruzione del monopolio dell’Inghilterra, Kautsky “ corregge ” questa evidente falsità per mezzo di un’altra, non meno evidente. Al posto della falsità cinica ne mette una melliflua! Il monopolio industriale dell’Inghilterra è stato spezzato già da molto tempo, egli dice, è stato distrutto già da molto tempo; in esso non vi è più nulla da distruggere.

In che consiste la falsità di quest’argomento?

In primo luogo Kautsky passa sotto silenzio il monopolio coloniale dell’Inghilterra. Eppure, come abbiamo visto, fin dal 1882, 34 anni or sono, Engels l’indicò in modo del tutto chiaro! Se il monopolio industriale dell’Inghilterra è distrutto, il problema del monopolio coloniale non soltanto è rimasto, ma si è straordinariamente complicato, poiché tutta la terra è stata già divisa! Per mezzo della sua melliflua menzogna. Kautsky fa passare di contrabbando la meschina idea pacifista, borghese, filistea, opportunista secondo la quale “non vi è alcuna ragione di far la guerra”. Al contrario, ora i capitalisti non soltanto hanno una ragione per far la guerra, ma non possono non farla , se vogliono conservare il capitalismo. Infatti senza una nuova violenta spartizione delle colonie i nuovi paesi imperialisti non possono avere quei privilegi dei quali usufruiscono le potenze imperialiste più vecchie ( e meno forti ).

In secondo luogo, perché il monopolio dell’Inghilterra spiega la vittoria (temporanea) dell’opportunismo in Inghilterra? Perché il monopolio dà un sovrapprofitto, cioè un’eccedenza di profitto, superiore al profitto capitalista abituale, normale in tutto il mondo. Di questo sovrapprofitto i capitalisti possono sacrificare una piccola parte (e persino una parte assai considerevole!) per corrompere i propri operai, per creare una specie di alleanza (ricordate le famose “alleanze” delle trade unions inglesi con i loro padroni, descritte dai Webb), un’unione degli operai di una data nazione con i propri capitalisti contro gli altri paesi.

Il monopolio industriale dell’Inghilterra è stato distrutto già alla fine del XIX secolo. Questo è incontestabile. Ma come è avvenuta questa distruzione? Forse in modo che sia sparito ogni monopolio?

Se così fosse, la “teoria” conciliatrice (con l’opportunismo) di Kautsky potrebbe avere una certa giustificazione. Ma l’importante è che le cose non stanno così. L’imperialismo è il capitalismo monopolista. Ogni cartello, ogni trust, ogni sindacato, ogni banca di proporzioni gigantesche è un monopolio. Il sovrapprofitto non è sparito, ma è rimasto. Lo sfruttamento di tutti gli altri paesi da parte di un paese privilegiato, ricco finanziariamente, è rimasto e si è rafforzato. Un pugno di paesi ricchi, - sono quattro in tutto, se si parla di una ricchezza “moderna”, indipendente e veramente gigantesca: l’Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti d’America e la Germania, - questo pugno di paesi ha sviluppato i monopoli in misura enorme. Essi ricevono sovrapprofitti che ammontano a centinaia di milioni, se non a miliardi. “Vivono alle spalle” di centinaia di milioni di abitanti degli altri paesi. Essi lottano tra loro per la spartizione di un bottino particolarmente ricco, particolarmente grasso, particolarmente tranquillo.

È questa l’essenza economica e politica dell’imperialismo, le cui profondissime contraddizioni sono da Kautsky offuscate, invece di esser messe a nudo.

La borghesia di una “grande” potenza imperialista può corrompere economicamente gli strati superiori dei “propri” operai, sacrificando a questo scopo anche più d’un centinaio di milioni di franchi all’anno, poiché il sovrapprofitto ammonta, probabilmente, a circa un miliardo. La questione di sapere come viene divisa questa piccola elemosina tra gli operai-ministri, gli “operai-deputati” (si ricordi la meravigliosa analisi di questo concetto fatta da Engels), gli operai che partecipano ai comitati dell’industria di guerra, gli operai-funzionari, gli operai organizzati in ristretti sindacati di categoria, gli impiegati, ecc. ecc. è già una questione secondaria.

Dal 1848 al 1868, e anche più tardi, solo l’Inghilterra usufruiva del monopolio; è per ciò che in Inghilterra per decine d’anni l’opportunismo poté vincere; non esistevano altri paesi che possedessero ricche colonie o che disponessero del monopolio industriale.

L’ultimo trentennio del XIX secolo segnò il passaggio alla nuova epoca, quella dell’imperialismo. Il capitale finanziario ha una posizione di monopolio non di una, ma in alcune grandi di potenze, il cui numero è limitatissimo. (In Giappone e in Russia il monopolio della forza militare, il territorio immenso o il particolare vantaggio di saccheggiare minoranze nazionali, la Cina, ecc. in parte completano e in parte sostituiscono il monopolio del capitale finanziario contemporaneo, moderno). Deriva da questa differenza (oggi non c’è più il monopolio di un solo paese, ma il monopolio del capitale finanziario di alcune grandi potenze, ndr.) il fatto che il monopolio dell’Inghilterra è riuscito a rimanere incontestato per decenni. Mentre il monopolio del capitale finanziario viene oggi rabbiosamente conteso: è cominciata l’epoca delle guerre imperialiste. Una volta la classe operaia di tutto un paese poteva venir comprata, corrotta per decine d’anni. Ora questo sarebbe improbabile e perfino impossibile. Però strati meno numerosi (di quelli dell’Inghilterra del 1848-1868) della “aristocrazia operaia” possono essere e sono corrotti da ogni “grande” potenza imperialista. A quei tempi, un “ partito operaio borghese ”, secondo l’espressione veramente profonda di Engels, poteva formarsi in un solo paese, poiché un solo paese aveva il monopolio, ma in compenso per lungo tempo. Oggi, il “ partito operaio borghese ” è inevitabile , tipico di tutti i paesi imperialisti. Tuttavia, a causa della loro lotta accanita per la spartizione del bottino, è improbabile che un tale partito possa trionfare a lungo in una serie di paesi. Infatti, i trusts, l’oligarchia finanziaria, il carovita, ecc., mentre permettono di corrompere piccoli gruppi di aristocrazia operaia, d’altra parte opprimono, schiacciano, rovinano, torturano sempre più la massa del proletariato e del semiproletariato.

Da un lato, c’è la tendenza della borghesia e degli opportunisti a trasformare un pugno di nazioni più ricche e privilegiate in “eterni” parassiti sul corpo del resto dell’umanità, a “riposare sugli allori” dello sfruttamento degli africani, degli indiani, ecc., tenendoli sottomessi con l’aiuto del militarismo più moderno, dotato di un’eccellente tecnica di sterminio. Dall’altro lato, c’è a tendenza delle masse , che sono oppresse più di prima e subiscono tutti i tormenti delle guerre imperialiste, a liberarsi da questo giogo, ad abbattere la borghesia. D’ora in poi la storia del movimento operaio sarà la lotta fra queste due tendenze, poiché la prima tendenza non è casuale, ma economicamente “fondata”. La borghesia ha già generato, nutrito, si è assicurata i “partiti operai borghesi” dei socialsciovinisti in tutti i paesi. La differenza tra un partito del tutto formato, come ad esempio quello di Bissolati in Italia, che è un vero partito socialimperialista e, diciamo, il quasi partito, semiformato, dei Potresov, Gvozclev, Bulkin, Ckheidze, Skobelev e soci, non è una differenza essenziale. L’importante è che, nel piano economico, la congiunzione dell’aristocrazia operaia con la borghesia, è arrivata a maturazione e si completata. Quanto alla forma politica, questo fatto economico, questo spostamento nei rapporti fra le classi, la troverà senza particolare “fatica”.

Sulla base economica qui indicata le istituzioni politiche del capitalismo contemporaneo - la stampa, il parlamento, le associazioni, i congressi, ecc. - creano per gli impiegati e gli operai riformisti e patriottici, rispettosi e sottomessi, elemosine e privilegi politici corrispondenti alle elemosine e ai privilegi economici. Posticini redditizi e tranquilli in un ministero e nel comitato dell’industria di guerra, nel parlamento e nelle varie commissioni, nelle redazioni di “solidi” giornali legali o nelle amministrazioni di sindacati operai non meno solidi e “obbedienti alla borghesia”: ecco con che cosa la borghesia imperialista attira e premia i rappresentanti e i seguaci dei “partiti operai borghesi”.

Il meccanismo della democrazia politica agisce nella medesima direzione. Nel nostro secolo non si può fare a meno delle elezioni, non si può fare a meno delle masse. Nell’epoca della stampa e del parlamentarismo, è impossibile trascinare le masse al proprio seguito senza un sistema largamente ramificato, metodicamente applicato, solidamente attrezzato, di lusinghe, menzogne, truffe, di giochetti con paroline popolari e alla moda, di promesse - fatte a destra e a sinistra - di ogni sorta di riforme e di ogni sorta di benefici per gli operai, purché essi rinuncino alla lotta rivoluzionaria per abbattere la borghesia. Definirei lloydgeorgiano questo sistema, dal nome di uno dei suoi più avanzati e abili rappresentanti nel paese classico del “partito operaio borghese”, dal nome del ministro inglese Lloyd George. Uomo d’affari di prim’ordine, nella sua qualità di borghese, vecchio filibustiere della politica, oratore popolare capace di tenere qualsiasi discorso, perfino r-r-rivoluzionario, ad un pubblico di operai e capace di far approvare considerevoli elemosine agli operai obbedienti sotto forma di riforme sociali (assicurazioni, ecc.), Lloyd George serve magnificamente la borghesia [4] , e la serve appunto fra gli operai, esercita la sua influenza appunto fra il proletariato, là dove è più necessario e più difficile sottomettere moralmente le masse.

Ma è forse grande la differenza tra Lloyd George e gli Scheidemann, i Legien, gli Henderson e gli Hyndman, i Plekhanov, i Renaudel, ecc.? Si obietterà che, fra gli ultimi, alcuni torneranno al socialismo rivoluzionario di Marx. Questo è possibile. Ma si tratta di un’infima differenza di grado, se si considera la questione sul piano politico, cioè su una scala di massa. Singole persone tra gli attuali capi del socialsciovinismo possono ritornare al proletariato. Ma la corrente socialsciovinista o (che è lo stesso) opportunista non può né sparire né “ritornare” al proletariato rivoluzionario. Là dove il marxismo è popolare tra gli operai, questa corrente politica, questo “partito operaio borghese”, giurerà e spergiurerà nel nome di Marx. Non si può proibirglielo, come non si può proibire a una ditta commerciale di adoperare una qualsiasi etichetta, una qualsiasi insegna, un mezzo pubblicitario qualsiasi. Nel corso della storia si è sempre visto che i nemici hanno tentato, dopo la morte dei capi rivoluzionari, popolari tra le classi oppresse, di appropriarsi dei loro nomi per ingannare queste classi.

È un fatto che i “partiti operai borghesi”, come fenomeno politico, sono stati già creati in tutti i paesi capitalisti progrediti; che senza una lotta decisa e implacabile, su tutta la linea, contro questi partiti o - fa lo stesso - gruppi, correnti, ecc. non si può neanche parlare di lotta contro l’imperialismo, di marxismo, di movimento operaio socialista. Il gruppo Ckheidze, il Nasce dielo , il Golos trudà in Russia e quelli del Comitato d’organizzazione all’estero non sono che varianti di uno di tali partiti. Non abbiamo alcuna ragione di credere che questi partiti possano scomparire prima della rivoluzione sociale. Al contrario, quanto più questa rivoluzione sarà vicina, quanto più potentemente essa divamperà, quanto più bruschi e vigorosi saranno i passaggi e gli sbalzi nel suo processo di sviluppo, tanto più grande sarà la funzione che assumerà nel movimento operaio l’impeto del torrente rivoluzionario di massa contro quello opportunista piccolo-borghese. Il kautskismo non è una tendenza indipendente, perché non ha radici nella massa o nello strato privilegiato passato alla borghesia. Ma il pericolo del kautskismo consiste nel fatto che esso, utilizzando l’ideologia del passato, si studia di rappacificare il proletariato e difendere la sua unità con il “partito operaio borghese”, di accrescere così il prestigio di questo partito. Le masse non seguono già più i socialsciovinisti dichiarati: Lloyd George è stato fischiato in Inghilterra nelle assemblee operaie, Hyndman ha abbandonato il partito, i Renaudel e gli Scheidemann, i Potresov e i Gvozclev sono protetti dalla polizia. La difesa velata dei socialsciovinisti da parte dei kautskiani è quanto c’è di più pericoloso.

Uno dei sofismi più diffusi del kautskismo è quello di riferirsi alle “masse”. Noi, vedete non vogliamo staccarci dalle masse e dalle organizzazioni di massa! Ma riflettete al modo in cui Engels ha impostato questo problema. Le “organizzazioni di massa” delle trade unions inglesi del XIX secolo seguivano il partito operaio borghese. Ma non per questo Marx e Engels cercavano un’intesa con questo partito e, anzi, lo smascheravano. Essi non dimenticavano, in primo luogo.

 

 


che le organizzazioni delle trade unions abbracciavano direttamente solo una minoranza del proletariato. Sia nell’Inghilterra d’allora che nella Germania d’oggi non più di un quinto del proletariato è iscritto alle organizzazioni. Non si può pensare seriamente che in regime capitalista sia possibile far entrare nelle organizzazioni la maggioranza dei proletari. In secondo luogo, - ed è questo l’essenziale, - non si tratta tanto del numero dei membri dell’organizzazione, quanto dell’importanza reale, oggettiva della sua politica: rappresenta essa le masse, serve le masse, tende cioè a liberarle dal capitalismo, o rappresenta invece gli interessi della minoranza, la sua conciliazione con il capitalismo? Proprio quest’ultima conclusione era vera per l’Inghilterra del XIX secolo, ed è vera oggi per la Germania e altri paesi.

Engels distingue tra il “partito operaio borghese” delle vecchie trade unions, la minoranza privilegiata, e la “massa inferiore ”, la maggioranza effettiva; rivolge ad essa, che non è contagiata dalla “rispettabilità borghese”, i suoi appelli. Ecco qual è il nocciolo della linea marxista!

Non possiamo - e nessuno lo può - calcolare quale sia precisamente la parte del proletariato che segue e seguirà ancora i socialsciovinisti e gli opportunisti. Questo lo mostrerà soltanto la lotta, lo deciderà definitivamente soltanto la rivoluzione socialista. Ma sappiamo con precisione che i “difensori della patria” nella guerra imperialista rappresentano solamente una minoranza. Perciò il nostro dovere, se vogliamo rimanere socialisti, è di andare più in basso e più in profondità, verso le masse reali: ecco l’importanza della lotta contro l’opportunismo e tutto il contenuto di questa lotta. Smascherando gli opportunisti e i socialsciovinisti, che in realtà tradiscono e fanno mercato degli interessi delle masse, che difendono i privilegi temporanei della minoranza degli operai, che diffondono l’influenza e le idee borghesi, che sono in realtà gli alleati e gli agenti della borghesia, noi educhiamo le masse a conoscere i loro veri interessi politici, a lottare per il socialismo e per la rivoluzione, attraverso tutte le lunghe e tormentose peripezie delle guerre e delle tregue imperialiste.

Spiegare alle masse l’inevitabilità e la necessità della scissione dall’opportunismo, educarle alla rivoluzione con la lotta implacabile contro di esso, tener conto dell’esperienza della guerra per svelare tutte le turpitudini della politica operaia nazional-liberale e non per nasconderle: ecco l’unica linea marxista del movimento operaio mondiale.

In un prossimo articolo cercheremo di condensare i principali tratti caratteristici di questa linea, opponendola al kautskismo.


  DISCORSO AL CONGRESSO DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO

 

(Pubblicato in tedesco nel 1916 nel libro Protokoll über die Verhandlungen des Partei der Sozialdemokratischen Partei der Schweiz vom 4. und 5. November 1916, abgehalten im Gesellschaftshaus “z. Kaufleuten” in Zürich ; Pubblicato per la prima volta in russo in Proletarskaia revoliutsia, 1924, n. 4. Opere vol 23)

 

Zurigo,4 novembre 1916

Il Partito socialdemocratico svizzero ha avuto recentemente l’onore di attirarsi le ire del signor ministro Stauning, capo del Partito socialdemocratico ufficiale di Danimarca. Costui, in una lettera indirizzata il 15 settembre u.s. a Vandervelde, un ministro altrettanto pseudosocialista, ha dichiarato con fierezza: “Noi [il partito danese] abbiamo ripudiato in maniera netta e categorica l’attività scissionistica, dannosa all’organizzazione, svolta per iniziativa dei partiti italiano e svizzero dal cosiddetto movimento di Zimmerwald”.

Salutando qui a nome del CC del POSDR il congresso del Partito socialdemocratico svizzero, voglio sperare che questo partito continuerà a sostenere l’unificazione internazionale dei socialdemocratici rivoluzionari, che è iniziata al congresso di Zimmerwald e che dovrà concludersi con la completa rottura tra il socialismo e i suoi traditori ministeriali e socialpatriottici.

Questa scissione sta maturando in tutti i paesi di capitalismo avanzato. In Germania, il compagno Otto Rühle, che condivide le posizioni di Karl Liebknecht, ha subito gli attacchi degli opportunisti e del cosiddetto centro allorché ha dichiarato, nell’organo centrale del partito tedesco ( Vorwärts , 12 gennaio 1916), che la scissione è diventata inevitabile. Ma i fatti confermano sempre più chiaramente che il compagno Rühle ha ragione, che in Germania esistono di fatto due partiti: uno che aiuta la borghesia e il governo a condurre una guerra di rapina; l’altro che svolge la sua attività in modo prevalentemente illegale, diffonde appelli realmente socialisti tra le vere masse, organizza manifestazioni di massa e scioperi politici.

In Francia. il “Comitato per il ripristino delle relazioni internazionali” ha pubblicato recentemente un opuscolo: I socialisti di Zimmerwald e la guerra . In esso si legge che in seno al partito francese si sono delineati tre indirizzi principali. Il primo, a cui appartiene la maggioranza, è stigmatizzato nell’opuscolo come la tendenza dei socialisti-nazionalisti, dei socialpatrioti, che hanno realizzato l’“unione sacra” con i nostri nemici di classe. La seconda corrente è costituita, secondo i dati dell’opuscolo, dalla minoranza: sono i seguaci dei deputati Longuet e Pressemane, che nelle questioni più importanti si associano alla maggioranza e inconsapevolmente portano acqua al suo mulino, raccogliendo attorno a sé gli scontenti, di cui assopiscono la coscienza socialista e che costringono ad accodarsi alla politica ufficiale del partito. L’opuscolo ravvisa il terzo indirizzo negli zimmerwaldiani. Questi ultimi riconoscono che la Francia è stata trascinata nel conflitto non perché la Germania le ha dichiarato guerra, ma perché essa stessa ha condotto una politica imperialista che l’ha legata alla Russia con trattati e prestiti. La terza tendenza proclama senza equivoci che “ la difesa della patria non è affare dei socialisti ”.

IIn sostanza, questi tre indirizzi si sono sviluppati anche da noi, in Russia, nonché in Inghilterra e nei neutrali Stati Uniti d’America. In breve, in tutto il mondo. La lotta tra queste tendenze deciderà delle sorti del movimento operaio nell’immediato futuro.

Mi sia consentito trattare rapidamente ancora un punto, di cui si fa un gran parlare in questi giorni e a proposito del quale noi, socialdemocratici russi, abbiamo accumulato un’esperienza singolarmente ricca. Mi riferisco alla questione del terrorismo.

Non abbiamo ancora informazioni precise sui socialdemocratici rivoluzionari austriaci. Ve ne sono certo anche in Austria, ma le notizie di cui disponiamo al riguardo sono in generale molto scarse. Non sappiamo pertanto se l’uccisione di Stürgkh da parte del compagno Fritz Adler è un caso di terrorismo, in quanto linea politica consistente nell’organizzare metodicamente omicidi politici indipendentemente dalla lotta rivoluzionaria delle masse. O se si tratta invece di un’iniziativa sporadica nel passaggio dalla tattica opportunista, non socialista dei socialdemocratici austriaci ufficiali, caratterizzata dalla difesa della patria, alla tattica della lotta rivoluzionaria di massa. Probabilmente è la seconda l’ipotesi più conforme alle circostanze. Pertanto il saluto a Fritz Adler, proposto dal Comitato centrale del partito italiano e pubblicato nel ll’Avanti! del 29 ottobre, merita tutta la nostra simpatia.

Siamo comunque persuasi che l’esperienza della rivoluzione e della controrivoluzione in Russia ha confermato la giustezza della lotta più che ventennale combattuta dal nostro partito contro il terrorismo in quanto linea politica. Non bisogna però dimenticare che questa lotta è stata combattuta in stretta connessione con una lotta implacabile contro l’opportunismo, il quale era propenso a ripudiare qualsiasi impiego della violenza da parte delle classi oppresse contro gli oppressori. Noi siamo sempre stati favorevoli a impiegare la violenza sia nella lotta delle masse che in relazione con questa lotta. Abbiamo inoltre associato la lotta contro il terrorismo con una lunga opera di propaganda, cominciata molto tempo prima del dicembre 1905, a favore dell’insurrezione armata. Per noi l’insurrezione armata non è soltanto la migliore risposta del proletariato alla politica del governo, ma è anche lo sbocco inevitabile dello sviluppo della lotta di classe per il socialismo e la democrazia. Infine, non ci siamo limitati a riconoscere su un piano di principio l’impiego della violenza e a far propaganda a favore dell’insurrezione armata. Già quattro anni prima della rivoluzione abbiamo appoggiato l’impiego della violenza da parte delle masse contro i loro oppressori, soprattutto nel corso delle manifestazioni di strada. Ci siamo sforzati di far assimilare da tutto il paese gli insegnamenti derivanti da ognuna di queste manifestazioni. Ci siamo sempre più impegnati a organizzare la decisa e sistematica resistenza delle masse alla polizia e all’esercito, a trascinare mediante questa resistenza la maggior parte dell’esercito a partecipare alla lotta tra il proletariato e il governo, a far partecipare consapevolmente a questa lotta i contadini e i soldati. Ecco la linea che abbiamo applicato nella lotta contro il terrorismo e che, ne siamo profondamente convinti, è stata coronata da successo.

Concludo, compagni, rinnovando il mio saluto al congresso del Partito socialdemocratico svizzero e augurando successo al vostro lavoro.


  I COMPITI DEGLI ZIMMERWALDIANI DI SINISTRA NEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO

 

(Scritto tra la fine di ottobre e i primi di novembre del 1916. Diffuso in tedesco e in francese. Pubblicato per la prima volta in francese in un opuscolo edito nel 1918. Pubblicato per la prima volta in russo in Proletarskaia revoliutsia, 1924, n. 4. Opere vol. 23)

 

Il congresso di Zurigo del partito socialdemocratico svizzero (4-5 novembre 1916) ha dimostrato in maniera definitiva che la decisione di questo partito di aderire alla Conferenza di Zimmerwald e riconoscere la lotta rivoluzionaria di massa (risoluzione del congresso di Aarau, 1915) è rimasta sulla carta. All’interno del partito si è ormai costituito un “centro”, cioè una tendenza corrispondente a quella di Kautsky-Haase e dell’ Arbeitsgemeinschaft in Germania, di Longuet-Pressemane e soci in Francia. Questo “centro”, capeggiato da R. Grimm, associa dichiarazioni “di sinistra” ad una prassi “di destra”, cioè opportunista.

Gli zimmerwaldiani di sinistra del partito socialdemocratico svizzero hanno quindi il compito di riunire subito e senza esitazioni le proprie forze e premere sistematicamente sul partito perché la decisione del congresso di Aarau non resti lettera morta. Questa concentrazione delle forze degli zimmerwaldiani di sinistra è ancor più necessaria e urgente oggi proprio perché i congressi di Aarau e di Zurigo non lasciano sussistere alcun dubbio sulle simpatie rivoluzionarie e internazionaliste del proletariato svizzero. Non basta votare risoluzioni di solidarietà nei confronti di Liebknecht. Bisogna considerare con serietà la sua parola d’ordine, secondo cui gli odierni partiti socialdemocratici hanno bisogno di una rigenerazione .

Ecco quale dovrebbe essere, a grandi linee, la piattaforma degli zimmerwaldiani di sinistra nel partito socialdemocratico svizzero.

 

I. Atteggiamento verso la guerra e il governo borghese in generale

 

1.  Nella guerra imperialista in corso, come nelle nuove guerre imperialiste in preparazione, la “difesa della patria”, per ciò che concerne la Svizzera, è solo un inganno del popolo ad opera della borghesia. Di fatto la partecipazione della Svizzera alla guerra attuale e ad ogni altra guerra analoga altro non sarebbe che la partecipazione a una guerra reazionaria di rapina, a fianco di una delle coalizioni imperialiste, e non ad una guerra per la “libertà”, per la “democrazia”, per l’“indipendenza”, ecc.

2.  L’atteggiamento del partito socialdemocratico svizzero verso il governo borghese e verso tutti i partiti borghesi della Svizzera deve essere nella massima sfiducia. Questo governo infatti: a) è strettamente legato sul piano economico e finanziario ed è in uno stato di totale soggezione alla borghesia delle “grandi” potenze imperialiste; b) si è orientato già da tempo e su tutta la linea verso una politica di reazione negli affari internazionali e interni (polizia politica, servilismo nei confronti della reazione e delle monarchie europee, ecc.); c) ha dimostrato con tutta la sua politica degli ultimi anni (riorganizzazione militare del 1907, ecc.; “affari” Egli, de Loys, [5] ecc.) che sta diventando sempre più una pedina dell’ultrareazionario partito della guerra e della cricca militare svizzera.

3.  Pertanto, il compito più urgente del partito socialdemocratico in Svizzera consiste nel denunciare la reale natura di questo governo che si fa schiavo della borghesia imperialista e del militarismo, nel mostrare come esso inganni il popolo con le sue vuote frasi sulla democrazia, ecc., nel chiarire che questo governo (con il consenso di tutta la borghesia che dirige la Svizzera) è assolutamente disposto a vendere gli interessi del popolo svizzero all’una o all’altra delle coalizioni imperialiste.

4.  Nel caso in cui la Svizzera sia trascinata nella guerra in corso, è dovere dei socialdemocratici condannare senza riserve la “difesa della patria” e denunciare l’inganno teso al popolo con questa parola d’ordine. Gli operai e i contadini si farebbero uccidere in questa guerra non per i loro interessi o per la democrazia, ma per gli interessi della borghesia imperialista. I socialisti svizzeri, come quelli degli altri paesi progrediti, possono e devono accettare la difesa militare della patria solo dopo che questa patria sarà stata trasformata in senso socialista, cioè possono e devono accettare la difesa della rivoluzione proletaria, socialista, contro la borghesia.

5.  Il partito socialdemocratico e i suoi deputati non devono votare in nessun caso, né in tempo di pace né in tempo di guerra, i crediti militari, nonostante gli ingannevoli discorsi sulla “difesa della neutralità”, ecc. con cui si giustifica un tale voto.

6.  Il proletariato deve rispondere alla guerra con la propaganda, la preparazione e la realizzazione di azioni rivoluzionarie di massa al fine di rovesciare il dominio della borghesia, di conquistare il potere politico e instaurare il regime socialista, il solo che libererà l’umanità dalle guerre e di cui si può affermare che la volontà di realizzarlo sta maturando con incredibile rapidità nella coscienza degli operai di tutti i paesi.

7. 

Le azioni rivoluzionarie devono comprendere le manifestazioni e gli scioperi di massa, ma in nessun caso il rifiuto di prestare servizio militare. Infatti, non il rifiuto di imbracciare le armi, ma solo il loro impiego contro la propria borghesia può rientrare nei compiti del proletariato e corrispondere alle parole d’ordine dei migliori esponenti dell’internazionalismo, come, ad esempio, K. Liebknecht.

8.  Alla vigilia o nel corso della guerra, anche il minimo tentativo del governo di abolire o restringere le libertà politiche deve indurre gli operai socialdemocratici a creare organizzazioni clandestine intese a svolgere in maniera sistematica, tenace, senza arretrare dinanzi a sacrifici, la propaganda della guerra alla guerra e a spiegare alle masse il reale carattere della guerra.

 

II. Il carovita e l’insostenibile situazione economica delle masse

 

9.  Non solo nei paesi belligeranti, ma anche in Svizzera, la guerra ha provocato l’inaudito e scandaloso arricchimento di un pugno di ricchi e ridotto le masse a uno stato d’incredibile miseria per effetto del rincaro della vita e della penuria di derrate alimentari. È compito fondamentale del partito socialdemocratico combattere questo flagello con una lotta rivoluzionaria, non riformista, con un’azione metodica e tenace di propaganda e di preparazione di questa lotta rivoluzionaria, senza arretrare dinanzi alle inevitabili difficoltà e alle sconfitte momentanee.

10.  In risposta ai tanti progetti borghesi di riforma finanziaria, il partito socialdemocratico deve proporsi principalmente il compito di smascherare i tentativi della borghesia di far ricadere sugli operai e su contadini poveri tutto l’onere della mobilitazione e della guerra.

La socialdemocrazia non può accettare in nessun caso e sotto nessun pretesto le imposte indirette. La decisione del congresso di Aarau (1915) e la risoluzione Huber-Grimm approvata al congresso di Zurigo (1916), le quali prevedono che la socialdemocrazia consenta alle imposte indirette, devono essere abrogate. Tutte le organizzazioni socialdemocratiche devono impegnarsi subito nella più attiva preparazione del congresso del partito, che si terrà a Berna nel febbraio 1917 ed eleggere solo quei delegati che sono favorevoli all’annullamento di queste decisioni.

Spetta ai funzionari liberali, e in nessun caso alla socialdemocrazia rivoluzionaria, aiutare il governo borghese a uscire dalle odierne difficoltà, mantenendo il regime capitalista, perpetuando cioè la miseria delle masse.

11.  I socialdemocratici devono propagandare nel modo più ampio tra le masse l’urgente necessità di un’imposta federale unica sul patrimonio e sui redditi, con aliquote alte e progressive, non inferiori alle seguenti:

 

 

Patrimonio (fr.) Reddito (fr.) Aliquota di imposta
20.000 5.000 esenzione

50.000

10.000 10%
100.000 25.000 40%
200.000 60.000 60%
 

Imposta sui pensionati:
fino a 4 fr. al giorno esenzione
oltre 5 fr. al giorno 1%
oltre 10 fr. al giorno 20%
oltre 20 fr. al giorno 50%

    12.  I socialdemocratici devono battersi implacabilmente contro la menzogna borghese, diffusa anche nel partito socialdemocratico da molti opportunisti, secondo la quale sarebbe “non pratico” esigere aliquote elevate e rivoluzionarie dell’imposta patrimoniale e sul reddito. È questa invece l’unica politica pratica e socialdemocratica, poiché, in primo luogo, non dobbiamo adattarci a ciò che è “accettabile” per i ricchi, ma fare appello alle grandi masse dei poveri e dei non abbienti. L’indifferenza o sfiducia di questi verso la socialdemocrazia dipende in larga misura dal carattere riformista e opportunista del partito. In secondo luogo, il solo modo di strappare concessioni alla borghesia è quello di non fare con essa “transazioni”, di non “adattarsi” ai suoi interessi o pregiudizi e di preparare invece contro di essa le forze rivoluzionarie delle masse. Quanto più sarà ampia la massa di popolo che avremo convinto che è giusto applicare aliquote d’imposta elevate e rivoluzionarie e che bisogna ottenerle con la lotta, tanto più rapidamente la borghesia farà concessioni. Allora noi utilizzeremo ogni minima concessione per lottare senza sosta fino alla completa espropriazione della borghesia.

13.  Bisogna fissare un limite massimo di stipendio, di 5 o 6.000 franchi annui, in rapporto al numero dei familiari, per tutti gli impiegati e funzionari senza eccezione, per i deputati federali, ecc. Vietare il cumulo di altri redditi sotto minaccia di reclusione e di confisca di tali redditi.

14.  Espropriare le fabbriche e le officine - anzitutto quelle necessarie per garantire i mezzi di sussistenza alla popolazione - e tutte le imprese agricole di più di 15 ettari (tali imprese sono in Svizzera 22.000 su un totale di 252.000, cioè meno di un decimo del complesso delle aziende agricole). Applicare, sulla base di queste riforme, misure sistematiche intese ad accrescere la produzione di derrate alimentari e a fornire alla popolazione prodotti a basso costo.

15.  Espropriare subito, a vantaggio dello Stato, tutte le risorse idriche della Svizzera, applicando anche in questo, come negli altri casi di espropriazione, le aliquote d’imposta sopra indicate sul patrimonio e sui redditi.

 

 

III. Le riforme democratiche più urgenti e l’utilizzazione della lotta politica e del parlamento

 

16.  Utilizzare la tribuna parlamentare e il diritto d’iniziativa e di referendum non in modo riformista, cioè per difendere le riforme “accettabili” per la borghesia e quindi incapaci di eliminare i mali più gravi e profondi delle masse, ma ai fini della propaganda in favore della trasformazione socialista della Svizzera. Questa trasformazione è pienamente realizzabile sul piano economico e diventa sempre più urgente a causa dell’insostenibile rincaro della vita e dell’oppressione del capitale finanziario nonché in forza delle relazioni internazionali create dalla guerra, che spingono il proletariato di tutta l’Europa sulla via della rivoluzione.

17.  Abolire assolutamente tutte le restrizioni dei diritti politici delle donne rispetto ai diritti degli uomini. Spiegare alle masse l’estrema urgenza di questa riforma nel momento in cui la guerra e il carovita agitano le grandi masse popolari e suscitano in maniera accentuata l’interesse e l’attenzione delle donne per la politica.

18.  Introdurre la naturalizzazione obbligatoria e gratuita degli stranieri residenti in Svizzera. Ogni straniero che risiede in Svizzera da tre mesi diventa cittadino svizzero, a meno che, per ragioni plausibili, non abbia sollecitato una proroga massima di altri tre mesi. Chiarire alle masse la particolare urgenza di questa riforma per la Svizzera, non solo sotto il profilo democratico generale, ma anche perché la condizione imperialista ha fatto della Svizzera lo Stato europeo con la più alta percentuale di stranieri. I nove decimi di questi stranieri parlano una delle tre lingue del paese. La mancanza di diritti politici degli operai stranieri e il loro isolamento rafforzano la già crescente reazione politica e indeboliscono la solidarietà internazionale del proletariato.

19.  Iniziare subito il lavoro di agitazione affinché i candidati del partito socialdemocratico alle elezioni del Consiglio nazionale del 1917 siano designati dopo un’ampia discussione della piattaforma politica da parte degli elettori, soprattutto per ciò che riguarda l’atteggiamento verso la guerra e la difesa della patria, nonché la questione della lotta riformista o rivoluzionaria contro il rincaro della vita.

 

IV. I compiti immediati della propaganda, dell’agitazione e dell’organizzazione del partito

 

20.  È impossibile realizzare praticamente la decisione di Aarau sulla lotta rivoluzionaria delle masse, senza un lavoro metodico e tenace che miri a estendere l’influenza della socialdemocrazia sulle masse, senza far aderire al movimento nuovi strati della massa lavoratrice e sfruttata. La propaganda e l’agitazione in favore della rivoluzione sociale devono assumere un carattere più concreto, più chiaro, più immediatamente pratico, in modo da riuscire comprensibili non soltanto agli operai organizzati, che in regime capitalista saranno sempre una minoranza del proletariato e delle classi oppresse in generale, ma anche alla maggioranza degli sfruttati, che l’oppressione spaventosa del capitalismo rende incapace di organizzarsi sistematicamente.

21.  Per estendere la sua influenza sulle grandi masse il partito deve pubblicare più regolarmente e distribuire gratuitamente dei volantini in cui si spieghi alle masse che il proletariato rivoluzionario combatte per la trasformazione socialista della Svizzera, trasformazione necessaria ai nove decimi della popolazione e conforme ai loro interessi. Bisogna organizzare una pubblica emulazione fra tutte le sezioni del partito e, in particolare, fra le organizzazioni giovanili per la diffusione di questi volantini, per l’agitazione da condurre nelle strade e nelle case; bisogna dedicare più attenzione ed energia alla agitazione tra gli operai agricoli, i braccianti, i giornalieri, nonché tra i contadini più poveri, che non sfruttano mano d’opera salariata e non si arricchiscono con il rincaro della vita, ma soffrono per causa sua. I rappresentanti parlamentari del partito (nei consigli nazionali, cantonali, ecc.) sono tenuti ad avvalersi della loro posizione politica privilegiata non per il vaniloquio riformista in parlamento, che suscita legittimamente noia e sfiducia tra gli operai, ma per propagandare la rivoluzione socialista tra gli strati più arretrati del proletariato e del semiproletariato nelle città e soprattutto nelle campagne.

22.  Romperla definitivamente con la teoria della “neutralità” delle organizzazioni economiche della classe operaia, degli impiegati, ecc. Spiegare alle masse questa verità, ribadita con particolare evidenza dalla guerra: la cosiddetta “neutralità” è un inganno o una ipocrisia borghese; essa significa in concreto subordinazione passiva alla borghesia e alle sue imprese più ignobili, come la guerra imperialista. Intensificare l’azione socialdemocratica nelle associazioni di ogni genere della classe operaia e degli strati più poveri della piccola borghesia o degli impiegati. Costituire speciali gruppi di socialdemocratici in seno a queste associazioni. Preparare metodicamente uno stato di cose che permetta alla socialdemocrazia rivoluzionaria di conquistare la maggioranza in tutte queste associazioni e di assumerne la direzione. Spiegare alle masse la particolare importanza di questa condizione per il buon esito della lotta rivoluzionaria.

23.  Estendere e intensificare il lavoro socialdemocratico nell’esercito prima che i giovani vengano reclutati e durante il servizio militare. Costituire gruppi socialdemocratici in tutte le unità dell’esercito. Spiegare che l’impiego delle armi è storicamente inevitabile e legittimo, dal punto di vista del socialismo, nell’unica guerra legittima che è la guerra del proletariato contro la borghesia per l’emancipazione della umanità dalla schiavitù salariata. Far propaganda contro gli attentati isolati al fine di collegare la lotta della parte rivoluzionaria dell’esercito al largo movimento del proletariato e degli sfruttati in generale. Intensificare la propaganda di quel paragrafo della risoluzione del congresso straordinario di Olten (febbraio 1916, ndr) che raccomanda ai soldati la disobbedienza quando l’esercito viene impiegato contro gli scioperanti e che sottolinea la necessità di non limitarsi alla disobbedienza passiva.

24.  Chiarire alle masse il legame indissolubile che unisce l’attività pratica, intesa in un senso socialdemocratico rivoluzionario conseguente, come si è indicato sopra, e la lotta sistematica di principio fra le tre tendenze principali del movimento operaio contemporaneo, che si sono costituite in tutti i paesi civili e definitivamente affermate anche in Svizzera (soprattutto al congresso di Zurigo del 1916). Queste tre tendenze sono: 1. i socialpatrioti, che ammettono apertamente la “difesa della patria” nella guerra imperialista attuale, nella guerra 1914-1916. Questa è la tendenza opportunista degli agenti della borghesia in seno al movimento operaio; 2. gli zimmerwaldiani di sinistra, che respingono in linea di principio la “difesa della patria” nella guerra imperialista, che sono favorevoli alla scissione dai socialpatrioti, in quanto agenti della borghesia e alla lotta rivoluzionaria delle masse nel quadro della completa riorganizzazione dell’attività socialdemocratica per la propaganda e la preparazione di questa lotta; 3. il cosiddetto “centro” (Kautsky-Haase e Arbeitsgemeinschaft in Germania, Longuet-Pressemane in Francia) [6] . che è favorevole all’unità delle altre due correnti. Questa unità può solo legare le mani alla socialdemocrazia rivoluzionaria, impedendole di svolgere la sua azione e corrompendo le masse: infatti impedisce un legame profondo e indissolubile tra i principi del partito e la sua attività pratica.

Nel 1916, a Zurigo, al congresso del partito socialdemocratico svizzero, nei tre discorsi di Platten, Naine e Greulich sulla frazione socialdemocratica del Consiglio nazionale, la lotta tra le diverse tendenze della politica socialdemocratica in seno al partito è stata riconosciuta con particolare evidenza come un fatto acquisito ormai da tempo . Il consenso della maggioranza si è riversato su Platten, allorché egli ha sottolineato la necessità di operare coerentemente nello spirito della socialdemocrazia rivoluzionaria. Naine ha dichiarato in modo netto, franco e categorico che all’interno della frazione socialdemocratica del Consiglio nazionale si scontrano senza posa due tendenze e che le organizzazioni operaie devono tendere a inviare al Consiglio nazionale dei sostenitori della tendenza rivoluzionaria che siano realmente solidali fra di loro. Quando Greulich ha affermato che il partito ha abbandonato i suoi vecchi “beniamini” per sceglierne dei nuovi, ha per ciò stesso riconosciuto la presenza e il conflitto di diverse tendenze. Ma nessun operaio cosciente e riflessivo potrà accettare la “teoria dei beniamini”. Perché la lotta inevitabile e necessaria tra le diverse correnti non degeneri in rivalità tra “beniamini”, in conflitti personali, in piccoli scandali e meschini sospetti, tutti i membri del partito socialdemocratico sono tenuti a controllare che si svolga apertamente una lotta di principio tra i diversi indirizzi della politica socialdemocratica.

25.  Lottare più energicamente, sul piano dei principi, contro la Lega di Grütli, [7] in quanto manifestazione evidente, sul terreno svizzero, delle tendenze della politica operaia borghese : opportunismo, riformismo, socialpatriottismo, corruzione delle masse con illusioni democratico-borghesi. Spiegare alle masse, mediante l’esempio dell’attività concreta della Lega di Grütli, quanto sia sbagliata e dannosa la politica del socialpatriottismo e del “centro”.

26.  Iniziare subito la preparazione delle elezioni per il congresso del partito a Berna (febbraio 1917), controllando che queste elezioni si effettuino sulla base della discussione, in ogni organizzazione di partito, delle piattaforme teoriche e delle piattaforme politiche concrete. La presente piattaforma dovrà essere la piattaforma dei socialdemocratici internazionalisti rivoluzionari conseguenti.

Le elezioni dei candidati a tutti i posti di direzione del partito, alla Commissione stampa, a tutti gli organismi rappresentativi, a tutti i comitati direttivi, ecc. devono essere effettuate sulla base della discussione delle piattaforme.

Ogni organizzazione locale eserciterà un controllo attento sull’organo di stampa locale del partito per accertare che vengano applicate le tesi e la linea non solo della socialdemocrazia in genere, ma anche di una piattaforma esattamente determinata della politica socialdemocratica.

 

V. I compiti internazionali dei socialdemocratici svizzeri

 

27.  Perché il riconoscimento dell’internazionalismo da parte dei socialdemocratici svizzeri non resti una vuota formula non impegnativa - quella vuota formula a cui si limitano sempre i fautori del “centro” e, in generale, i socialdemocratici nel periodo della II Internazionale - bisogna, in primo luogo, lottare con coerenza e inflessibilità per riunire e fondere nelle stesse associazioni gli operai stranieri e gli operai svizzeri e assicurar loro la completa uguaglianza (civile e politica). Il tratto specifico dell’imperialismo in Svizzera consiste nel crescente sfruttamento degli operai stranieri privi di diritti da parte della borghesia svizzera, che ripone tutte le sue speranze nella divisione tra queste due categorie di operai.

In secondo luogo, bisogna moltiplicare gli sforzi per costituire tra gli operai tedeschi, francesi e italiani della Svizzera una tendenza internazionalista realmente unica in tutta l’attività pratica del movimento operaio, che si batta con la stessa energia e fedeltà ai principi contro il socialpatriottismo francese (nella Svizzera romanza), tedesco e italiano. La presente piattaforma deve servire di base alla piattaforma unica e generale degli operai delle tre nazioni o gruppi linguistici principali della Svizzera. Senza questa fusione degli operai di tutte le nazionalità schierati con la socialdemocrazia rivoluzionaria, l’internazionalismo è una parola vuota.

Per agevolare la realizzazione di questa fusione bisogna ottenere da tutti i giornali socialdemocratici della Svizzera (e da tutti gli organi di stampa delle associazioni economiche degli operai, degli impiegati, ecc.) che pubblichino nelle tre lingue dei supplementi (almeno settimanali, o mensili, e di sole due pagine all’inizio) intesi a sviluppare, in rapporto alla politica del giorno, la presente piattaforma.

28. I socialdemocratici svizzeri devono appoggiare in seno a tutti gli altri partiti socialisti soltanto gli internazionalisti rivoluzionari aderenti alla sinistra di Zimmerwald. Quest’appoggio non deve essere platonico. È particolarmente importante ristampare in Svizzera, tradurli nelle tre lingue e diffonderli nelle file del proletariato svizzero e di tutti i paesi vicini gli appelli antigovernativi pubblicati clandestinamente in Germania, in Francia e in Italia.

29. Il partito socialdemocratico svizzero deve non solo decidere al congresso di Berna (febbraio 1917) di aderire, e senza riserve, alle risoluzioni della conferenza di Kienthal, ma esigere, per parte sua, l’immediata e completa scissione organizzativa dall’USI (Ufficio Sociale Internazionale) dell’Aja, che è il baluardo dell’opportunismo e del socialpatriottismo, irriducibilmente ostili agli interessi del socialismo.

30.  Il partito socialdemocratico svizzero, che si trova in condizioni eccezionalmente favorevoli per tenersi al corrente degli sviluppi del movimento operaio nei paesi progrediti d’Europa e per unificare gli elementi rivoluzionari del movimento operaio europeo, non deve aspettare passivamente che la lotta si sviluppi nel suo seno, ma deve porsi alla testa di questa lotta. Esso deve seguire la via indicata dalla sinistra di Zimmerwald. La giustezza di questo linea viene confermata, con evidenza giorno dopo giorno, dagli sviluppi del socialismo in Germania, in Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti e, in generale, in tutti i paesi civili.


 

TESI SULL’ATTEGGIAMENTO DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO SVIZZERO VERSO LA GUERRA

 

(Scritte in tedesco ai primi di dicembre del 1916. Pubblicate per la prima volta in Miscellanea di Lenin, XVII, 1931. Opere vol. 23)

 

 

1. La guerra mondiale in corso è una guerra imperialista combattuta in vista dello sfruttamento politico ed economico del mondo, per impadronirsi di mercati di sbocco, di fonti di materie prime, di nuove zone d’investimento del capitale, per l’oppressione dei popoli deboli, ecc.

Le frasi delle due coalizioni belligeranti sulla “difesa della patria” altro non sono che un inganno della borghesia a danno dei popoli.

 

2. Il governo svizzero è l’incaricato d’affari della borghesia svizzera. Questa dipende per intero dal capitale finanziario internazionale ed è legata nel modo più stretto alla borghesia imperialista delle grandi potenze.

Non è quindi affatto un caso, ma il risultato inevitabile di questi fatti economici, che il governo svizzero conduca - ormai da decenni - una politica e un’azione diplomatica segreta ogni giorno più reazionarie, restringa e violi le libertà e i diritti democratici del popolo, strisci dinanzi alla cricca militare e sacrifichi sistematicamente e con cinismo gli interessi delle masse popolari agli interessi di un pugno di magnati della finanza.

La Svizzera può essere coinvolta da un momento all’altro nella guerra in corso, a causa della soggezione del suo governo borghese agli interessi dell’oligarchia finanziaria e dietro la forte pressione dell’una o dell’altra coalizione di potenze imperialiste.

 

3. Pertanto, anche in Svizzera, la “difesa della patria” è oggi soltanto una frase ipocrita, perché in realtà non si tratta di difendere la democrazia, l’indipendenza, gli interessi delle grandi masse popolari, ecc.. Si tratta invece di mandare al massacro gli operai e i piccoli contadini per conservare i monopoli e i privilegi della borghesia. Si tratta di rafforzare il dominio dei capitalisti e la reazione politica.

 

4. Sulla base di questi fatti, il Partito socialdemocratico svizzero respinge in linea di principio la “difesa della patria”, esige l’immediata smobilitazione, chiama la classe operaia a rispondere ai preparativi di guerra compiuti dalla borghesia svizzera e alla guerra stessa, se scoppierà, con i mezzi più energici della lotta di classe proletaria.

Tra questi mezzi sono da segnalare i seguenti:

a.  Niente pace sociale; accentuare la lotta di principio contro tutti i partiti borghesi e contro la Lega di Grütli, in quanto centro di agenti della borghesia in seno al movimento operaio, nonché contro le tendenze grütliane all’interno del partito socialista.

b.  Bocciare tutti i crediti militari, in tempo di pace come in tempo di guerra, qualunque sia il pretesto con cui vengono richiesti.

c.  Appoggiare tutti i movimenti rivoluzionari e tutte le battaglie della classe operaia dei paesi belligeranti contro la guerra e contro i rispettivi governi.

d.  Contribuire alla lotta rivoluzionaria di massa in Svizzera, agli scioperi, alle manifestazioni e all’insurrezione armata contro la borghesia.

e.  Svolgere un’azione sistematica di propaganda nell’esercito, costituendo a tale scopo speciali gruppi socialdemocratici nei reparti militari e tra le giovani reclute.

f.  La classe operaia deve creare di propria iniziativa organizzazioni clandestine in risposta a qualsiasi restrizione o soppressione delle libertà politiche da parte del governo.

g.  Attraverso un’opera metodica di chiarificazione tra gli operai, preparare sistematicamente una situazione tale che la direzione di tutte le organizzazioni di operai e impiegati, senza eccezioni, passi nelle mani di elementi che accettino e sappiano condurre la lotta contro la guerra.

 

5. Il partito pone alla lotta rivoluzionaria di massa, già riconosciuta nel congresso di Aarau del 1915, l’obiettivo della rivoluzione socialista. Questo rivolgimento dal punto di vista economico può essere realizzato fin da ora. È questo il solo mezzo efficace per liberare le masse dagli orrori del carovita e della fame. Il rivolgimento socialista si presenta come il risultato della crisi in cui si dibatte attualmente tutta l’Europa. Esso è assolutamente necessario per la completa liquidazione del militarismo e di tutte le guerre.

Il partito dichiara che tutte le frasi pacifiste, borghesi e socialiste, contro il militarismo e le guerre, se non riconoscono questo obiettivo e i mezzi rivoluzionari per raggiungerlo, sono semplici illusioni o menzogne, che condurranno soltanto a distogliere la classe operaia da una lotta efficace contro le basi stesse del capitalismo.

Senza interrompere la lotta per migliorare la situazione degli schiavi salariati, il partito incita la classe operaia e i suoi rappresentanti a porre all’ordine del giorno la propaganda in favore della trasformazione socialista immediata della Svizzera, servendosi dell’agitazione di massa, degli interventi parlamentari, delle proposte d’iniziativa, ecc., dimostrando la necessità di sostituire il governo borghese con un governo proletario che poggi sulla massa della popolazione non abbiente, spiegando l’imperiosa necessità di misure come l’espropriazione delle banche e delle grandi imprese, l’abolizione di tutte le imposte indirette, l’introduzione di un’imposta diretta unica con aliquote elevate e rivoluzionarie per i grandi redditi, ecc.


  POSIZIONI DI PRINCIPIO SUL PROBLEMA DELLA GUERRA

 

(Scritto in tedesco nel dicembre 1916. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin , XVII, 1931. Opere vol. 23)

 

Tra i socialdemocratici svizzeri di sinistra esiste una posizione unanime riguardo alla necessità di respingere, in rapporto alla guerra attuale, il principio della difesa della patria. Anche il proletariato o, quanto meno, i suoi elementi migliori sono orientati contro questo principio.

Sembra pertanto che sulla questione più scottante del socialismo contemporaneo in generale e del partito socialista svizzero in particolare esista la necessaria unità. Eppure, se si esamina il problema più da vicino, si finisce inevitabilmente per concludere che questa unità è solo apparente.

Non c’è in realtà la minima chiarezza - e ancor meno unità - di idee sul fatto che nel pronunciarsi negativamente sulla difesa della patria si pongono per ciò stesso esigenze eccezionalmente alte tanto alla coscienza quanto all’azione rivoluzionaria del partito che proclama questa parola d’ordine, a patto, s’intende, che non si tratti d’una frase vuota. Quando infatti ci si limita a enunciare il rifiuto di difendere il proprio paese, senza aver chiara coscienza, cioè senza rendersi conto di che cosa questo rifiuto implichi, senza capire che tutta la propaganda, l’agitazione, l’organizzazione , in breve, tutta l’attività del partito deve essere radicalmente rinnovata, “rigenerata” (per usare l’espressione di Karl Liebknecht) e adeguata a compiti rivoluzionari di ordine più alto, una tale enunciazione diventa una frase vuota.

Per comprendere esattamente che cosa significhi rifiutarsi di difendere la patria, bisogna considerare questo rifiuto come una parola d’ordine politica da prendere sul serio e da realizzare in concreto.

In primo luogo, noi proponiamo ai proletari e agli sfruttati di tutti i paesi belligeranti e di tutti i paesi minacciati dalla guerra di respingere la difesa della patria. Oggi, attraverso l’esperienza di alcuni paesi belligeranti, sappiamo con assoluta precisione che cosa significhi in realtà il rifiuto di difendere la patria nella guerra in corso. Significa negare tutti i fondamenti della moderna società borghese e minare alle radici il regime sociale vigente, non solo in teoria, non solo “in generale”, ma nella pratica, immediatamente, oggi stesso. Ebbene, non è forse evidente che questo può farsi alla sola condizione di non essere giunti soltanto al saldissimo convincimento teorico che il capitalismo è ormai pienamente maturo per essere trasformato in socialismo, ma anche di ritenere realizzabile in pratica, immediatamente, subito, questa trasformazione, cioè la rivoluzione socialista?

Eppure, proprio questo punto viene quasi sempre perduto di vista, quando si parla del rifiuto di difendere la patria. Nel migliore dei casi si è disposti a riconoscere “teoricamente” che il capitalismo è maturo per essere trasformato in socialismo, ma non si vuole nemmeno sentir parlare dell’immediato e radicale rinnovamento di tutta l’attività del partito nello spirito della rivoluzione socialista imminente!

Il popolo non sarebbe ancora preparato!

Ma qui l’incoerenza sfocia nel ridicolo. Delle due l’una. O noi non dobbiamo proclamare il rifiuto immediato di difendere la patria, oppure dobbiamo svolgere o cominciare a svolgere immediatamente un’azione metodica di propaganda per la realizzazione immediata della rivoluzione socialista. Beninteso, in un certo senso il “popolo” è “impreparato” sia al rifiuto di difendere la patria che alla rivoluzione socialista. Ma da ciò non consegue che noi abbiamo il diritto di rimandare per ben due anni - due anni! - l’inizio della preparazione sistematica della rivoluzione!

In secondo luogo, cosa si oppone alla politica della difesa della patria e della pace sociale? La lotta rivoluzionaria contro la guerra, le “azioni rivoluzionarie di massa”, come ha riconosciuto la risoluzione del congresso di Aarau del 1915. Si tratta, senza dubbio, di una risoluzione eccellente, ma... ma la storia del partito dopo quel congresso e la sua politica effettiva dimostrano che essa è rimasta sulla carta !

Quale è lo scopo della lotta rivoluzionaria di massa? Ufficialmente il partito non ha detto niente al riguardo, e in generale non si parla affatto di questo problema. Si considera del tutto naturale o si riconosce apertamente che questo scopo è il “ socialismo . Al capitalismo (o all’imperialismo) si contrappone il socialismo.

Ma questa posizione è sommamente illogica (sul piano teorico) e priva di contenuto sul piano pratico. Illogica, perché troppo generica, troppo vaga. Attualmente, non solo i kautskiani e i socialsciovinisti, ma anche numerosi uomini politici borghesi ravvisano nel “socialismo” in generale uno scopo da contrapporre al capitalismo (o all’imperialismo). Oggi però non si tratta di opporre genericamente i due sistemi sociali. Si tratta invece di opporre lo scopo concreto della concreta “lotta rivoluzionaria delle masse” ad un male concreto, cioè all’odierno rincaro della vita, all’ odierno pericolo di guerra o alla guerra in corso .

Tutta la II Internazionale, dal 1889 al 1914, ha opposto il socialismo in generale al capitalismo e proprio per questa “generalizzazione” troppo generica ha fatto fallimento. Essa ha ignorato in effetti il male specifico della sua epoca, che, quasi trent’anni or sono, il 10 gennaio 1887, Federico Engels così caratterizzava:

“... Un certo socialismo piccolo-borghese è rappresentato in seno allo stesso partito socialdemocratico, e perfino nel suo gruppo parlamentare. Esso si manifesta in questo: si riconoscono giuste le concezioni basilari del socialismo e l’esigenza del trapasso alla proprietà sociale di tutti i mezzi di produzione, ma si dichiara possibile la loro realizzazione soltanto in un’epoca lontana e praticamente non definibile. In tal maniera si indirizzano gli uomini, per il presente, a un puro e semplice lavoro di rattoppatura sociale ...” ( La questione delle abitazioni , prefazione).

Lo scopo concreto della “lotta rivoluzionaria di massa” può consistere soltanto nelle misure concrete della rivoluzione socialista e non nel “socialismo” in genere. Ma quando si chiede di definire esattamente queste misure concrete, - come hanno fatto i compagni olandesi nel loro programma, pubblicato nel n. 3 del Bollettino della Commissione socialista internazionale (Berna, 29 febbraio 1916): annullamento dei debiti statali, espropriazione delle banche, espropriazione di tutte le grandi imprese, - se si propone di inserire queste misure concrete in una risoluzione ufficiale del partito e di illustrarle metodicamente attraverso l’agitazione e la propaganda quotidiana del partito nelle assemblee, negli interventi parlamentari, nelle proposte d’iniziativa popolare, si riceve sempre la stessa risposta dilatoria o elusiva, sostanzialmente sofistica: il popolo non è ancora preparato. ecc.!

Bene, il compito è di iniziare subito questa preparazione e di portarla avanti inflessibilmente!

In terzo luogo, il partito ha “riconosciuto” la lotta rivoluzionaria di massa. Benissimo! Ma è capace il partito di operare in questa direzione? Si sta preparando? Studia questi problemi, raccoglie tutto il materiale necessario, crea organizzazioni e organismi adeguati, discute questi problemi in mezzo al popolo, con il popolo?

Niente di tutto questo! Il partito continua ostinatamente e senza deviare d’un passo a procedere sulla sua vecchia carreggiata esclusivamente parlamentare, sindacale, riformista, legalitaria. Il partito continua a essere notoriamente incapace di stimolare e dirigere la lotta rivoluzionaria di massa ed è risaputo che non si prepara affatto a questo compito. La vecchia routine impera e le parole “nuove” (rifiuto di difendere la patria, lotta rivoluzionaria di massa) restano semplici parole ! Ma gli elementi di sinistra non ne hanno coscienza e non uniscono in maniera sistematica e perseverante le loro forze, dappertutto, in tutti i campi di attività del partito, per combattere questo male.

Non si può allarmarsi quando, ad esempio, nelle tesi di Grimm sulla questione della guerra. si legge la seguente (ultima) frase:

“Gli organi del partito, in accordo con le organizzazioni sindacali del paese, devono prendere in questo caso [cioè se, dinanzi al pericolo di guerra, chiamano i ferrovieri allo sciopero di massa, ecc.] tutte le misure necessarie”.

Le tesi di Grimm sono state rese pubbliche nel corso di questa estate, ma il 16 settembre, nella Schweizerische Metallarbeiterzeitung, diretta da O. Schneeberger e da K. Dürr, si poteva leggere la seguente frase (stavo per dire: la seguente risposta ufficiale alle tesi o alle pie intenzioni di Grimm):

“... È di pessimo gusto... l’espressione “l’operaio non ha patria”... nel momento in cui gli operai di tutta l’Europa, nella loro stragrande maggioranza, combattono da due anni contro i “nemici” della loro patria a fianco della loro borghesia e coloro che sono rimasti a casa desiderano “tener duro”, nonostante la miseria e le privazioni. Nel caso d’un attacco straniero alla Svizzera vedremmo senza dubbio lo stesso spettacolo ”!!!

Non si realizza forse una politica “kautskiana”, una politica fondata sulle frasi impotenti, sulle declamazioni di sinistra e sulla pratica opportunistica, quando, da un lato, si propone un documento in cui si dice che il partito, “in accordo con e organizzazioni sindacali”, deve chiamare agli scioperi rivoluzionari di massa, e, dall’altro, non si combatte in alcun modo contro la tendenza grütliana , che è socialpatriottica, riformista e puramente legalitaria e contro i suoi fautori nel partito e nei sindacati?

Si “educano” le masse o si tende invece a disgregarle e a demoralizzarle, quando non si dice loro e non si dimostra quotidianamente che i compagni “dirigenti” O. Schneeberger, K. Dürr, P. Pflüger, H. Greulich, Huber e molti altri ancora si attengono alle stesse concezioni socialpatriottiche e svolgono la stessa politica socialpatriottica che Grimm denuncia e fustiga “arditamente”... quando si tratta dei tedeschi che vivono in Germania e non degli svizzeri? Ingiuriare gli stranieri e proteggere i “propri connazionali”: è questo forse un atto “internazionalista”, “democratico”?

Hermann Greulich ha delineato come segue la situazione degli operai svizzeri, la crisi del socialismo svizzero e la sostanza della politica grütliana in seno al partito socialista:

“Il tenore di vita è stato migliorato molto poco e solo per gli strati superiori (udite! udite!) del proletariato. La massa degli operai vive, come prima, in uno stato di miseria, tra preoccupazioni e disagi. Perciò di tanto in tanto si dubita che la strada seguita fino a questo momento sia giusta. I critici cercano nuove strade e ripongono le loro speranze nelle azioni più energiche. In questa direzione si fanno tentativi che, di regola (?), non riescono (??) e che inducono con forza rinnovata a ritornare alla vecchia tattica” (il desiderio non è anche qui padre dell’idea?). “Ed ecco la guerra mondiale... Il grave peggioramento del tenore di vita, che diviene miseria persino negli strati che un tempo avevano un’esistenza sopportabile, rinvigorisce lo spirito rivoluzionario” (udite! udite!). “In effetti, la direzione del partito non è stata all’altezza dei suoi compiti e si è arresa (??) troppo alla influenza delle teste calde (davvero? davvero?) ... Il Comitato centrale della Lega di Grütli cerca, per parte sua, di realizzare una “politica nazionale pratica”, che esso vuole condurre fuori del partito ... Perché non la realizza all’interno del partito?” (udite! udite!). “Perché lascia quasi sempre a me l’incombenza di combattere gli ultraradicali?” ( Lettera aperta alla Lega grütliana di Gottinga , 26 settembre 1916).

Ecco che cosa dice Greulich. Non si tratta quindi (come pensano in segreto o dicono allusivamente sulla stampa i grütliani che militano nel partito e come affermano apertamente i grütliani che sono fuori delle sue file) di alcuni “stranieri male intenzionati”, i quali, in un accesso d’impazienza personale, desidererebbero trapiantare lo spirito rivoluzionario in un movimento operaio che essi vedono con “occhiali stranieri”. Oh, no! È proprio Hermann Greulich - la cui funzione politica equivale di fatto a quella di un ministro borghese del lavoro in una piccola repubblica democratica - a informarci che solo gli strati superiori del proletariato godono di un qualche miglioramento del tenore di vita, mentre la massa degli operai continua a versare in uno stato di miseria, e che “il rinvigorirsi dello spirito rivoluzionario” non deriva dai maledetti “sobillatori” stranieri, ma dal “grave peggioramento del tenore di vita”.

E allora?

Allora sarà assolutamente giusto dire che:

o il popolo svizzero patirà la fame, una fame ogni settimana più terribile e correrà quotidianamente il rischio di essere coinvolto nella guerra imperialistica, cioè di farsi massacrare per gli interessi dei capitalisti, oppure esso seguirà il consiglio della parte migliore del suo proletariato, radunerà tutte le sue energie e realizzerà la rivoluzione socialista.

La rivoluzione socialista? Un’utopia! Una possibilità di un’“epoca lontana e praticamente non definibile”!

Questa rivoluzione non è più utopistica del rifiuto di difendere la patria in questa guerra o della lotta rivoluzionaria di massa contro questa guerra. Non bisogna farsi stordire né spaventare dalle parole. Quasi tutti sono pronti ad accettare la lotta rivoluzionaria contro la guerra, ma si deve pur cercare d’immaginare l’immensità del compito di mettere fine a questa guerra mediante la rivoluzione! No, non è un’utopia! La rivoluzione sta avanzando in tutti i paesi. Oggi non si tratta più di sapere se bisognerà continuare a vivere in maniera tranquilla e sopportabile o buttarsi invece nell’avventura. Oggi si tratta di sapere se bisogna morire di fame e andare al massacro per interessi estrani, per interessi di altri , o se bisogna fare invece grandi sacrifici per il socialismo, per gli interessi dei nove decimi dell’umanità.

La rivoluzione socialista sarebbe un’utopia! Ma il popolo svizzero, grazie a dio, non parla una lingua “autonoma”, “indipendente”, parla tre lingue mondiali, che sono quelle dei paesi belligeranti limitrofi. Non può quindi stupire che il popolo svizzero sappia molto bene che cosa accade in questi paesi. In Germania si è giunti a dirigere da un unico centro la vita economica di sessantasei milioni di uomini, a organizzare attraverso questo centro l’economia nazionale di sessantasei milioni di cittadini, a imporre sacrifici immani alla stragrande maggioranza del popolo: e tutto questo perché “trentamila privilegiati” possano intascare i miliardi dei profitti di guerra e milioni di uomini siano mandati al macello a vantaggio degli esponenti “migliori e più nobili” della nazione. Dinanzi a questi fatti , di fronte a questa esperienza, si vorrebbe considerare “utopistico” che un piccolo popolo, senza monarchia e senza nobili agrari, con un capitalismo molto evoluto, organizzato in associazioni di vario genere forse meglio che in qualsiasi altro paese capitalista, pur di sfuggire alla fame e al pericolo di guerra , faccia la stessa cosa che è stata sperimentata praticamente in Germania, con la sola differenza, beninteso, che in Germania si mandano a morte e si rendono invalidi milioni di uomini per far arricchire pochi privilegiati, per impadronirsi di Baghdad, per conquistare i Balcani, mentre in Svizzera basta espropriare al massimo trentamila borghesi, cioè non mandarli a morire, ma condannarli al “terrificante destino di avere un reddito di “ soli ” 6.000-10.000 franchi e consegnare il resto al governo operaio socialista, al fine di tutelare il popolo dalla fame e dal pericolo di guerra.

Si! Tuttavia le grandi potenze non tollererebbero in nessun caso una Svizzera socialista e i primi germi della rivoluzione socialista sarebbero soffocati dalla schiacciante preponderanza di forze di tali potenze!

Le cose andrebbero innegabilmente così, se, da un lato, una rivoluzione potesse aver inizio in Svizzera senza suscitare un movimento di solidarietà di classe nei paesi vicini, e se, dall’altro lato, le grandi potenze non si trovassero nel vicolo cieco d’una “guerra di logoramento”, che ha ormai esaurito quasi del tutto anche la pazienza dei popoli più pazienti. Oggi, l’intervento militare delle grandi potenze, tra loro ostili, sarebbe soltanto il prologo allo scoppio della rivoluzione in tutta l’Europa.

Credete forse che io sia tanto ingenuo da pensare di poter risolvere “con la persuasione” un problema come quello della rivoluzione socialista?

No. Voglio fare solo un esempio, riferendomi, per di più, ad una questione specifica : quali cambiamenti bisogna operare in tutta la propaganda del partito, se si vuole affrontare con serietà il problema del rifiuto di difendere la patria ? Voglio solo illustrare una questione specifica, non pretendo di più.

Sarebbe assolutamente sbagliato pensare che la lotta immediata in favore della rivoluzione socialista ci imponga o ci dia la possibilità di accantonare la lotta per le riforme. Tutt’altro! Non possiamo sapere in anticipo quanto tempo sarà necessario per avere la meglio, quando cioè le condizioni oggettive consentiranno l’avvento di questa rivoluzione. Dobbiamo quindi sostenere ogni minimo miglioramento, ogni miglioramento effettivo della situazione economica e politica delle masse. La differenza tra noi e i riformisti (cioè, in Svizzera, i grütliani) non sta nel fatto che noi siamo contrari e loro sono favorevoli alle riforme. Non è questo il punto. In effetti, essi si limitano alle riforme e si degradano quindi alla semplice funzione di “infermiere del capitalismo”, secondo la puntuale espressione di un (raro!) collaboratore rivoluzionario della Schweizerische Metallarbeiterzeitung (n. 40). Noi invece diciamo agli operai: votate pure per la proporzionale, ecc., ma non limitate a questo la vostra attività. Mettete piuttosto in primo piano la propaganda sistematica dell’idea della rivoluzione socialista immediata. Preparatevi a questa rivoluzione e operate a tale scopo i cambiamenti profondi che si rendono necessari in tutta l’attività del partito! Le condizioni della democrazia borghese ci costringono troppo spesso ad assumere questa o quella posizione su tutta una serie di piccole e minuscole riforme. Ma bisogna saper prendere o imparare a prendere posizione a favore delle riforme in modo tale che - se, per essere più chiari, vogliamo dirla in termini alquanto semplificati - in ogni nostro discorso della durata di mezz’ora si dedichino cinque minuti alle riforme e venticinque alla rivoluzione imminente.

La rivoluzione socialista non può essere realizzata, se non si combatte un’accanita lotta rivoluzionaria di massa, una lotta che costa molti sacrifici. Ma sarebbe incoerente accettare la lotta rivoluzionaria di massa, riconoscere l’aspirazione a metter fine subito alla guerra e respingere al tempo stesso la rivoluzione socialista immediata! La prima è soltanto un puro suono senza la seconda!

Non si può, d’altra parte, evitare di combattere duramente all’interno del partito. Saremmo solo sdolcinati e ipocriti e faremmo la politica filistea dello struzzo, se pensassimo alla possibilità di far regnare, in generale, la “pace interna” nel Partito socialdemocratico svizzero. Non si tratta di scegliere tra la “pace interna” e la “lotta intestina”. Basta scorrere la lettera di Hermann Greulich citata più sopra e rievocare le vicende del partito negli ultimi anni per scorgere l’assoluta erroneità di questa ipotesi.

In realtà, la questione si pone in termini diversi: o le forme di lotta attuali , che sono camuffate e demoralizzano le masse, o invece una lotta aperta, di principio, tra la tendenza internazionalista rivoluzionaria e la tendenza grütliana all’interno del partito e fuori delle sue file.

Una “lotta intestina” in cui H. Greulich si avventi sugli “ultra-radicali” o sulle “teste calde”, senza chiamare per nome questi mostri e senza definire esattamente la loro politica, mentre R. Grimm pubblica nella Berner Tagwacht articoli assolutamente incomprensibili per il 99 per cento dei lettori, articoli pieni di allusioni e di ingiurie contro gli “occhiali stranieri” o i “reali ispiratori” dei progetti di risoluzione sgraditi a Grimm, una tale lotta interna demoralizza le masse, che vi ravvisano o intuiscono una sorta di “rissa tra i capi”, senza comprendere di che cosa si tratti nella sostanza .

Ma una lotta in cui la tendenza grütliana all’interno del partito - ben più importante e pericolosa di quella che opera fuori delle sue file - sia costretta a contrastare apertamente la sinistra, una lotta in cui le due tendenze intervengano in ogni occasione con le loro posizioni autonome e con la loro politica e si scontrino sul terreno dei principi , demandando realmente alla massa dei compagni di partito, e non solo ai “capi”, la soluzione delle principali questioni di principio, una tale lotta è necessaria e utile, in quanto sviluppa nelle masse lo spirito di autonomia e la capacità di assolvere la propria funzione storica rivoluzionaria.

 


  PER L’IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA DELLA DIFESA DELLA PATRIA

 

(Scritto in tedesco nel dicembre 1916. Pubblicato per la prima volta in russo nella Pravda , 1° agosto 1929, n. 174. Opere vol. 23)

 

La borghesia e i suoi sostenitori nelle file del movimento operaio impostano di solito il problema in questi termini:

o noi riconosciamo in linea di principio il dovere di difendere la patria, oppure lasciamo indifesa la nostra patria.

Una simile impostazione è radicalmente sbagliata. In effetti, il problema si pone come segue:

o noi ci lasceremo massacrare nell’interesse della borghesia imperialista, oppure prepareremo metodicamente la maggioranza degli sfruttati e noi stessi a impadronirci delle banche e a espropriare la borghesia, a prezzo di minori sacrifici, per metter fine definitivamente al carovita e alla guerra.

La prima impostazione del problema è interamente borghese, non socialista. Essa non tiene conto del fatto che viviamo nell’epoca dell’imperialismo, che la guerra in corso è una guerra imperialista, che la Svizzera, quali che siano le circostanze (del suo ingresso in guerra), non si schiererà in questa guerra contro l’imperialismo, ma dalla parte dell’una o dell’altra coalizione di potenze imperialiste e diventerà cioè di fatto la complice di queste o di quelle grandi potenze brigantesche, che la borghesia svizzera è già da molto tempo legata con mille fili agli interessi imperialisti, comunque ciò si realizzi: attraverso la rete dei rapporti e della “compartecipazione” tra le grandi banche, attraverso l’esportazione di capitali, attraverso l’industria connessa con il turismo che deve la propria esistenza ai miliardari stranieri, attraverso lo sfruttamento vergognoso degli operai stranieri privi di diritti, ecc.

In breve, nella prima impostazione si dimenticano tutte le tesi fondamentali del socialismo e tutte le idee socialiste. La guerra imperialista di rapina viene abbellita. La “propria” borghesia viene dipinta come un agnellino innocente. Gli infami direttori di banca della Svizzera odierna vengono presentati come eroici Guglielmi Tell. In pari tempo, si chiudono gli occhi sugli accordi segreti tra i banchieri e i diplomatici del proprio e degli altri paesi. Tutto quest’incredibile ammasso di menzogne borghesi viene camuffato con la bella formula “popolare” e mistificatrice di “difesa della patria”!


    PACIFISMO BORGHESE E PACIFISMO SOCIALISTA

 

(Scritto a Zurigo il 1° gennaio 1917. Pubblicato per la prima volta in Miscellanea di Lenin , II, 1924. Opere vol. 23)

 

1. UNA SVOLTA NELLA POLITICA MONDIALE

 

Alcuni sintomi mostrano che tale svolta è già avvenuta o sta per avvenire: la svolta, appunto, dalla guerra imperialista alla pace imperialista.

I sintomi principali sono: il grave e incontestabile logoramento delle due coalizioni imperialiste; la difficoltà di continuare la guerra; la difficoltà, per i capitalisti in genere e per il capitale finanziario in particolare, di strappare ai popoli qualche altra cosa, dopo aver tolto loro la prima e la seconda pelle con gli scandalosi profitti “di guerra”; la saturazione del capitale finanziario dei paesi neutrali: Stati Uniti, Olanda, Svizzera, ecc., il quale ha assunto dimensioni gigantesche per mezzo della guerra e non può portare avanti quest’affare “redditizio” a causa della penuria di materie prime e di derrate alimentari; i rinnovati tentativi della Germania di separare l’uno o l’altro alleato dal suo principale avversario imperialista, l’Inghilterra; i discorsi di pace del governo tedesco e, sulle sue orme, di altri governi dei paesi neutrali.

Vi è qualche probabilità che la guerra si concluda presto?

È molto difficile rispondere affermativamente a questa domanda. A nostro giudizio, due possibilità si delineano con una certa precisione.

La prima è la conclusione di una pace separata tra la Germania e la Russia, anche se non nella solita forma di un trattato formale scritto. La seconda è che questa pace non viene conclusa, che l’Inghilterra e i suoi alleati sono realmente in condizione di resistere ancora un anno, due o più ancora. Nel primo caso la guerra finirà inevitabilmente, se non subito, in un prossimo avvenire, e non si possono attendere cambiamenti importanti nel suo andamento. Nel secondo caso la guerra può prolungarsi indefinitamente.

Soffermiamoci sulla prima eventualità.

Non c’è dubbio che tra la Germania e la Russia si sono svolte recentemente trattative per una pace separata, che Nicola II o la cricca molto influente della corte sostiene questa pace, che nella politica mondiale si è delineata una svolta dall’alleanza imperialista della Russia con l’Inghilterra contro la Germania all’alleanza non meno imperialista della Russia con la Germania contro l’Inghilterra.

La sostituzione di Stürmer con Trepov, la dichiarazione pubblica dal governo zarista che il “diritto” della Russia su Costantinopoli è riconosciuto da tutti gli alleati, la costituzione di uno Stato polacco a sé stante da parte della Germania: tutti fatti che paiono rivelare che le trattative per una pace separata sono fallite. Forse lo zarismo ha intavolato questi negoziati soltanto per ricattare l’Inghilterra, per ottenere da essa il riconoscimento formale e inequivocabile dei “diritti” di Nicola il sanguinario su Costantinopoli e alcune serie “garanzie” di questi diritti.

Questa ipotesi è tutt’altro che inverosimile, perché il contenuto essenziale, fondamentale della presente guerra imperialista è la spartizione del bottino fra i tre principali concorrenti imperialisti, fra i tre briganti: Russia, Germania e Inghilterra.

D’altra parte, quanto più si delinea per lo zarismo l’effettiva impossibilità militare di riprendere la Polonia, di conquistare Costantinopoli, di spezzare il ferreo fronte tedesco, che la Germania raddrizza, accorcia e consolida meravigliosamente con le sue recenti vittorie in Romania, tanto più lo zarismo è costretto a concludere una pace separata con la Germania, cioè a passare dall’alleanza imperialista con l’Inghilterra contro la Germania all’alleanza imperialista con la Germania contro l’Inghilterra. Perché no? La Russia è stata sul punto di far guerra agli inglesi a causa della concorrenza imperialista tra le due potenze per la spartizione del bottino nell’Asia centrale! E nel 1898 l’Inghilterra e la Germania hanno svolto trattative per allearsi contro la Russia, accordandosi segretamente nella stessa occasione per dividersi le colonie del Portogallo, “nel caso” che quest’ultimo non facesse fronte ai propri impegni finanziari!

Già da alcuni mesi si è profilata in Germania un’accentuata tendenza dei circoli dirigenti imperialisti ad allearsi con la Russia contro l’Inghilterra. Base dell’alleanza sarà, evidentemente, la divisione della Galizia (per lo zarismo è molto importante soffocare il centro della agitazione e della libertà ucraina), dell’Armenia e, forse, della Romania ! Un giornale tedesco ha già fatto un “accenno” alla possibilità di spartire la Romania tra l’Austria, la Bulgaria e la Russia! La Germania potrebbe acconsentire a qualche altra “piccola concessione” allo zarismo, pur di realizzare l’alleanza con la Russia, e forse anche con il Giappone, contro l’Inghilterra.

La pace separata potrebbe essere conclusa segretamente tra Nicola II e Guglielmo II. Nella storia della diplomazia non mancano gli esempi di trattati segreti ignorati da tutti, persino dai ministri, fuori che da due o tre persone. Nella storia della diplomazia non mancano gli esempi di “grandi potenze” presentatesi a un congresso “di tutta l’Europa” dopo essersi segretamente accordate tra loro, che erano le rivali più importanti, sulle questioni fondamentali (per esempio, l’accordo segreto tra la Russia e l’Inghilterra per il saccheggio della Turchia prima del congresso di Berlino del 1878). Non ci sarebbe affatto da stupirsi se lo zarismo respingesse una pace separata formale, tra l’altro perché nella situazione attuale della Russia potrebbero andare al governo Miliukov e Guckov o Miliukov e Kerenski, e al tempo stesso stipulasse con la Germania un trattato, non formale, ma non meno “saldo”, in base al quale le due “alte parti contraenti” sosterrebbero concordemente una data linea al futuro congresso della pace!

Non si può dire se quest’ipotesi sia o non sia la realtà. Ma, in ogni caso, è mille volte più verosimile e caratterizza l’effettiva situazione mille volte meglio di tutte le infinite frasi dolciastre sulla pace che i governi attuali e, in genere, i governi borghesi concluderebbero sulla base del rifiuto delle annessioni, ecc. Queste frasi altro non sono che pii desideri o ipocrisia e menzogna con cui si occulta la verità. La verità del nostro tempo, della guerra in corso, degli attuali tentativi di concludere la pace consiste nella spartizione del bottino imperialista. Il compito essenziale dell’azione della politica socialista consiste nel comprendere e proclamare questa verità, “dire come stanno le cose”, a differenza della politica borghese, per la quale l’essenziale è nascondere e smussare questa verità.

Entrambe le coalizioni imperialiste hanno predato una parte del bottino, e proprio i due briganti principali e più forti, la Germania e l’Inghilterra, hanno rubato di più. L’Inghilterra non ha perduto neanche un pollice del suo territorio e delle sue colonie, ma ha messo le mani sulle colonie tedesche e su una parte della Turchia (la Mesopotamia). La Germania ha perduto quasi tutte le colonie, ma ha messo le mani su territori incomparabilmente più preziosi in Europa, occupando il Belgio, la Serbia, la Romania, una parte della Francia, una parte della Russia, ecc. Si tratta di dividere questo bottino, e il capo di ognuna delle bande di briganti, cioè l’Inghilterra e la Germania, deve risarcire in qualche modo i suoi alleati, che, ad eccezione della Bulgaria e in minor misura dell’Italia, hanno perduto moltissimo. Gli alleati più deboli hanno perduto di più: nella coalizione inglese sono stati schiacciati il Belgio, la Serbia, il Montenegro, la Romania; in quella tedesca la Turchia, che ha perduto l’Armenia e una parte della Mesopotamia.

Finora il bottino della Germania è innegabilmente molto più ricco di quello dell’Inghilterra. Fino a questo momento la Germania ha vinto, rivelandosi incomparabilmente più forte di quanto si potesse supporre prima della guerra. È quindi comprensibile che alla Germania converrebbe concludere la pace al più presto, dato che il suo avversario potrebbe ancora, nel caso per lui più vantaggioso (benché poco verosimile), far scendere in campo una cospicua riserva di reclute, ecc.

Tale è la situazione oggettiva. Questa è l’odierna fase della lotta per la spartizione del bottino imperialista. È assolutamente naturale che questa fase abbia suscitato aspirazioni pacifiste, prese di posizione e discorsi pacifisti, soprattutto nelle file della borghesia e in seno ai governi della coalizione tedesca e dei paesi neutrali. È altrettanto naturale che la borghesia e i suoi governi siano costretti a tentare con tutte le forze di ingannare i popoli, coprendo la ripugnante nudità della pace imperialista, la spartizione del bottino, con frasi assolutamente ipocrite sulla pace democratica, sulla libertà dei piccoli popoli, sulla riduzione degli armamenti, ecc.

Ma, se la volontà di ingannare i popoli è naturale per la borghesia, come assolvono il loro dovere i socialisti? Ne parleremo nel prossimo articolo (o capitolo).

 

2. IL PACIFISMO DI KAUTSKY E DI TURATI

 

Kautsky è il teorico più autorevole della II Internazionale, il capo più illustre del cosiddetto “centro marxista” in Germania, il rappresentante dell’opposizione che ha costituito al Reichstag un proprio gruppo, il “Gruppo socialdemocratico del lavoro” (Haase, Ledebour e altri). Parecchi giornali socialdemocratici tedeschi pubblicano attualmente articoli di Kautsky sulle condizioni di pace, in cui viene parafrasata la dichiarazione ufficiale del “Gruppo socialdemocratico del lavoro” a proposito della nota con la quale il governo tedesco propone trattative di pace. Questa dichiarazione esige dal governo la proposta di concrete condizioni di pace: essa contiene tra una proposizione caratteristica come la seguente:

“... Perché questa nota [del governo tedesco] conduca alla pace, è necessario che in tutti i paesi sia nettamente respinta l’idea di annettersi territori stranieri, di subordinare sul piano economico, politico o militare un qualsiasi popolo a un altro potere statale...”.

Parafrasando e concretando questa tesi, Kautsky “dimostra” circostanziatamente nei suoi articoli che Costantinopoli non deve appartenere alla Russia e che la Turchia non deve diventare uno Stato vassallo di un altro Stato.

Consideriamo più attentamente queste parole d’ordine e queste argomentazioni di Kautsky e dei suoi seguaci.

Quando è in causa la Russia, cioè la concorrente imperialista della Germania, Kautsky mette avanti non un’esigenza astratta, “generale”, ma un’esigenza assolutamente concreta, precisa, definita: Costantinopoli non deve appartenere alla Russia. Quando è in causa la Germania, cioè il paese in cui la maggioranza del partito che annovera Kautsky tra i suoi iscritti (e che lo ha nominato direttore del suo organo teorico principale, determinante, la Neue Zeit ) aiuta la borghesia il governo a condurre la guerra imperialista, Kautsky non denuncia i concreti propositi imperialisti del suo governo, ma si limita ad un augurio o ad una tesi “generale”: la Turchia non deve diventare uno Stato vassallo di un altro Stato!

In che cosa si distingue allora, per il suo contenuto effettivo, la politica di Kautsky rispetto a quella dei socialsciovinisti (cioè socialisti a parole e sciovinisti nei fatti), per così dire militanti, di Francia e d’Inghilterra, i quali denunciano decisamente i concreti atti imperialisti della Germania, ma si limitano ad auguri o a tesi “generali” quando si tratta dei popoli e dei paesi conquistati dall’Inghilterra e dalla Russia e, mentre strepitano contro l’occupazione del Belgio e della Serbia, non fanno parola dell’occupazione della Galizia, dell’Armenia e delle colonie africane?

Di fatto tanto la politica di Kautsky quanto quella di Sembat-Henderson aiutano i loro rispettivi governi imperialisti, facendo convergere l’attenzione sugli intrighi del rivale o del nemico e gettando un velo di frasi nebulose e generiche e di pii desideri sugli atti altrettanto imperialisti della “ loro ” borghesia. E noi non saremmo più marxisti e, in generale, non saremmo più socialisti, se ci limitassimo, per così dire, alla contemplazione cristiana delle buone frasi generiche, senza svelarne l’effettivo significato politico. Non vediamo forse continuamente la diplomazia di tutte le potenze imperialiste far pompa di frasi “generali” e dichiarazioni “democratiche” magniloquenti, occultando il saccheggio, la violazione e il soffocamento dei piccoli popoli?

“La Turchia non deve diventare uno Stato vassallo di un altro Stato.” Se dico soltanto questo sono apparentemente un fautore della completa libertà della Turchia. Ma, di fatto, ripeto solo una frase pronunciata di solito dai diplomatici tedeschi, i quali mentono, fanno gli ipocriti a ragion veduta, per nascondere con questa frase il fatto che la Germania ha oggi trasformato la Turchia in un suo vassallo sia finanziario che militare. E, se io sono un socialista tedesco, le mie frasi “generali” riescono utili soltanto alla diplomazia tedesca, perché il loro significato effettivo consiste nell’abbellire l’imperialismo tedesco.

“... È necessario che in tutti i paesi sia nettamente respinta l’idea di annettersi... e di subordinare sul piano economico... un qualsiasi popolo...”. Che magnanimità! Gli imperialisti “respingono” mille volte l’“idea” di annettersi e strangolare finanziariamente i popoli deboli. Ma non è forse necessario opporre alle parole i fatti, da cui risulta che ogni grande banca di Germania, d’Inghilterra, di Francia, degli Stati Uniti domina i piccoli popoli? Può un governo borghese di un paese ricco del nostro tempo respingere nei fatti le annessioni e la subordinazione economica dei popoli stranieri, quando miliardi e miliardi vengono investiti nelle ferrovie e nelle altre imprese dei paesi deboli?

Chi si batte realmente contro le annessioni, ecc.? Colui che getta al vento frasi magnanime, il cui significato oggettivo è assolutamente identico al potere dell’acqua santa cristiana che asperge i briganti coronati e capitalisti? O colui che mostra agli operai che è impossibile metter fine alle annessioni e allo strangolamento finanziario senza rovesciare la borghesia imperialista e i suoi governi?

Ecco ora un esempio italiano del pacifismo predicato da Kautsky.

Nell’organo centrale del Partito socialista italiano, l’Avanti!, del 25 dicembre 1916, il noto riformista Filippo Turati ha pubblicato un articolo che si intitola: Abracadabra . Il 22 novembre 1916, egli scrive, il gruppo parlamentare socialista italiano ha presentato in parlamento una mozione per la pace. In essa, “constatato l’accordo di massima fra i principi proclamati dai rappresentanti delle maggiori potenze nemiche come basi di una pace possibile, invita il governo a promuovere le trattative giovandosi della mediazione degli Stati Uniti d’America e degli altri Stati neutrali”. Così espone il contenuto della mozione socialista lo stesso Turati.

Il 6 dicembre 1916 la Camera “seppellisce” la mozione socialista, “aggiornandone” la discussione. Il 12 dicembre il cancelliere tedesco propone al Reichstag, a proprio nome, ciò che volevano i socialisti italiani. Il 22 dicembre Wilson interviene con una nota, “pedissequa parafrasi - come dice Turati - dei motivi e dei concetti della mozione socialista”. Il 23 dicembre altri Stati neutrali entrano in scena parafrasando la nota di Wilson.

Ci accusano di esser venduti alla Germania, esclama Turati. Non saranno venduti alla Germania anche Wilson e gli Stati neutrali?

Il 17 dicembre Turati tiene in parlamento un discorso che, in un punto, produce una straordinaria - e meritata - sensazione. Ecco il brano, secondo il resoconto dell’ Avanti!:

... Supponiamo che una discussione come quella che vi propone la Germania sia atta a risolvere facilmente solo talune questioni nelle loro grandi linee, come la evacuazione del Belgio e della Francia, la restaurazione della Romania, della Serbia e, se vi piace, del Monte negro; e io vi aggiungo una rettifica del confine italico per ciò che è indiscutibilmente italiano e risponde a garanzie di carattere strategico...”. A questo punto la Camera borghese e sciovinista interrompe Turati; da ogni parte si grida: “Benissimo! Dunque volete anche voi tutto questo! Viva Turati! Viva Turati!”.

Turati, sentendo che evidentemente qualche cosa non va in questi trasporti della borghesia, tenta di “correggersi” o di “spiegarsi”:

“Signori, - egli dice, - non giochiamo di piccole abilità. Altro è ammettere l’opportunità e il diritto dell’unità nazionale, da noi sempre propugnato, e altro invocare o giustificare la guerra per questo scopo”.

Ma le “spiegazioni” di Turati, gli articoli de l’Avanti! in sua difesa, la lettera di Turati del 21 dicembre, lo scritto di un certo “ b. b. ” nel Volksrecht di Zurigo non “correggono” minimamente la situazione e non cancellano il fatto che Turati si è tradito! O, meglio, non si è tradito Turati, ma tutto il pacifismo socialista rappresentato anche da Kautsky e, come vedremo più avanti, dai “kautskiani” francesi. La stampa borghese italiana ha avuto ragione d’impadronirsi di questo passo del discorso di Turati e di giubilarne.

Il predetto “ b. b. ” cerca di difendere Turati, affermando che egli avrebbe parlato soltanto del “diritto di autodecisione delle nazioni”.

Pessima difesa! Che c’entra qui il “diritto di autodecisione delle nazioni”, quando tutti sanno che, nel programma dei marxisti, esso riguarda - come nel programma della democrazia internazionale ha sempre riguardato - la difesa dei popoli oppressi ? Che c’entra questo diritto nella guerra imperialista, cioè nella guerra per la spartizione delle colonie, per l’oppressione dei paesi stranieri, nella guerra che i paesi oppressori e rapinatori combattono tra di loro per sapere chi opprimerà un maggior numero di popoli stranieri?

Invocare l’autodecisione delle nazioni per giustificare una guerra imperialista, non nazionale, è forse diverso dal contrapporre, come fanno Alexinski, Hervé, Hyndman, la repubblica in Francia alla monarchia in Germania, benché tutti sappiano che la guerra in corso non è un conflitto tra il principio repubblicano e quello monarchico, ma un conflitto per la spartizione delle colonie, ecc. tra due coalizioni imperialiste?

Turati ha cercato di spiegarsi e di scagionarsi dicendo che non intendeva affatto “giustificare” la guerra.

Prestiamo fede al riformista Turati, al Turati sostenitore di Kautsky, quando dice che non era sua intenzione giustificare la guerra. Ma chi ignora che in politica non contano le intenzioni ma gli atti? non i pii desideri ma i fatti? non l’immaginario ma il reale?

Turati non avrà voluto giustificare la guerra e Kautsky non avrà voluto giustificare la trasformazione della Turchia in Stato vassallo dell’imperialismo tedesco. Ma nei fatti i due ottimi pacifisti sono giunti proprio a giustificare la guerra ! Ecco il punto. Se Kautsky, non in una rivista tanto noiosa che nessuno la legge, ma dalla tribuna parlamentare, dinanzi a un pubblico borghese vivace, impressionabile, con un temperamento meridionale, avesse pronunciato una frase come:

“Costantinopoli non deve appartenere alla Russia, la Turchia non deve diventare uno Stato vassallo di un altro Stato”, non sarebbe stato affatto sorprendente che i borghesi più arguti esclamassero: “Benissimo! Perfetto! Viva Kautsky!”.

Turati si è posto di fatto - l’abbia voluto o no, ne abbia avuto o no coscienza - dal punto di vista di un sensale borghese che proponga un’amichevole transazione fra predoni imperialisti. La liberazione “delle terre italiane appartenenti all’Austria sarebbe di fatto una ricompensa camuffata, concessa alla borghesia italiana per aver preso parte alla guerra imperialista al fianco di una potente coalizione imperialista. Sarebbe un’aggiunta trascurabile alla spartizione delle colonie in Africa, alla delimitazione delle sfere d’influenza in Dalmazia e in Albania. È forse naturale per il riformista Turati allinearsi con la posizione borghese, ma in concreto Kautsky non si distingue affatto da Turati.

Per non abbellire la guerra imperialista, per non aiutare la borghesia a spacciare falsamente questa guerra come una guerra nazionale, di liberazione dei popoli, per non trovarsi sulle posizioni del riformismo borghese, si doveva parlare non come Kautsky e Turati, ma come Karl Liebknecht. Si doveva dichiarare alla propria borghesia che essa è ipocrita quando parla di liberazione nazionale. Che la guerra in corso non può concludersi con una pace democratica, se il proletariato non “rivolge le armi” contro i propri governi.

Questa e solo questa poteva essere la posizione di un vero marxista, di un vero socialista e non di un riformista borghese. Lavora realmente per la pace democratica non chi ripete i pii propositi del pacifismo, che non dicono niente e a niente impegnano, ma chi denuncia il carattere imperialista della guerra in corso e della pace che essa prepara, chi chiama i popoli alla rivoluzione contro i governi criminali.

Qualcuno cerca a volte di difendere Kautsky e Turati dicendo che legalmente non si poteva andare più in là di un “accenno” contro il governo e che un tale “accenno” pur esiste nei pacifisti di questo genere. Bisogna replicare che, in primo luogo, l’impossibilità di dire la verità legalmente non depone in favore dell’occultamento della verità, ma esige invece che si crei un’organizzazione e una stampa illegale , libera cioè dalla polizia e dalla censura; in secondo luogo, che vi sono momenti storici nei quali un socialista è tenuto a rompere con ogni legalità; in terzo luogo, che persino nella Russia feudale, Dobroliubov e Cernyscevski seppero dire la verità in un caso tacendo sul manifesto del 19 febbraio 1861, in un altro dileggiando e svergognando i liberali di quel tempo, che facevano esattamente gli stessi discorsi di Turati e di Kautsky.

Nel prossimo articolo passeremo al pacifismo francese, che ha trovato espressione nelle risoluzioni di due recenti congressi di organizzazioni operaie e socialiste in Francia.

 

3. IL PACIFISMO DEI SOCIALISTI E DEI SINDACALISTI FRANCESI

 

Proprio in questi giorni sono terminati i congressi della CGT (Confédération générale du travail) francese e del Partito socialista francese. In questi congressi il reale significato e l’effettiva funzione del pacifismo socialista nel momento presente si sono delineati con singolare chiarezza.

Ecco la risoluzione del congresso sindacale, approvata all’unanimità, cioè tanto dalla maggioranza degli sciovinisti arrabbiati, capeggiati dal tristemente famoso Jouhaux, quanto dall’anarchico Broutchoux e dallo... “zimmerwaldiano” Merrheim:

“La conferenza delle federazioni corporative nazionali, delle unioni sindacali e delle Camere del lavoro, prendendo atto della nota del presidente degli Stati Uniti, che “invita tutte le nazioni belligeranti a esporre pubblicamente le loro opinioni sulle condizioni alle quali la guerra potrebbe aver termine”

- chiede al governo francese di accettare questa proposta;

- invita il governo a prendere l’iniziativa di un intervento analogo presso i suoi alleati per affrettare l’ora della pace;

- dichiara che la federazione delle nazioni, che è una delle garanzie per una pace definitiva, può essere realizzata soltanto se vengono assicurate l’indipendenza, l’inviolabilità territoriale e la libertà economica e politica di tutte le nazioni piccole e grandi.

Le organizzazioni rappresentate alla conferenza si impegnano a sostenere e a diffondere quest’idea tra le masse operaie per mettere fine ad una situazione incerta ed equivoca, vantaggiosa soltanto per la diplomazia segreta contro la quale è sempre insorta la classe operaia”.

Ecco un modello di pacifismo “puro”, di spirito completamente kautskiano. Questo pacifismo è stato approvato da una organizzazione ufficiale di operai che non ha niente da spartire con il marxismo e che è composta, in maggioranza, da sciovinisti. Siamo qui in presenza di un documento importante, che merita la massima attenzione e che attesta l’unificazione politica degli sciovinisti e dei kautskiani sulla piattaforma della vuota fraseologia pacifista. Se nell’articolo precedente abbiamo cercato di mostrare quale è il fondamento teorico dell’unità di opinioni tra gli sciovinisti e i pacifisti, tra i borghesi e i socialisti riformisti, ora vediamo come questa unità si è realizzata praticamente in un altro paese imperialista.

Alla conferenza di Zimmerwald (5-8 settembre 1915) Merrheim ha dichiarato: “Le parti, les Jouhaux, le gouvernement, ce ne sont que trois têtes sous un bonnet” (“Il partito, i Jouhaux, il governo non sono che tre teste sotto un solo berretto”, sono cioè tutt’una cosa). Alla conferenza della CGT (26 dicembre 1916) Merrheim vota insieme con Jouhaux la risoluzione pacifista. Il 23 dicembre 1916 la Volksstimme di Chemnitz, uno degli organi più sinceri e più estremisti dei socialimperialisti tedeschi, pubblica un editoriale intitolato: La disgregazione dei partiti borghesi e la restaurazione dell’unità socialdemocratica. Naturalmente, l’articolo esalta il pacifismo di Südekum, Legien, Scheidemann e soci, di tutta la maggioranza del partito socialdemocratico tedesco, nonché del governo della Germania, e proclama che “il primo congresso del partito, convocato dopo la fine della guerra, dovrà restaurare l’unità del partito, con l’espulsione d’un gruppetto di fanatici che si rifiutano di pagare le loro quote [cioè dei seguaci di Karl Liebknecht!] e sulla base della politica svolta dalla direzione del partito, dal gruppo socialdemocratico al Reichstag e dai sindacati”.

Nel modo più chiaro viene qui espressa l’idea e proclamata la politica dell’“unità” dei socialsciovinisti dichiarati della Germania con Kautsky e soci, con il “Gruppo socialdemocratico del lavoro”; dell’unità fondata sulla fraseologia pacifista; dell’“unità” realizzata in Francia il 26 dicembre 1916 tra Jouhaux e Merrheim!

In una nota redazionale del 28 dicembre 1916 l’Avanti! , organo centrale del Partito socialista italiano, scrive:

“Bissolati e Südekum, Bonomi e Scheidemann, Sembat e David, Jouhaux e Legien sono passati nel campo del nazionalismo borghese ed hanno tradito quella unità ideale internazionalista alla quale avevano promesso fede. Noi invece, resteremo coi nostri compagni tedeschi, come Liebknecht, Ledebour, Hoffmann, Meyer, e coi nostri compagni francesi, come Merrheim, Blanc, Brizon, Raffin-Dugens, che non hanno mutato né pencolato”.

Guardate che confusione!

Bissolati e Bonomi sono stati espulsi dal Partito socialista italiano come riformisti e sciovinisti ancor prima della guerra. L’Avanti! li mette sullo stesso piano di Südekum e di Legien: certo a piena ragione. Ma Südekum, David e Legien sono a capo del partito pseudosocialdemocratico tedesco, che è di fatto un partito socialsciovinista. Tuttavia lo stesso Avanti! protesta contro la loro espulsione, contro la rottura con essi, contro la creazione della III Internazionale. l’Avanti! dichiara, e ben a ragione, che Legien e Jouhaux sono passati nel campo del nazionalismo borghese e oppone loro Liebknecht e Ledebour, Merrheim e Brizon. Ma noi vediamo che Merrheim vota insieme con Jouhaux, che Legien, per bocca della Volksstimme di Chemnitz, si dice persuaso della ricostituzione dell’unità del partito, con l’espulsione dei soli seguaci di Liebknecht, e cerca quindi l’“unità” con il “Gruppo socialdemocratico del lavoro” (compreso Kautsky ), al quale appartiene Ledebour!

Questa confusione è dovuta al fatto che l’Avanti! non fa distinzione tra il pacifismo borghese e l’internazionalismo socialdemocratico rivoluzionario, mentre quei politicanti esperti che sono Legien e Jouhaux hanno capito benissimo l’identità del pacifismo socialista e di quello borghese.

Come potrebbero infatti non esultare il signor Jouhaux e il suo giornale sciovinista, La bataille , per l’“unanimità” tra Jouhaux e Merrheim, se nella risoluzione approvata all’unanimità e da me riportata integralmente non c’è di fatto altro che un insieme di frasi pacifiste borghesi, non c’è neanche l’ombra di una coscienza rivoluzionaria, non c’è una sola idea socialista?

Non è forse ridicolo parlare di “libertà economica di tutte le nazioni piccole e grandi”, quando non si dice che, se i governi borghesi non saranno rovesciati e se la borghesia non sarà espropriata, questa “libertà economica” servirà solo a ingannare il popolo, come le frasi sulla “libertà economica” dei cittadini in generale , sulla libertà economica dei piccoli contadini e dei contadini ricchi, sulla libertà economica degli operai e dei capitalisti nella società moderna?

La risoluzione per la quale hanno votato unanimi Jouhaux e Merrheim è tutta imbevuta delle idee del “nazionalismo borghese”: l’Avanti! lo rileva giustamente in Jouhaux, ma stranamente non riesce a scorgerlo in Merrheim.

I nazionalisti borghesi hanno sempre e dappertutto fatto sfoggio di frasi “generiche”, vuote sulla “federazione delle nazioni” in generale, sulla “libertà economica di tutte le nazioni piccole e grandi”. I socialisti, a differenza dei nazionalisti borghesi, hanno detto e dicono: è cosa disgustosamente ipocrita far discorsi sulla “libertà economica di tutte le nazioni piccole e grandi”, fino a che alcune nazioni (per esempio, l’Inghilterra e la Francia) investono all’estero, prestano cioè a interesse usuraio alle piccole nazioni arretrate, decine e decine di miliardi di franchi e asservono così i paesi piccoli e deboli.

Dei veri socialisti non avrebbero potuto lasciare senza una energica protesta una sola frase della risoluzione per cui Jouhaux e Merrheim hanno votato unanimi. Essi, in aperto contrasto con la risoluzione, avrebbero affermato che l’intervento di Wilson è una palese menzogna e un’ipocrisia, perché Wilson rappresenta una borghesia che ha accumulato miliardi con la guerra ed è a capo di un governo che ha intensificato freneticamente il riarmo degli Stati Uniti in vista, evidentemente, di una seconda grande guerra imperialista. Avrebbero affermato che il governo francese, legato mani e piedi al capitale finanziario, di cui è lo schiavo, e vincolato da trattati segreti imperialisti, briganteschi e reazionari all’Inghilterra, alla Russia, ecc., non può dire o far nulla se non mentire sulla pace “equa” e democratica. Avrebbero affermato che la lotta per una pace simile non consiste nel ripetere frasi pacifiste melliflue, generiche, vuote, che non dicono niente e a niente impegnano e che di fatto imbellettano la lordura imperialista. Ma consiste nel dire ai popoli la verità e, precisamente, nel dir loro che per conquistare una pace equa e democratica bisogna rovesciare i governi borghesi di tutti i paesi belligeranti e puntare a tale scopo sull’armamento di milioni di operai e sul generale malcontento delle masse popolari a causa del carovita e degli orrori della guerra imperialista.

Ecco che cosa avrebbero dovuto dire dei socialisti, invece di approvare la risoluzione di Jouhaux e Merrheim.

Il partito socialista francese, nel suo congresso di Parigi, che si è svolto contemporaneamente a quello della CGT, non solo non ha detto queste cose, ma ha approvato una risoluzione anche peggiore con 2.838 voti contro 109 e 20 astenuti, cioè con il blocco dei socialsciovinisti (Renaudel e soci, i cosiddetti “maggioritari” o seguaci della maggioranza) e dei longuettisti (sostenitori di Longuet, kautskiani francesi)!! Persino lo zimmerwaldiano Bourderon e il kienthaliano (partecipante alla conferenza di Kienthal) Raffin-Dugens hanno votato a favore della risoluzione!!

Non ne riprodurremo qui il testo, perché è troppo lungo ed è tutt’altro che interessante. In esso frasi melliflue e dolciastre sulla pace sono mescolate con l’impegno di continuare a sostenere in Francia la cosiddetta “difesa della patria”, cioè la guerra imperialista che la Francia sta combattendo in alleanza con briganti ancor più grandi e forti come l’Inghilterra e la Russia.

L’unificazione dei socialsciovinisti con i pacifisti (o kautskiani) e con una parte degli zimmerwaldiani è quindi un fatto compiuto in Francia, non soltanto nella CGT, ma anche nel partito socialista.

 

4. ZIMMERWALD AL BIVIO

 

Il 28 dicembre sono arrivati a Berna i giornali francesi con il resoconto del congresso della CGT. Il 30 dicembre i giornali socialisti di Berna e di Zurigo hanno pubblicato il nuovo appello dell’ISK (Internationale Sozialistische Kommission) di Berna, cioè della Commissione socialista internazionale, organo esecutivo dell’unione di Zimmerwald. In quest’appello, che reca la data della fine di dicembre del 1916, si parla delle proposte di pace della Germania, nonché di Wilson e di altri paesi neutrali. Tutti questi interventi governativi vengono definiti - senza dubbio con piena ragione - come “la commedia della pace”, come “un gioco per imbrogliare i popoli”, come “ipocrite gesticolazioni pacifistiche dei diplomatici”.

A questa commedia e a questa menzogna l’appello oppone, come “unica forza” capace di assicurare la pace, ecc., la “salda volontà” del proletariato internazionale di “volgere le armi non contro i propri fratelli, ma contro il nemico interno del proprio paese”.

Queste citazioni ci mostrano nitidamente l’esistenza di due politiche radicalmente diverse che sono fino ad ora coesistite in seno alla unione di Zimmerwald e che si separano oggi in maniera definitiva.

Da un lato, Turati dice con chiarezza, e molto giustamente, che la proposta della Germania, di Wilson, ecc. è soltanto una “ parafrasi ” del pacifismo “socialista” italiano; inoltre, la dichiarazione dei socialsciovinisti tedeschi e la votazione dei francesi dimostrano che gli uni e gli altri hanno ottimamente apprezzato l’utilità di una copertura pacifista della loro politica.

Dall’altro lato, l’appello della Commissione socialista internazionale definisce commedia e ipocrisia il pacifismo di tutti i governi belligeranti e neutrali.

Da un lato, Jouhaux si allea con Merrheim; Bourderon, Longuet e Raffin-Dugens si alleano con Renaudel, Sembat e Thomas. I socialsciovinisti tedeschi Südekum, David, Scheidemann proclamano la prossima “ricostituzione dell’unità socialdemocratica” con Kautsky e con il “Gruppo socialdemocratico del lavoro”.

Dall’altro lato, l’appello della Commissione socialista internazionale incita le “minoranze socialiste” a combattere energicamente i “propri governi” e “i loro mercenari socialpatrioti”.

Delle due l’una.

Denunciare l’inconsistenza, l’assurdità, l’ipocrisia del pacifismo borghese o “parafrasarlo” invece nel pacifismo “socialista”? Combattere i Jouhaux, i Renaudel, i Legien, i David come “mercenari” dei loro governi o unirsi invece a loro nelle vuote declamazioni pacifiste di stampo francese o tedesco?

Lungo questa linea passa oggi lo spartiacque tra la destra zimmerwaldiana, che si è sempre opposta con tutte le forze alla scissione dai socialsciovinisti, e la sinistra zimmerwaldiana, che, già a Zimmerwald, si era adoperata non senza ragione per separarsi pubblicamente dalla destra, prendendo posizione alla conferenza e, dopo di essa, sulla stampa con una sua piattaforma particolare. L’approssimarsi della pace o, per lo meno, l’intensificarsi delle discussioni sulla pace in determinati ambienti borghesi ha provocato necessariamente, non per caso, una frattura molto netta tra l’una e l’altra politica. Infatti, i pacifisti borghesi e i loro imitatori e portavoce “socialisti” hanno sempre concepito la pace come un qualcosa di distinto (dalla guerra, ndr) nel suo stesso principio, nel senso che l’idea: “La guerra è la continuazione della politica di pace, e la pace è la continuazione della politica di guerra” è sempre rimasta incompresa per i pacifisti delle due sfumature. Tanto i borghesi quanto i socialsciovinisti non hanno mai voluto convenire che la guerra imperialista del 1914-1917 è la continuazione della politica imperialista del periodo 1898-1914, se non di un periodo più lungo. Tanto i borghesi quanto i socialsciovinisti non vogliono convenire che, se i governi borghesi non saranno rovesciati mediante la rivoluzione, la pace potrà essere soltanto una pace imperialista in quanto continuazione della guerra imperialista.

Come per valutare la guerra attuale si è ricorsi a frasi assurde, volgari, filistee sull’aggressione e sulla difesa in generale, così per valutare la pace si ricorre agli stessi luoghi comuni filistei, dimenticando la situazione storica concreta e la concreta realtà della lotta tra le potenze imperialiste. È naturale che i socialsciovinisti, che sono gli agenti della borghesia e dei governi nelle file dei partiti operai, si aggrappino particolarmente alla pace che si avvicina, o anche solo ai discorsi sulla pace, per occultare la profondità del loro riformismo e opportunismo messa a nudo dalla guerra, per riconquistare la loro vacillante influenza sulle masse. Per questa ragione, come si è visto, i socialsciovinisti rinnovano in Germania e in Francia i loro tentativi di “unificazione” con la parte pacifistica, esitante e senza principi, dell’“opposizione”.

Anche nell’unione di Zimmerwald si tenterà, probabilmente, di attenuare la divergenza tra le due linee politiche inconciliabili. Si possono prevedere due generi di tentativi. La conciliazione “pratica” consisterà semplicemente nel collegare in modo meccanico una fraseologia rivoluzionaria altisonante (come, ad esempio, quella della Commissione socialista internazionale) con un’attività pacifista e opportunista. Si faceva così nella II Internazionale. Le frasi arcirivoluzionarie degli appelli di Huysmans e di Vandervelde e di alcune risoluzioni congressuali servivano soltanto a camuffare l’ attività arciopportunista della maggior parte dei partiti socialisti europei, senza modificarla, senza scalzarla, senza combatterla. È dubbio che questa tattica possa di nuovo aver successo in seno all’unione di Zimmerwald.

Coloro che cercheranno “una conciliazione in nome dei principi” si studieranno di proporre una falsificazione de marxismo, ricorrendo, ad esempio, a questo ragionamento: le riforme non escludono la rivoluzione; una pace imperialista, che implichi certe “correzioni” dei confini nazionali o del diritto internazionale o delle spese di bilancio per gli armamenti, ecc., può coesistere con il movimento rivoluzionario, in quanto “fase di sviluppo” di questo movimento e così via.

Sarebbe una falsificazione del marxismo. Naturalmente, le riforme non escludono la rivoluzione. Tuttavia, non di questo si tratta oggi, ma di fare in modo che

i rivoluzionari non “si escludano” davanti ai riformisti, cioè che i socialisti non sostituiscano al proprio lavoro rivoluzionario un’azione riformista.

L’Europa sta vivendo una situazione rivoluzionaria, che è aggravata dalla guerra e dal carovita. Non è detto che il passaggio dalla guerra alla pace metta necessariamente fine a questa situazione, perché niente induce a pensare che i milioni di operai, i quali hanno oggi nelle loro mani un magnifico armamento, si faranno senza meno e a colpo sicuro “disarmare docilmente” dalla borghesia, invece di seguire il consiglio di Liebknecht e rivolgere le armi contro la propria borghesia.

La questione non sta come la pongono i pacifisti, i kautskiani: o la campagna politica riformista. o la rinuncia alle riforme. Questo è un modo  borghese di porre la questione. In effetti, il problema si pone in questi termini: o la lotta rivoluzionaria, che - nel caso di un successo incompleto - dà come prodotto secondario le riforme (tutta la storia delle rivoluzioni in tutto il mondo lo dimostra), o niente altro che chiacchiere e promesse di riforma.

Il riformismo di Kautsky, Turati, Bourderon, che si manifesta oggi nella forma del pacifismo, non solo accantona il problema della rivoluzione (e questo è già un tradimento del socialismo), non solo rinuncia in pratica ad ogni attività rivoluzionaria, sistematica e perseverante, ma giunge anche ad affermare che le manifestazioni di strada sono avventure (Kautsky nella Neue Zeit del 26 novembre 1915), giunge fino a difendere e a realizzare l’unità con avversari dichiarati e risoluti della lotta rivoluzionaria come i Südekum, i Legien, i Renaudel, i Thomas, ecc.

Questo riformismo è assolutamente incompatibile con il marxismo rivoluzionario, che è tenuto a utilizzare in tutti i modi la presente situazione rivoluzionaria in Europa per la propaganda aperta della rivoluzione, per il rovesciamento dei governi borghesi, per la conquista del potere da parte del proletariato in armi, senza rinunciare minimamente a trarre profitto dalle riforme per sviluppare la lotta per la rivoluzione e nel corso stesso della rivoluzione.

L’imminente avvenire ci mostrerà come in generale si svilupperà la situazione in Europa e come in particolare si svolgerà la lotta del riformismo-pacifismo contro il marxismo rivoluzionario, e quindi anche la lotta tra le due ali dell’unione di Zimmerwald.

 


  LETTERA APERTA A CHARLES NAINE MEMBRO DELLA COMMISSIONE SOCIALISTA INTERNAZIONALE DI BERNA

 

(Scritta il 26-27 dicembre 1916 (8-9 gennaio 1917). Pubblicata per la prima volta in Proletarskaia revoliutsia, 1924, n. 4. Opere vol. 23)

 

Caro compagno, il discorso con cui, nella seduta della direzione del partito del 7 gennaio u.s., il signor consigliere nazionale Robert Grimm si è associato a tutti i socialnazionalisti e si è posto in gran parte alla loro testa, sostenendo il rinvio del congresso, è la goccia che fa traboccare il vaso della nostra pazienza e strappa definitivamente la maschera al consigliere nazionale R. Grimm.

Il presidente della Commissione socialista internazionale eletta a Zimmerwald, il presidente delle conferenze di Zimmerwald e di Kienthal, il rappresentante più “autorevole” dell’unione zimmerwaldiana dinanzi a tutto il mondo, interviene insieme con i socialpatrioti e alla loro testa, tradendo apertamente lo spirito di Zimmerwald. Interviene proponendo di non tenere un congresso di partito, che era stato già convocato da tempo appunto per risolvere - nel paese più libero e, date le condizioni di tempo e di luogo, più influente d’Europa sul piano internazionale - il problema della difesa della patria nella guerra imperialista!

Si può forse tacere? Si può forse non perdere la calma di fronte a un fatto che disonorerebbe e ridurrebbe per sempre a una pura commedia l’intero movimento zimmerwaldiano, se al consigliere nazionale R. Grimm non venisse strappata la maschera?

Tra i partiti socialisti europei il partito svizzero è il solo che abbia dato apertamente e ufficialmente la sua adesione a Zimmerwald, in un congresso pubblico, senza essere intralciato dalla censura e dalle autorità militari; è il solo che abbia sostenuto Zimmerwald e designato due membri nella Commissione socialista internazionale; è il solo che, ad eccezione del partito italiano, posto in condizioni infinitamente più difficili dallo stato di guerra, sia intervenuto dinanzi a tutto il mondo come il principale rappresentante del movimento di Zimmerwald. Ebbene, proprio nel partito socialista svizzero, che al congresso di Zurigo, tenutosi il 4 e il 5 novembre 1916, aveva irrevocabilmente deciso (dopo lunghi indugi, provocati fra l’altro dalla lotta contro i socialpatrioti dichiarati, che si erano scissi dal partito per costituire la Lega di Grütli solo nell’autunno 1916) di convocare a Berna, nel febbraio 1917, un congresso straordinario per risolvere la questione della guerra e della difesa della patria; ebbene, proprio in questo partito si è trovata gente decisa a impedire il congresso, a farlo fallire, a non dar modo agli stessi operai di discutere e risolvere, proprio in tempo di guerra, il problema dell’atteggiamento da prendere nei confronti del militarismo e della difesa della patria.

Alla testa di questa gente, la cui politica è un insulto a tutto il movimento zimmerwaldiano, si trova adesso il presidente della Commissione socialista internazionale!

Non è questo un completo tradimento di Zimmerwald? Non si sputa in tal modo su tutte le decisioni di Zimmerwald?

Basta dare uno sguardo ad alcuni dei motivi con cui si giustifica ufficialmente il rinvio del congresso, per comprendere appieno il significato di questa misura.

“Gli operai, lo vedete voi stessi, non sono ancora preparati” a risolvere questo problema!

Tutti i manifesti e le risoluzioni di Zimmerwald e Kienthal ripetono più volte che la difesa della patria in una guerra imperialista, cioè in una guerra combattuta fra due coalizioni imperialiste per predare le colonie e strangolare le nazioni deboli, è un tradimento del socialismo, sia che si tratti di “grandi potenze” o invece di piccole nazioni rimaste finora neutrali. Tutti i documenti ufficiali di Zimmerwald e di Kienthal espongono quest’idea in decine di toni. Tutti i giornali socialisti svizzeri, e in particolare la Berner Tagwacht , diretta dal consigliere nazionale R. Grimm, hanno masticato e rimasticato quest’idea in centinaia di articoli e corsivi. Centinaia di volte si è sottolineato, nelle dichiarazioni di solidarietà con K. Liebknecht, Höglund, MacLean, ecc., che questi militanti, per unanime riconoscimento degli zimmerwaldiani, hanno compreso esattamente la situazione e gli interessi delle masse, che la simpatia delle masse , cioè della maggioranza degli oppressi e degli sfruttati, è dalla loro parte, che dappertutto - tanto nella “grande” Germania belligerante quanto nella piccola Svezia neutrale - i proletari afferrano con il loro istinto di classe la verità, capiscono cioè che la difesa della patria nella guerra imperialista è un tradimento del socialismo .

Ma oggi il presidente della Commissione socialista internazionale, con l’entusiastico consenso e il sostegno appassionato di tutti i rappresentanti dichiarati del socialpatriottismo in seno al partito socialista svizzero, H. Greulich, R. Pflüger, Huber, Manz-Schäppi, ecc., ecc.. difende l’ipocrita e falsa argomentazione secondo cui il congresso del partito verrebbe rinviato perché “gli operai non sono preparati”.

Si tratta di un’ipocrisia e di una menzogna ripugnante, intollerabile. Tutti sanno - e il Grütlianer scrive apertamente quest’amara verità - che il congresso viene rinviato perché i suddetti socialpatrioti temono gli operai, temono una decisione degli operai contraria alla difesa della patria e minacciano di rassegnare i mandati al Consiglio nazionale, se si deciderà di respingere la difesa della patria. I “capi” socialpatriottici del partito socialista svizzero, che sono tuttora, a due anni e mezzo dallo scoppio della guerra, favorevoli alla “difesa della patria”, cioè alla difesa della borghesia imperialistica dell’una o dell’altra coalizione, hanno deciso di far fallire il congresso , di frustrare la volontà degli operai socialisti svizzeri, di non dar loro il modo di discutere durante la guerra e di definire il proprio atteggiamento verso la guerra e i “difensori della patria”, cioè verso i lacché della borghesia imperialista.

Ecco la causa reale e ben nota del rinvio del congresso. Ecco come il presidente della Commissione socialista internazionale, passato dalla parte dei socialpatrioti del partito socialista svizzero, contro gli operai svizzeri coscienti, tradisce Zimmerwald!

È questa l’amara verità già espressa dal Grütlianer, che proclama apertamente il suo socialpatriottismo, che tra l’altro è sempre perfettamente al corrente di ciò che pensano e fanno i capi grütliani: Greulich, Pflüger, Huber, Manz-Schäppi e soci, in seno al partito socialista, e che, si noti, tre giorni prima della seduta del 7 gennaio 1917 scriveva (...)

Altra motivazione “ufficiale” del rinvio del congresso: la commissione, appositamente eletta nel dicembre o addirittura nel novembre 1916 per la stesura delle risoluzioni sul problema della guerra, “non è giunta a una decisione unanime”!

Come se Grimm e soci già non sapessero in anticipo che, su questo problema, è impossibile realizzare l’unanimità, nel partito socialista svizzero, fino a che restano nelle sue file e non passano al partito socialpatriottico di Grütli certi “capi” come Greulich, Pflüger, G. Müller, Manz-Schäppi, Otto Lang, ecc., i quali condividono interamente le posizioni socialpatriottiche della Lega di Grütli e con la loro adesione al partito socialista non fanno che ingannare gli operai socialisti!

Come se Grimm e soci non avessero già visto chiaramente, nell’estate del 1916, quando furono pubblicate le tesi socialpatriottiche di Pflüger, G. Müller e altri, che sulla questione della difesa della patria non esisteva e non poteva esistere unanimità; come se Grimm non avesse potuto rendersi conto migliaia di volte al Consiglio nazionale delle concezioni socialpatriottiche di Greulich e soci, se non addirittura della maggioranza del gruppo parlamentare socialdemocratico!

Grimm e soci cercano di turlupinare gli operai socialisti della Svizzera. Per questo motivo, nel designare la commissione, non hanno comunicato i nomi dei suoi componenti. Ma il Grütlianer ha detto la verità quando ha rivelato questi nomi, aggiungendo, come un cosa ovvia, che una commissione così composta non poteva giungere a una decisione unanime!

Per ingannare gli operai, Grimm e soci hanno deciso di non pubblicare immediatamente le risoluzioni della commissione e di nascondere loro la verità. Ma le risoluzioni erano pronte già da tempo ed erano state addirittura stampate in via confidenziale!

Com’era da aspettarsi, i nomi di Huber, Klöti, G. Müller figurano in calce alla risoluzione che accetta la “difesa della patria”, che giustifica cioè il tradimento del socialismo durante una guerra di cui si è già denunciato mille volte il carattere imperialista! I nomi di Nobs, Affolter, Schmid, Naine, Graber figurano in calce alla risoluzione che condanna la “difesa della patria”.

Potete così vedere con quanta impudenza e infamia Grimm e i socialpatrioti si prendono gioco degli operai socialisti.

Gridano che gli operai non sono preparati e lo fanno nel momento in cui essi stessi nascondono agli operai delle risoluzioni già pronte , che espongono chiaramente due diversi ordini d’idee, due politiche inconciliabili: la politica socialpatriottica e la politica di Zimmerwald!

Grimm e i socialpatrioti ingannano impudentemente gli operai, perché, mentre hanno deciso di far fallire il congresso, di non pubblicare le risoluzioni, di non dar modo agli operai di esaminare e discutere apertamente le due politiche, si mettono poi a strepitare sulla “impreparazione” degli operai!

Altre argomentazioni “ufficiali” a favore del rinvio del congresso: bisogna lottare contro il carovita, fare la campagna elettorale, ecc.

Queste argomentazioni sono una pura e semplice presa in giro nei confronti degli operai. Chi ignora infatti che noi socialdemocratici non siamo contrari alla lotta per le riforme, ma che, a differenza dei socialpatrioti, a differenza degli opportunisti e dei riformisti, non ci limitiamo a questa lotta e la subordiniamo alla lotta per la rivoluzione? Chi ignora che questa linea politica è stata enunciata esplicitamente e più volte nei manifesti di Zimmerwald e di Kienthal? Noi non siamo contrari alle elezioni e alle riforme con cui si riduce il costo della vita, ma poniamo in primo piano il dovere di dire francamente alle masse la verità, di dire cioè che non si può liquidare il carovita, se non si espropriano le banche e le grandi imprese, se non si realizza quindi la rivoluzione sociale.

A che cosa ogni manifesto dell’unione di Zimmerwald incita il proletariato in risposta o in rapporto alla guerra?

Alla lotta rivoluzionaria di massa, a rivolgere le armi contro il nemico che si annida nel proprio paese (si veda l’ultimo appello della Commissione socialista internazionale “alla classe operaia”, della fine di dicembre del 1916), cioè a rivolgere le armi contro la propria borghesia, contro il proprio governo.

Non è quindi evidente, per chiunque sia capace di riflettere, che la politica del rifiuto di difendere la patria è connessa con un’azione veramente rivoluzionaria e socialista contro il carovita? Con l’utilizzazione veramente socialista, e non riformista-borghese, della campagna elettorale?

Non è quindi evidente che la politica socialpatriottica, di “difesa della patria” nella guerra imperialista, è una politica riformista , cioè riformista-borghese, e non una politica di lotta socialista contro il carovita, della lotta da condurre nella campagna elettorale?

Come si può “ rinviare ” un congresso chiamato a risolvere la questione della “difesa della patria” (a scegliere cioè tra una politica socialpatriottica e una politica socialista) “col pretesto” di combattere il carovita, ecc.? Non è evidente che con quest’argomento falso e ipocrita, Grimm e i socialpatrioti vorrebbero nascondere agli operai la verità, cioè il loro proposito di lottare contro il carovita, fare le elezioni, ecc. nello spirito del riformismo borghese, e non nello spirito di Zimmerwald?

Il 6 agosto 1916 Grimm ha preso la parola a Zurigo, davanti a 115 delegati degli operai di tutta la Svizzera e ha esposto un programma riformista-borghese, unicamente riformista, di lotta contro il carovita! Grimm avanza “con passo sicuro” verso la sua meta: l’avvicinamento ai socialpatrioti contro gli operai socialisti, contro Zimmerwald.

Ma la cosa più ripugnante è che Grimm, per dissimulare il suo passaggio ai socialpatrioti, concentra le sue invettive contro i socialpatrioti non svizzeri . Ecco una delle cause più profonde del suo tradimento, una delle ragioni più intime di tutta la politica mistificatoria messa a nudo il 7 gennaio 1917.

Si scorra la Berner Tagwacht : quali ingiurie questo giornale non ha lanciato all’indirizzo dei socialpatrioti russi, francesi, inglesi, tedeschi, austriaci, di tutti i paesi insomma... eccettuati gli svizzeri? Grimm è arrivato a qualificare il socialpatriota tedesco Ebert, membro della direzione del partito socialdemocratico tedesco, come un “buttafuori da bordello” ( Berner Tagwacht, n. del ).

Non è forse un uomo coraggioso questo Grimm? Che prode cavaliere! Con quanto coraggio attacca, da Berna, i socialpatrioti... di Berlino! Con quanta nobiltà tace , il nostro paladino, sui socialpatrioti... di Berna e di Zurigo !

Ma in che si distingue il berlinese Ebert dai zurighesi Greulich, Manz-Schäppi, Pflüger e dai bernesi Müller, Schneeberger, Dürr? Proprio in niente. Sono tutti socialpatrioti. Sono tutti attestati sulla stessa posizione di principio. E diffondono tra le masse non le idee socialiste, ma le idee “grütliane”, cioè riformiste, nazionaliste, borghesi.

Nell’estate del 1916, Grimm concludeva le sue tesi sulla guerra, redatte in una forma intenzionalmente prolissa e confusa, con la speranza di trarre in inganno sia la sinistra che la destra e di “giocare” sulle divergenze fra le due correnti, con la seguente proposta:

“Gli organi del partito” devono “accordarsi con le organizzazioni sindacali del paese” (dinanzi al pericolo di guerra e alla necessità delle azioni rivoluzionarie di massa).

Ma chi sta alla testa dei sindacati in Svizzera? Non vi sono, fra gli altri, gli stessi Schneeberger e Dürr che, nell’estate del 1916, redigevano la Schweizerische Metallarbeiterzeitung , imprimendo al giornale un orientamento reazionario, riformista, socialpatriottico, dichiarandosi apertamente favorevoli alla “difesa della patria” e insorgendo apertamente contro tutta la politica di Zimmerwald?

Il partito socialista svizzero, come si è accertato ancora una volta il 7 gennaio 1917, non è forse diretto dai socialpatrioti Greulich, Pflüger, Manz-Schäppi, Huber, ecc.?

Quale è allora la conclusione?

La conclusione è che Grimm proponeva al partito, nelle sue tesi, di affidare la direzione della lotta rivoluzionaria di massa contro la guerra proprio ai socialpatrioti Schneeberger, Dürr, Greulich, Pflüger e soci! Proprio ai nemici di questa lotta, proprio ai riformisti !!

Oggi, dopo il 7 gennaio 1917, la “tattica” di Grimm è stata smascherata da cima a fondo.

Egli vuole essere consacrato capo della sinistra, presidente della Commissione socialista internazionale, rappresentante e dirigente degli zimmerwaldiani e inganna gli operai con frasi “rrrivoluzionarie” d’ogni genere, di cui si serve in realtà per dissimulare la vecchia prassi socialpatriottica e riformista-borghese del partito.

Giura e spergiura di solidarizzare con K. Liebknecht, Höglund, ecc., di essere un loro fautore, di seguire la loro politica.

Senonché, K. Liebknecht in Germania e Höglund nella piccola Svezia neutrale non hanno lottato contro i socialpatrioti stranieri, ma contro quelli di casa propria. Hanno attaccato i riformisti e i nazionalisti a Berlino, a Stoccolma e non in altri paesi. Con la loro implacabile denuncia dei socialpatrioti si sono conquistati, con onore, l’odio dei Greulich, dei Pflüger, degli Schneeberger e dei Dürr di Berlino e di Stoccolma.

È proprio difficile capire che, quando gli sciovinisti francesi esaltano il tedesco Liebknecht e gli sciovinisti tedeschi l’inglese MacLean, essi agiscono da furfanti, mirando a dissimulare il proprio nazionalismo con frasi “internazionaliste” di elogio per l’internazionalismo altrui ? È proprio difficile capire che Grimm agisce esattamente nello stesso modo, quando inveisce contro i socialpatrioti di tutti i paesi, eccettuati gli svizzeri, e che fa questo solo per dissimulare il suo passaggio nelle file dei socialpatrioti svizzeri?

Grimm ha ingiuriato il socialpatriota tedesco Ebert, qualificandolo come un “buttafuori da bordello”, perché Ebert ha privato gli operai tedeschi del Vorwärts , perché, pur strepitando contro la scissione, ha espulso e continua a espellere dal partito gli elementi di sinistra.

Ebbene, che altro fa Grimm in casa propria, in Svizzera, insieme con i miserabili eroi del miserabile 7 gennaio 1917?

Non ha forse privato gli operai svizzeri di un congresso straordinario che era stato promesso solennemente e che doveva dibattere sulla difesa della patria? E, mentre strepita contro la scissione, non si prepara a espellere dal partito gli zimmerwaldiani?

Non siamo dunque puerilmente ingenui e guardiamo in faccia la verità!

Nella riunione del 7 gennaio 1917 i nuovi amici e protettori di Grimm, i socialpatrioti, hanno strepitato insieme con lui contro la scissione, accusando di attività scissionista soprattutto l’organizzazione giovanile. Uno di loro ha addirittura rimproverato al segretario del partito, Platten, che “Non è il segretario del partito, è il traditore del partito”.

Si può forse tacere quando si dicono di queste cose e quando i “capi” vogliono nasconderle al partito? È mai possibile che gli operai socialisti svizzeri non s’indignino per tali metodi?

Qual è la colpa dell’Unione della gioventù e di Platten? Il loro unico torto è di essere sinceramente fedeli a Zimmerwald, di essere zimmerwaldiani leali e non dei carrieristi. Il loro unico torto è di essere contrari al rinvio del congresso. E, se qualche ciarlatano va blaterando che solo gli zimmerwaldiani di sinistra, in quanto frazione, sono contrari al rinvio del congresso, come in generale “a sua altezza Grimm”, il 7 gennaio 1917 non ha forse dimostrato che si tratta di un pettegolezzo? Non vi siete forse pronunciato contro Grimm anche voi, compagno Charles Naine, che non avete mai aderito direttamente o indirettamente, formalmente o in via di fatto, alla sinistra di Zimmerwald?

L’accusa di scissionismo: ecco la logora accusa di cui si servono oggi i socialpatrioti di tutti i paesi per nascondere il fatto che sono proprio loro a espellere dal partito i Liebknecht e i Höglund!


  AGLI OPERAI CHE SOSTENGONO LA LOTTA CONTRO LA GUERRA E CONTRO I SOCIALISTI CHE SI SONO SCHIERATI CON I LORO GOVERNI

 

(Scritto alla fine di dicembre del 1916 (metà di gennaio del 1917). Pubblicato per la prima volta in Proletarskaia revoliutsia , 1924, n. 5. Opere vol. 23)

 

La situazione internazionale diviene sempre più chiara e minacciosa. Il carattere imperialista della guerra è stato messo a nudo con singolare evidenza, negli ultimi tempi, dalle due coalizioni belligeranti. Le frasi pacifiste, le frasi sulla pace democratica, sulla pace senza annessioni, ecc. vengono smascherate tanto più rapidamente in tutta la loro falsità e inconsistenza, quanto più intenso è lo zelo con cui i governi dei paesi capitalisti e i pacifisti borghesi e socialisti le mettono in circolazione. La Germania soffoca varie piccole nazioni, tenendole sotto il suo tallone di ferro con l’evidentissima volontà di non mollare la preda se non scambiandone una parte con sterminati possedimenti coloniali e camuffa il suo desiderio di concludere subito una pace imperialista con ipocrite frasi pacifiste.

L’Inghilterra e i suoi alleati si tengono altrettanto saldamente le colonie tedesche di cui si sono impadroniti, una parte della Turchia, ecc., dando il nome di lotta per una pace “giusta” all’interminabile prosecuzione della carneficina per conquistare Costantinopoli, strangolare la Galizia, spartirsi l’Austria e depredare la Germania.

La verità che all’inizio della guerra era un convincimento teorico di pochi - la verità cioè che non si può affatto parlare di lotta seria contro la guerra, di lotta per la soppressione delle guerre e l’instaurazione di una pace durevole, senza l’azione rivoluzionaria delle masse di ciascun paese, dirette dal proletariato, contro i propri governi, senza il rovesciamento del dominio borghese, senza la rivoluzione socialista - diviene ora d’una evidenza tangibile per un numero sempre più grande di operai coscienti. La guerra stessa, imponendo ai popoli una tensione di forze che non ha precedenti, sospinge l’umanità verso quest’unica via d’uscita dal vicolo cieco in cui si trova, costringendola a percorrere a passi da gigante la via del capitalismo di Stato e mostrando nella pratica come si debba e si possa organizzare un’economia sociale pianificata, non nell’interesse dei capitalisti, ma espropriandoli e agendo, sotto la guida del proletariato rivoluzionario, nell’interesse delle masse, che sono oggi vittime della fame e delle altre calamità della guerra.

Quanto più questa verità diviene evidente, tanto più si approfondisce l’abisso tra le due tendenze, le due politiche, i due indirizzi inconciliabili dell’attività socialista, che abbiamo già indicato a Zimmerwald, intervenendo separatamente come sinistra zimmerwaldiana e indirizzando, all’indomani di Zimmerwald, un manifesto della sinistra a tutti i partiti socialisti e a tutti gli operai coscienti. È l’abisso tra chi tenta di occultare il palese fallimento del socialismo ufficiale e il passaggio dei suoi esponenti dalla parte della borghesia e del governo, nonché di far accettare alle masse questo radicale tradimento del socialismo, da un lato, e chi aspira, dall’altro lato, a rivelare la profondità di questo fallimento, a denunciare la politica borghese dei “socialpatrioti”, che hanno disertato il campo del proletariato per associarsi alla borghesia, a strappare le masse alla loro influenza, a creare la possibilità e la base organizzativa per una lotta efficace contro la guerra.

La destra, che costituiva a Zimmerwald la maggioranza, ha lottato con tutte le sue forze contro l’idea della scissione dai socialpatrioti, contro la creazione della III Internazionale. Da allora questa scissione è divenuta un fatto compiuto in Inghilterra, mentre in Germania l’ultima conferenza dell’“opposizione” (7 gennaio 1917) ha dimostrato a chiunque non chiuda gli occhi di proposito che, in realtà, anche in questo paese operano, in direzioni diametralmente opposte, due partiti operai irriducibilmente ostili: l’uno socialista, che agisce in gran parte illegalmente e conta fra i suoi capi K. Liebknecht; l’altro interamente borghese, socialpatriottico, che si sforza di riconciliare gli operai con la guerra e con il governo. Non c’è un solo paese nel mondo in cui non si sia manifestata un’analoga scissione.

A Kienthal la destra di Zimmerwald non aveva già più una maggioranza abbastanza stabile per continuare la sua politica; essa ha votato una risoluzione che condanna recisamente il socialpatriottico Ufficio socialista internazionale e una risoluzione contro il socialpacifismo che mette in guardia gli operai contro le menzogne delle frasi pacifiste, comunque siano imbellettate. Il pacifismo socialista, che non svela agli operai il carattere illusorio della speranza di ottenere la pace senza abbattere la borghesia e organizzare il socialismo, non fa che ripetere il pacifismo borghese, che induce gli operai ad aver fiducia nella borghesia, abbellisce i governi imperialisti e i loro compromessi, distoglie le masse dalla rivoluzione socialista, ormai matura e posta all’ordine del giorno dai fatti stessi.

Ebbene, quale è la conclusione? Dopo Kienthal, in molti grandi paesi, in Francia, in Germania, in Italia, la destra di Zimmerwald è precipitata in tutto e per tutto in quel socialpacifismo che a Kienthal era stato condannato e respinto! In Italia il partito socialista si è tacitamente adattato alla fraseologia pacifistica del gruppo parlamentare e del suo principale oratore, Turati, benché, proprio oggi, le stesse identiche frasi siano usate dalla Germania, dall’Intesa e dai rappresentanti dei governi borghesi di molti paesi neutrali, dove la borghesia si è arricchita e continua ad arricchirsi scandalosamente in virtù della guerra. Benché, proprio oggi, sia apparsa evidente la falsità di queste frasi pacifiste, che, di fatto, servono soltanto a mascherare una nuova svolta nella lotta per la spartizione del bottino imperialista!

In Germania, Kautsky, capo della destra di Zimmerwald, ha lanciato un analogo manifesto pacifista, che non dice niente e a niente impegna, che di fatto alimenta negli operai la fiducia nella borghesia e nelle illusioni e che i veri socialisti e internazionalisti tedeschi, il gruppo “Internazionale” e il gruppo dei “Socialisti internazionalisti di Germania”, i quali applicano la tattica di Karl Liebknecht, hanno dovuto respingere ufficialmente.

In Francia, Merrheim e Bourderon, che erano presenti a Zimmerwald, e Raffin-Dugens. che ha preso parte alla conferenza di Kienthal, votano a favore di risoluzioni pacifiste assolutamente vuote, interamente false, per il loro significato oggettivo, e tanto utili , nell’attuale stato di cose, alla borghesia imperialista che vengono approvate dagli stessi Jouhaux e Renaudel, dei quali, in ogni dichiarazione di Zimmerwald e Kienthal, si dice che tradiscono il socialismo!

Il voto comune di Merrheim, Jouhaux e Bourderon e quello di Raffin-Dugens e Renaudel non sono un caso fortuito, un episodio isolato, ma un simbolo evidente della fusione , ormai matura dappertutto, dei socialpatrioti e dei socialpacifisti contro i socialisti internazionalisti.

Le frasi pacifiste contenute nelle note di un buon numero di governi imperialisti, le analoghe frasi pacifiste di Kautsky, Turati, Bourderon e Merrheim (la mano di Renaudel è amichevolmente tesa agli uni e agli altri): ecco che cosa svela la funzione del pacifismo nella politica reale , in quanto consolazione dei popoli, in quanto mezzo per agevolare ai governi la sottomissione delle masse nella carneficina imperialista!

Il completo fallimento della destra di Zimmerwald è stata ancor più evidente in Svizzera, il solo paese d’Europa dove gli zimmerwaldiani potevano riunirsi liberamente e avere una propria base. Il partito socialista svizzero, che durante la guerra ha tenuto i suoi congressi senza alcun intralcio da parte del governo e che aveva più d’ogni altro partito la possibilità di favorire l’unità internazionale degli operai tedeschi, francesi e italiani contro la guerra, ha aderito formalmente a Zimmerwald.

Ma il consigliere nazionale R. Grimm, uno dei capi del partito. presidente delle conferenze di Zimmerwald e di Kienthal, membro e rappresentante autorevole della Commissione socialista internazionale di Berna, in una questione decisiva per un partito proletario, si è schierato con i socialpatrioti del suo paese , facendo approvare, nella seduta del 7 gennaio 1917 della direzione del partito socialista svizzero, una risoluzione sul rinvio a tempo indeterminato di un congresso appositamente convocato per risolvere il problema della difesa della patria e dell’atteggiamento da tenere verso i documenti di Kienthal che condannavano il socialpacifismo!

Nell’appello del dicembre 1916, firmato dalla Commissione socialista internazionale, Grimm definisce ipocriti i discorsi pacifisti dei governi e non fa parola del pacifismo socialista che ha riunito Merrheim e Jouhaux, Raffin-Dugens e Renaudel. In quest’appello Grimm incita le minoranze socialiste a combattere contro i governi e contro i loro mercenari socialpatrioti, ma nello stesso tempo, d’accordo con i “mercenari socialpatrioti” del suo partito, seppellisce il congresso, suscitando la legittima indignazione di tutti gli operai svizzeri coscienti e sinceramente internazionalisti.

Nessun pretesto può mascherare il fatto che la decisione della Direzione del partito del 7 gennaio 1917 ha il preciso significato di una vittoria completa dei socialpatrioti sugli operai socialisti svizzeri, dei nemici di Zimmerwald su Zimmerwald.

Il giornale dei servi fedeli e inveterati della borghesia in seno al movimento operaio, il Grütlianer , ha detto una verità universalmente nota quando ha dichiarato che i socialpatrioti come Greulich e Pflüger, ai quali si possono e si devono aggiungere Seidel, Huber, Lang, Schneeberger, Dürr, ecc., vogliono impedire il congresso, impedire che gli operai risolvano il problema della difesa della patria, e minacciano di rassegnare i mandati qualora il congresso venga convocato e il problema sia risolto nello spirito di Zimmerwald.

Grimm ha mentito in maniera nauseante e scandalosa tanto nella riunione della Direzione del partito quanto nel suo giornale, la Berner Tagwacht dell’8 gennaio 1917, dove ha tentato di giustificare il rinvio del congresso con l’impreparazione degli operai, con la necessità di condurre una campagna contro il carovita, con l’adesione della “sinistra” al rinvio, ecc.

In effetti, proprio la sinistra, cioè gli zimmerwaldiani sinceri, cercando da un lato il minor male e volendo dall’altro smascherare le reali intenzioni dei socialpatrioti e del loro nuovo amico Grimm, hanno proposto un rinvio al mese di marzo, hanno votato a favore del rinvio al mese di maggio, hanno chiesto di fissare in luglio la scadenza per le direzioni cantonali; i “difensori della patria”, con alla testa R. Grimm, presidente delle conferenze di Zimmerwald e di Kienthal, hanno respinto tutte queste proposte!!

In effetti, il problema si pone precisamente in questi termini: bisogna tollerare che la Commissione socialista internazionale di Berna e il giornale di Grimm coprano d’ingiurie i socialpatrioti stranieri e proteggano dapprima con il loro silenzio e poi con la diserzione di R. Grimm, i socialpatrioti svizzeri , o bisogna svolgere invece una politica internazionalista onesta, lottando anzitutto contro i socialpatrioti del proprio paese?

In effetti, il problema si pone in questi termini: bisogna occultare con una fraseologia rivoluzionaria il predominio dei socialpatrioti e dei riformisti in seno al partito svizzero, o bisogna agire invece con un programma e con una tattica rivoluzionari, tanto nella lotta contro il carovita, quanto in quella contro la guerra e nel mettere all’ordine del giorno la lotta per la rivoluzione socialista?

In effetti, il problema si pone in questi termini: bisogna tollerare che Zimmerwald riprenda le peggiori tradizioni della II Internazionale, fallita vergognosamente, che le masse operaie siano tenute all’oscuro di ciò che dicono e decidono i loro capi nella Direzione del partito e che la fraseologia rivoluzionaria copra l’immondizia socialpatriottica e riformista, o bisogna essere invece veramente internazionalisti?

In effetti, il problema si pone precisamente in questi termini: bisogna volere anche in Svizzera, il cui partito socialista ha un’importanza decisiva per tutta l’unione di Zimmerwald, una divisione netta, di principio, politicamente onesta, tra i socialpatrioti e gli internazionalisti, tra i riformisti borghesi e i rivoluzionari, tra i consiglieri del proletariato che aiutano gli operai a fare la rivoluzione socialista e gli agenti o “stipendiati” della borghesia che con le riforme e con le promesse di riforme aspirano a distogliere gli operai dalla rivoluzione, tra i grütliani e il partito socialista, o bisogna invece seminare la discordia e la corruzione nella coscienza degli operai, realizzando nel partito socialista la politica “grütliana” dei socialpatrioti, dei grütliani che militano in questo partito?

Inveiscano pure contro gli stranieri i socialpatrioti svizzeri, questi “grütliani” che cercano di svolgere in seno al partito la politica di Grütli, cioè la politica della loro borghesia nazionale! Impediscano agli altri partiti di criticare il partito svizzero con il pretesto della sua “intangibilità”! Difendano la vecchia politica riformista-borghese che ha condotto al fallimento del 4 agosto 1916 il partito tedesco e gli altri partiti! Noi, che sosteniamo Zimmerwald non a parole ma nei fatti, concepiamo molto diversamente l’internazionalismo.

Non siamo disposti ad accogliere in silenzio il disegno, ormai definitivamente chiaro e consacrato dallo stesso presidente delle conferenze di Zimmerwald e di Kienthal, di lasciar tutto immutato nel putrido socialismo europeo e di eludere , mediante un’ipocrita dichiarazione di solidarietà con K. Liebknecht, la concreta parola d’ordine di questo capo degli operai internazionalisti, il suo appello a lavorare per “rigenerare dall’alto in basso” i vecchi partiti. Siamo convinti di avere al nostro fianco tutti gli operai coscienti, che in tutto il mondo hanno appoggiato entusiasticamente K. Liebknecht e la sua tattica.

Noi denunciamo pubblicamente la destra di Zimmerwald, che si è schierata sulle posizioni del pacifismo riformista-borghese.

Noi denunciamo pubblicamente il tradimento di Zimmerwald da parte di R. Grimm ed esigiamo la convocazione di una conferenza che lo destituisca da membro della Commissione socialista internazionale.

Zimmerwald è la parola d’ordine del socialismo internazionalista e della lotta rivoluzionaria. Questa parola non deve servire per camuffare il socialpatriottismo e il riformismo borghese.

Per un vero internazionalismo, il quale esige che si lotti anzitutto contro i socialpatrioti del proprio paese! Per una vera tattica rivoluzionaria, che non può essere applicata quando ci si accordi con i socialpatrioti contro gli operai socialisti e rivoluzionari!
 

 


DODICI BREVI TESI SULLE ARGOMENTAZIONI DI H. GREULICH A FAVORE DELLA DIFESA DELLA PATRIA

 

(Scritte in tedesco fra il 13 e il 17 (26 e 30) gennaio 1917. Pubblicate nel Volksrecht, 1917, nn. 26 e 27 (31 gennaio e 1° febbraio). Pubblicate per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin, XVII, 1931. Opere vol. 23)

 

1. H. Greulich dichiara, all’inizio del suo primo articolo, che vi sono oggi dei “socialisti” (ma parla, probabilmente, di sedicenti socialisti) che “hanno fiducia nei governi degli nobili agrari e della borghesia”.

Quest’accusa contro una delle tendenze del “socialismo” contemporaneo, e più esattamente contro il socialpatriottismo, è evidentemente fondata. Ma che cosa dimostrano i quattro articoli del compagno H. Greulich se non che lui stesso “ha una fiducia” cieca nel “governo borghese” della Svizzera? Greulich finisce anzi per dimenticare che quest’ultimo, in virtù delle innumerevoli relazioni del capitale finanziario svizzero, non è soltanto un “governo borghese”, ma anche un governo borghese imperialista .

2. H. Greulich ammette nel primo articolo che in seno alla socialdemocrazia internazionale esistono due correnti principali. E caratterizza giustamente una di esse (cioè, naturalmente, la corrente socialpatriottica ), stigmatizzandone i seguaci come “agenti” dei governi borghesi.

Ma Greulich dimentica stranamente, in primo luogo, che anche i socialpatrioti svizzeri sono gli agenti del proprio governo borghese; in secondo luogo, che, come non si può isolare la Svizzera in genere dal mercato mondiale, così non si può staccare l’odierna Svizzera borghese, ricchissima e molto progredita, dalla rete dei rapporti imperialisti mondiali; in terzo luogo, che sarebbe opportuno esaminare gli argomenti pro e contro la difesa della patria nell’insieme della socialdemocrazia internazionale e soprattutto in connessione con quei rapporti imperialisti mondiali del capitale finanziario; in quarto luogo, che è impossibile conciliare le due principali correnti della socialdemocrazia internazionale e che, pertanto. il partito svizzero deve scegliere una delle due tendenze.

3. H. Greulich afferma nel secondo articolo che “la Svizzera non può condurre una guerra offensiva”.

Greulich dimentica stranamente il fatto incontestabile ed evidente che la Svizzera, nei due soli casi possibili, - sia che si allei con la Germania contro l’Inghilterra, sia che si allei con l’Inghilterra contro la Germania, - prenderebbe comunque parte a una guerra imperialista, a una guerra di rapina, a una guerra offensiva.

La Svizzera borghese non potrebbe modificare in nessun caso il carattere della guerra in corso o condurre, in generale, una guerra antimperialista.

È forse ammissibile che Greulich abbandoni il “terreno dei fatti” (vedi il suo quarto articolo) e, invece di parlare di questa guerra, discorra di una guerra immaginaria?

4. H. Greulich afferma nel secondo articolo:

“La neutralità e la difesa della patria sono per la Svizzera la stessa cosa. Chi respinge la difesa della patria minaccia la neutralità. Ecco il punto che bisogna aver chiaro”.

Due domande molto semplici al compagno Greulich.

Anzitutto, non bisogna forse aver chiaro che la fiducia nelle dichiarazioni di neutralità e nel proposito di salvaguardare la neutralità nella guerra in corso non implica soltanto una fiducia cieca nel proprio e negli altrui “governi borghesi”, ma è anche, molto semplicemente, ridicola?

Non bisogna inoltre aver chiaro che, nei fatti, le cose stanno come segue?

Chi accetta la difesa della patria nella guerra in corso si trasforma in complice della “ propria ” borghesia nazionale, che è palesemente imperialista anche in Svizzera, in quanto è legata finanziariamente alle grandi potenze e coinvolta nella politica imperialista mondiale.

Chi respinge la difesa della patria nella guerra in corso distrugge la fiducia del proletariato nella borghesia e aiuta il proletariato internazionale a lottare contro il dominio della borghesia.

5. H. Greulich afferma alla fine del secondo articolo: “Sopprimendo la milizia in Svizzera, non avremo ancora eliminato le guerre tra le grandi potenze”.

Perché mai il compagno Greulich dimentica che i socialdemocratici vogliono sopprimere qualsiasi esercito (e quindi anche la milizia) solo dopo la vittoria della rivoluzione sociale? Che proprio nel momento presente si tratta di lottare per la rivoluzione sociale, in alleanza con le minoranze internazionaliste rivoluzionarie di tutte le grandi potenze?

Da chi Greulich si aspetta l’eliminazione delle “guerre tra le grandi potenze”? Forse dalla milizia di un piccolo Stato borghese con quattro milioni di abitanti?

Noi socialdemocratici pensiamo che le “guerre tra le grandi potenze” saranno eliminate dall’azione rivoluzionaria del proletariato di tutte le potenze, grandi e piccole.

6. Nel terzo articolo Greulich sostiene che gli operai svizzeri devono “difendere” la “democrazia”!

Ma ignora sul serio il compagno Greulich che nella guerra attuale nessuno Stato europeo difende o può difendere la democrazia? E che, al contrario, partecipare a questa guerra imperialista significa per tutti gli Stati, grandi e piccoli, strangolare la democrazia, far trionfare la reazione sulla democrazia? Ignora sul serio il compagno Greulich i mille e mille esempi forniti al riguardo dall’Inghilterra, dalla Germania, dalla Francia, ecc.? O ha egli tanta “fiducia” nel governo svizzero, cioè nel suo “governo borghese”, da considerare tutti i direttori di banca e i milionari svizzeri degli autentici Guglielmi Tell?

Non la partecipazione alla guerra imperialista o ad una mobilitazione che dovrebbe salvaguardare la neutralità, ma la lotta rivoluzionaria contro tutti i governi borghesi, ed essa soltanto, può condurre al socialismo; e senza socialismo non c’è garanzia alcuna per la democrazia!

7. Il compagno Greulich scrive nel terzo articolo: “La Svizzera si attende forse dai proletari che “si uccidano fra loro nelle battaglie imperialiste?”.

Questa domanda dimostra che il compagno Greulich poggia saldamente sul terreno nazionale; ma, purtroppo, in questa guerra, un simile terreno non sussiste affatto per la Svizzera.

Non è la Svizzera ad “attendersi” questo dal proletariato, ma il capitalismo, che si è trasformato in capitalismo imperialista in tutti i paesi civili, anche in Svizzera. Il dominio della borghesia “si attende” oggi dai proletari di tutti i paesi che “si uccidano fra loro nelle battaglie imperialiste”: ecco che cosa Greulich dimentica. Per reagire a questa situazione non c’è oggi altro mezzo che la lotta di classe, rivoluzionaria e internazionalista, contro la borghesia!

Perché mai Greulich dimentica anzitutto che già il manifesto di Basilea dell’Internazionale riconosceva apertamente, nel 1912, che il capitalismo imperialista avrebbe determinato il carattere fondamentale della guerra imminente e, inoltre, che lo stesso manifesto parlava della rivoluzione proletaria appunto in connessione con questa guerra?

8. Greulich scrive nel terzo articolo:

La lotta rivoluzionaria di massa, “invece dell’esercizio dei diritti democratici”, è “un concetto molto vago”.

Questo dimostra che Greulich ammette soltanto la via riformista borghese, mentre respinge o ignora la rivoluzione : il che può andar bene per un grütliano, ma in nessun caso per un socialdemocratico.

Le rivoluzioni sono impossibili senza “lotta rivoluzionaria di massa”. Rivoluzioni senza “lotta rivoluzionaria di massa” non ce ne sono mai state. Oggi, all’inizio dell’epoca dell’imperialismo, le rivoluzioni sono inevitabili anche in Europa.

9. Nel quarto articolo il compagno Greulich dichiara formalmente, come una cosa “ovvia”, che rassegnerà il suo mandato al Consiglio nazionale, se il partito rigetterà in linea di principio la difesa della patria. Egli aggiunge inoltre che un tale ripudio implicherebbe “una violazione della nostra unità”.

È questo un ultimatum ben chiaro e categorico, posto dai membri socialpatriottici del Consiglio nazionale. O il partito accetta le tesi dei socialpatrioti, oppure “noi” (Greulich, Müller, ecc.) rassegniamo i nostri mandati.

Ma, a dire il vero, di quale “unità” si può parlare in questo caso? Evidentemente, dell’“unità” fra i capi socialpatrioti e i loro mandati di consiglieri nazionali!!

L’unità proletaria, fondata sui principi, è tutt’altra cosa: i socialpatrioti, cioè i “difensori della patria”, devono “unirsi” alla Lega di Grütli, che è socialpatriottica e interamente borghese. I socialdemocratici, che respingono la difesa della patria, devono invece “unirsi” al proletariato socialista. Questo è assolutamente chiaro.

Noi speriamo fermamente che il compagno Greulich non vorrà coprirsi di ridicolo cercando di dimostrare (nonostante le esperienze dell’Inghilterra, della Germania, della Svezia, ecc.) che l’“unità” dei socialpatrioti, cioè degli “agenti” dei governi borghesi, con il proletariato socialista può portare a qualcosa che non sia la disorganizzazione, l’ipocrisia e la menzogna.

10. Secondo Greulich, il “giuramento” con cui i membri del Consiglio nazionale si impegnano a difendere l’indipendenza del paese è “incompatibile” con il rifiuto di difendere la patria.

Benissimo! Ma c’è forse una sola attività rivoluzionaria che sia “compatibile” con il “giuramento” di salvaguardare le leggi degli Stati capitalisti?? I grütliani, cioè i servi della borghesia, riconoscono in linea di principio soltanto le vie legali. Ma fino ad oggi non c’è stato un solo socialdemocratico che abbia respinto la rivoluzione o accettato solo quelle lotte rivoluzionarie che sono “compatibili” con il “giuramento” di salvaguardare le leggi borghesi.

11. Greulich nega che la Svizzera sia uno “Stato borghese di classe... nel senso assoluto della parola”. Egli definisce il socialismo (alla fine del quarto articolo) in modo tale che da esso scompaiono del tutto la rivoluzione sociale e qualsiasi azione rivoluzionaria. La rivoluzione sociale è un’“utopia”: è questo, in breve, il senso di tutti i lunghi discorsi o articoli di Greulich.

Molto bene! Ma questo è grütlianismo della più bell’acqua, non è socialismo. Questo è riformismo borghese, non è socialismo.

Perché il compagno Greulich non propone di cancellare le parole “rivoluzione proletaria” dal manifesto di Basilea del 1912? O le parole “azioni rivoluzionarie di massa” dal documento di Aarau del 1915? O di bruciare tutte le risoluzioni di Zimmerwald e di Kienthal?

12. Il compagno Greulich poggia saldamente sul terreno nazionale, cioè sul terreno riformista borghese, grütliano.

Egli si ostina a ignorare il carattere imperialista della guerra attuale, nonché le relazioni imperialiste dell’odierna borghesia svizzera. Ignora la divisione dei socialisti di tutto il mondo in socialpatrioti e internazionalisti rivoluzionari.

Dimentica che il proletariato svizzero ha in effetti dinanzi a sé due sole vie.

La prima è quella di aiutare la propria borghesia nazionale ad armarsi, sostenere la mobilitazione col pretesto di difendere la neutralità ed esporsi quotidianamente al rischio di farsi coinvolgere nella guerra imperialista. In caso di “vittoria” in questa guerra, soffrire la fame, registrare centomila morti, far intascare alla borghesia altri miliardi di profitti di guerra, garantirle all’estero nuovi e lucrosi investimenti di capitale e cadere in un stato di soggezione finanziaria nei confronti degli “alleati” imperialisti, delle grandi potenze.

La seconda è quella di lottare risolutamente, in stretta alleanza con le minoranze internazionaliste rivoluzionarie di tutte le grandi potenze, contro tutti i “governi borghesi”, e prima di tutto contro il proprio , negare qualsiasi “fiducia” al proprio governo borghese in generale e ai suoi discorsi sulla difesa della neutralità, invitare garbatamente i socialpatrioti a trasferirsi nella Lega di Grütli.

In caso di vittoria, liberarsi per sempre del carovita, della fame e delle guerre e scatenare la rivoluzione socialista, insieme con gli operai francesi, tedeschi, ecc.

Entrambe le vie sono difficili e impongono sacrifici.

Il proletariato svizzero deve quindi scegliere se fare questi sacrifici a vantaggio della borghesia imperialista del suo paese e di una delle coalizioni di grandi potenze, o se farli invece per emancipare l’umanità dal capitalismo, dalla fame e dalle guerre.

Il proletariato deve scegliere.

 

 

LA DIFESA DELLA NEUTRALITÀ

 

(Scritto in tedesco nel gennaio 1917. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin, XVII, 1931. Opere vol. 23)

 

Se si riconosce che la guerra in corso è una guerra imperialista, cioè una guerra fra due grandi predoni per il dominio e il saccheggio del mondo, non si dimostra ancora la necessità di respingere la difesa della patria svizzera. Noi svizzeri difendiamo appunto la nostra neutralità e abbiamo inviato unità militari alle nostre frontiere proprio per non prendere parte a questa guerra di rapina!

Così dicono i socialpatrioti, i grütliani, che militano nel partito socialista e fuori delle sue file.

La loro argomentazione si fonda su alcune premesse tacitamente accolte o interpolate surrettiziamente.

L’acritica ripetizione di ciò che la borghesia dice e deve dire per salvare il suo dominio di classe.

Una piena fiducia nella borghesia e una sfiducia radicale nel proletariato.

L’incomprensione della situazione internazionale reale, non immaginaria, quale scaturisce dai rapporti imperialisti fra tutti i paesi europei e dai “legami” imperialisti della classe capitalista svizzera.

La borghesia romena e la borghesia bulgara non hanno forse assicurato per mesi e nel più solenne dei modi che i loro preparativi di guerra avevano il “solo” scopo di difendere la neutralità?

Sussistono forse dei motivi seri, scientificamente fondati, per istituire al riguardo una differenza di principio fra la borghesia dei suddetti paesi e la borghesia svizzera?

No di certo! Quando si osserva che in Romania e in Bulgaria la classe borghese ha una certa passione per le conquiste e le annessioni e che questo non si può dire della borghesia svizzera, non si parla ancora di una differenza di principio. Gli interessi imperialisti, come tutti sanno, non si manifestano soltanto nelle acquisizioni territoriali, ma anche in quelle finanziarie. Non si deve mai dimenticare che la borghesia svizzera esporta capitali per un valore minimo di tre miliardi di franchi e sfrutta quindi in maniera imperialista i popoli arretrati. È un fatto. Ed è pure un fatto che il capitale bancario svizzero è intimamente legato e intrecciato con il capitale bancario delle grandi potenze e che la “Fremdenindustrie” (le imprese al servizio dei mercati esteri), ecc. si presenta come una ripartizione permanente della ricchezza imperialista fra le grandi potenze e la Svizzera. Si aggiunga che la Svizzera è molto più evoluta in senso capitalista della Romania e della Bulgaria; che in Svizzera non si può assolutamente parlare di movimenti popolari “nazionali”, perché quest’epoca storica si è già conclusa per la Svizzera da molti secoli, cosa che non si può certo dire dei due Stati balcanici.

È pertanto normale che il borghese cerchi d’inculcare nel popolo, negli sfruttati, la fiducia nella borghesia e s’ingegni di mascherare con frasi appropriate l’effettiva politica imperialista della “propria” borghesia.

Il socialista deve assumere un atteggiamento del tutto diverso. Deve cioè denunciare implacabilmente, non tollerando nessuna illusione, la politica effettiva della “propria” borghesia. Che la borghesia svizzera continui questa sua politica, vendendo il suo popolo all’una o all’altra coalizione di potenze imperialiste, è molto più verosimile e “naturale” (cioè più conforme alla sua natura) che non che essa difenda la democrazia, nel vero senso della parola, contro gli interessi del profitto.

“A ciascuno il suo”: che i grütliani, servi e agenti della borghesia, ingannino pure il popolo con le loro frasi sulla “difesa della neutralità”!

I socialisti, che combattono contro la borghesia, devono invece aprire gli occhi al popolo sul pericolo quanto mai reale, attestato da tutta la storia della politica borghese in Svizzera, di essere venduto dalla “propria” borghesia!


  PALUDE IMMAGINARIA O REALE?

 

(Scritto in tedesco alla fine del gennaio 1917. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin, XVII, 1931. Opere vol. 23)

 

In un suo articolo sulla maggioranza e la minoranza ( Berner Tagwacht e Neues Leben ) il compagno R. Grimm asserisce che “anche da noi si è inventata” “una palude, un immaginario centro del Partito”.

Dimostreremo che la posizione assunta da Grimm nell’articolo indicato è una posizione tipicamente centrista.

Polemizzando con la maggioranza, Grimm scrive:

Neanche uno dei partiti che accettano la piattaforma di Zimmerwald e di Kienthal ha lanciato la parola d’ordine di rifiutare il servizio militare, facendo obbligo ai suoi iscritti di tradurla in pratica. Lo stesso Liebknecht ha indossato l’uniforme ed è entrato nelle file dell’esercito. Il partito italiano si è limitato a respingere i crediti militari e la pace civile. La minoranza francese ha agito nello stesso modo”.

Ci stropicciamo gli occhi per lo stupore. Rileggiamo ancora quest’importante capoverso dell’articolo di Grimm e consigliamo al lettore di rifletterci sopra.

È incredibile, ma vero! Per dimostrare che il centro è da noi una invenzione, il rappresentante del nostro centro mette nello stesso sacco gli internazionalisti di sinistra (Liebknecht) e gli zimmerwaldiani di destra o centro!!!

Possibile che Grimm speri davvero di ingannare gli operai svizzeri e di convincerli che Liebknecht e il partito italiano appartengono alla stessa corrente e che fra loro non esiste proprio quella differenza che distingue la sinistra dal centro?

Ecco i nostri argomenti.

Ascoltiamo, in primo luogo, un testimone che non appartiene né al centro né alla sinistra. Il socialimperialista tedesco Ernst Heilmann così scriveva il 12 agosto 1916 sulla Glocke, a p. 772: “... Il Gruppo del lavoro, o destra di Zimmerwald, che ha come suo teorico Kautsky e come capi politici Haase e Ledebour...”. Può Grimm contestare che Kautsky, Haase e Ledebour sono i rappresentanti tipici del centro?

In secondo luogo, può Grimm ignorare che la destra di Zimmerwald, o centro, prende posizione nell’odierno movimento socialista contro la rottura immediata con l’Ufficio socialista internazionale del l’Aja, con l’Ufficio dei socialpatrioti ? Che la sinistra è per questa rottura? che i rappresentanti del gruppo “Internazionale” - e Liebknecht appartiene a questo gruppo - si sono battuti contro la convocazione dell’Ufficio socialista internazionale e per la rottura con esso?

In terzo luogo, ha forse Grimm dimenticato che il socialpacifismo, recisamente condannato dalla risoluzione di Kienthal, è divenuto proprio oggi la piattaforma del centro in Francia, in Germania e in Italia? Che l’intero partito italiano, il quale non ha protestato né contro le numerose mozioni e dichiarazioni socialpacifiste del proprio gruppo parlamentare né contro il vergognoso discorso di Turati del 17 dicembre, è sulla piattaforma del socialpacifismo? Che i due gruppi tedeschi di sinistra, gli ISD (Socialisti internazionalisti di Germania) e l’“Internazionale” (o gruppo “Spartaco”, al quale appartiene Liebknecht), hanno respinto espressamente il socialpacifismo del centro? Non si dimentichi, inoltre, che i più nocivi socialimperialisti e socialpatrioti di Francia, con Sembat, Renaudel e Jouhaux alla testa, hanno votato anch’essi risoluzioni socialpacifiste e che in tal modo è stato messo a nudo con singolare chiarezza il significato reale e oggettivo del socialpacifismo.

In quarto luogo... ma basta! Grimm aderisce proprio alle posizioni del centro quando consiglia al partito svizzero di “limitarsi” a rifiutare i crediti di guerra e la pace civile, come ha fatto il partito italiano. Egli critica le proposte della maggioranza dal punto di vista del centro, perché questa maggioranza vuole avvicinarsi alla posizione di Liebknecht.

Grimm si schiera a difesa della chiarezza, della sincerità e dell’onestà. D’accordo! Ma queste eccellenti qualità non impongono forse di distinguere chiaramente, sinceramente e onestamente le concezioni e la tattica di Liebknecht da quelle del centro e di non metterle nello stesso sacco?

Essere con Liebknecht significa: 1. attaccare il nemico principale nel proprio paese; 2. smascherare i socialpatrioti del proprio paese (e, col vostro permesso, compagno Grimm, non solo quelli stranieri !), combatterli e (col vostro permesso, compagno Grimm!) non unirsi a loro contro la sinistra radicale; 3. criticare e denunciare apertamente le debolezze non solo dei socialpatrioti, ma anche dei socialpacifisti e dei “centristi” del proprio paese; 4. servirsi della tribuna parlamentare per incitare il proletariato alla lotta rivoluzionaria, per indurlo a rivolgere le armi contro la propria borghesia; 5. diffondere pubblicazioni illegali e organizzare riunioni clandestine; 6. organizzare manifestazioni proletarie come quella di piazza Potsdam a Berlino, dove è stato arrestato Liebknecht; 7. chiamare allo sciopero gli operai dell’industria di guerra, come ha fatto, con i suoi appelli clandestini, il gruppo “Internazionale”; 8. dimostrare apertamente la necessità di “rinnovare” a fondo gli attuali partiti, che si limitano ad un’attività riformista, e agire secondo l’esempio di Liebknecht; 9. respingere categoricamente la difesa della patria nella guerra imperialista; 10. battersi su tutta la linea contro il riformismo e l’opportunismo in seno alla socialdemocrazia; 11. intervenire con altrettanta intransigenza contro i dirigenti sindacali, che in tutti i paesi, e specialmente in Germania, in Inghilterra e in Svizzera, costituiscono l’avanguardia del socialpatriottismo e dell’opportunismo, ecc.

E chiaro che, in questo senso, si possono criticare molti punti del progetto della maggioranza. Ma di questo si può parlare soltanto in un articolo a parte. Per il momento basterà sottolineare che la maggioranza propone comunque alcuni passi in questa direzione e che Grimm l’attacca non da sinistra, ma da destra, non dalle posizioni di Liebknecht, ma da quelle del centro.

Nel suo articolo Grimm confonde ad ogni passo due questioni radicalmente diverse: anzitutto il problema del quando : del preciso momento in cui questa o quella azione rivoluzionaria può essere realizzata. E assurdo tentare di risolvere in anticipo questo problema e i rimproveri che Grimm rivolge in proposito alla maggioranza altro non sono che polvere gettata negli occhi degli operai.

La seconda questione riguarda il modo di cambiare, di trasformare il partito, attualmente incapace di condurre sistematicamente e con perseveranza una lotta realmente rivoluzionaria nelle condizioni concrete più varie, in un partito che sia capace di farlo.

Sta qui l’essenziale! La radice di tutta la discussione, della lotta di tendenza intorno alla questione della guerra e della difesa della patria! Ma è proprio questo il punto che Grimm passa sotto silenzio, nasconde e oscura. Di più: le sue spiegazioni finiscono per negare questo problema.

Tutto rimane come prima : ecco il filo rosso che percorre l’articolo di Grimm. Ecco la ragione profonda che induce a ravvisare nel suo articolo una manifestazione di centrismo . Tutto rimane come prima: basta solo rifiutare i crediti di guerra e la pace civile! Ogni borghese intelligente dovrà convenire che in fin dei conti, la proposta non è inaccettabile per la borghesia. Essa infatti non minaccia il suo dominio e non le impedisce di far la guerra (come “minoranza nello Stato” “noi ci subordiniamo”: queste parole di Grimm hanno un significato politico molto grande, molto più grande di quanto possa sembrare a prima vista!).

Non è, del resto, un fatto di portata internazionale che nei paesi belligeranti, e anzitutto in Inghilterra e in Germania, la borghesia e i suoi governi perseguitano soltanto i fautori di Liebknecht e tollerano i sostenitori del centro?

Avanti, a sinistra, anche se ciò comporta che certi capi socialpatriottici se ne vadano: ecco il senso politico delle proposte della maggioranza.

Indietro, rispetto a Zimmerwald, a destra, verso il socialpacifismo, verso le posizioni del centro, verso la “pace” con i capi socialpatrioti, niente azioni di massa, niente spirito rivoluzionario, niente rinnovamento del partito: ecco la concezione di Grimm.

C’è da sperare che essa consenta infine alla sinistra radicale della Svizzera di aprire gli occhi sulla posizione centrista di Grimm.

 


  PROPOSTE DI EMENDAMENTI ALLA RISOLUZIONE SULLA QUESTIONE DELLA GUERRA

 

(Scritta in tedesco fra il 27 e il 29 gennaio (9 e 11 febbraio) 1917. Pubblicata per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin, XVII, 1931. Opere vol. 23)

 

1. I rappresentanti del partito in parlamento si impegnano a respingere, esponendone i motivi, tutte le richieste e i crediti militari. Rivendicare la smobilitazione.

 

2. Niente pace civile. Inasprimento della lotta di principio contro tutti i partiti borghesi, nonché contro le idee nazionaliste grütliane nel movimento operaio e nel partito.

 

3. Propaganda rivoluzionaria sistematica nell’esercito.

 

4. Appoggio a tutti i movimenti rivoluzionari e alla lotta contro la guerra e i propri governi in tutti i paesi belligeranti.

 

5. Sostenere ogni lotta rivoluzionaria di massa, scioperi, manifestazioni, anche in Svizzera, e trasformarli in lotta armata aperta.

 

6. Il partito dichiara che la lotta rivoluzionaria di massa, approvata dal congresso di Aarau del 1915, si propone la trasformazione socialista della Svizzera. Questa trasformazione è l’unico e più efficace mezzo per liberare la classe operaia dagli orrori del carovita e della fame. Essa è indispensabile per eliminare completamente il militarismo e la guerra.

 

Nota   Questa Proposta fu presentata dai socialdemocratici di sinistra al congresso cantonale dell’organizzazione di Zurigo che si tenne a Töss l’11-12 febbraio 1917. Al congresso furono sottoposti due progetti di risoluzione sul problema della guerra 1. uno di minoranza, improntato allo spirito socialsciovinista e 2. uno di maggioranza, di tendenza centrista. Il congresso approvò con 93 voti contro 65 il secondo progetto, per il quale votarono anche gli elementi della sinistra, che fecero approvare la loro “proposta di emendamenti”. Sulla lotta di corrente nel Partito socialdemocratico svizzero si veda l’articolo di Lenin Storia di un breve periodo di vita di un partito socialista , Opere vol. 23 e in questa stessa pubblicazione a pag. 39.


  STORIA DI UN BREVE PERIODO DI VITA DI UN PARTITO SOCIALISTA

 

(Scritto in tedesco alla fine del febbraio 1917. Pubblicato per la prima volta in russo in Miscellanea di Lenin, XVII, 1931. Opere vol. 23)

 

7 gennaio 1917. Riunione della direzione del Partito socialista svizzero. Il capo del “centro” R. Grimm si unisce ai leader socialpatriottici e rinvia a tempo indeterminato il congresso (in cui si doveva discutere la questione della guerra e che era stato fissato per l’11 febbraio 1917).

Nobs, Platten, Naine e altri protestano e votano contro. Profonda indignazione contro il rinvio tra gli operai coscienti.

 

9 gennaio 1917. Pubblicazione delle risoluzioni della maggioranza e della minoranza. Nel progetto della maggioranza manca una qualsiasi dichiarazione aperta contro la difesa della patria (Affolter e Schmid si sono opposti). Tuttavia, nel paragrafo 3, è contenuta la seguente rivendicazione: “I rappresentanti del partito in parlamento si impegnano a respingere, esponendone i motivi, tutte le richieste e i crediti militari”. È bene ricordarsene.

 

23 gennaio 1917. I1 Volksrecht di Zurigo pubblica la motivazione del referendum, in cui il rinvio del congresso è caratterizzato, in termini bruschi ma assolutamente esatti, come una vittoria dei grütliani sul socialismo.

Tempesta d’indignazione dei leader contro il referendum. Grimm sulla Berner Tagwacht, Jacques Schmid (Olten) sulla Neue Freie Zeitung , F. Schneider sul Basler Vorwärts e, oltre a questi “centristi”, il socialpatriota Huber sulla Volksstimme di San Gallo: tutti costoro coprono d’ingiurie e di minacce i promotori del referendum.

L’immonda campagna è capeggiata da R. Grimm, che cerca soprattutto d’intimorire l’“organizzazione della gioventù” e promette di attaccarla al prossimo congresso del partito.

Nella Svizzera tedesca e francese centinaia e centinaia di operai precipitano a firmare i fogli del referendum. Naine telegrafa a Münzenberg che con tutta probabilità la segreteria cantonale sosterrà il referendum.

 

22 gennaio 1917. La Berner Tagwacht e il Volksrecht pubblicano una dichiarazione del consigliere nazionale Gustav Müller. Costui pone al partito un ultimatum formale, dichiarando, a nome del suo gruppo (egli scrive il “nostro gruppo”), che si dimetterà da consigliere nazionale, perché il “rifiuto di principio dei crediti militari” è per lui inaccettabile .

 

26 gennaio 1917. Greulich, nel suo quarto articolo sul Volksrecht , pone al partito lo stesso ultimatum, annunciando che “ovviamente” rassegnerà il proprio mandato, se il congresso del partito approverà il paragrafo 3 della risoluzione della maggioranza (vedasi sopra la nota del 9 gennaio, ndr)

 

27 gennaio 1917. E. Nobs dichiara, in una nota redazionale ( A proposito del referendum ), che non condivide per niente la motivazione del referendum.

Platten tace.

 

31 gennaio 1917. La segreteria delibera di convocare il convegno del partito per il 2 e il 3 giugno 1917 (non si dimentichi che la segreteria aveva già deciso una prima volta di indire il congresso per l’11 febbraio 1917, ma che la decisione era stata revocata dalla direzione del partito!).

 

1° febbraio 1917. Si riunisce a Olten un gruppo di zimmerwaldiani. Alla riunione intervengono i rappresentanti delle organizzazioni invitate alla conferenza dei socialisti dell’Intesa (convocata per il marzo 1917).

Radek, Zinoviev, Münzenberg e un membro del gruppo “Internazionale” (il gruppo “Spartaco” a cui aderiva K. Liebknecht) svergognano pubblicamente R. Grimm e dichiarano che la sua alleanza con i socialpatrioti contro gli operai socialisti della Svizzera fa di lui un “cadavere politico”.

La stampa si ostina a mantenere il più assoluto silenzio sulla conferenza.

 

1° febbraio 1917. Platten pubblica il suo primo articolo sulla questione della guerra, nel quale sono da mettere in particolare risalto due dichiarazioni.

Anzitutto, egli scrive testualmente: “Si è sentita, naturalmente, in sede di commissione, l’assenza di una mente lucida, di un combattente zimmerwaldiano, coraggioso e conseguente, che sostenesse di mettere a dormire la questione della guerra sino alla fine del conflitto”.

Non è difficile intuire contro chi sia rivolto quest’attacco.

Inoltre, nello stesso articolo, Platten fa una dichiarazione di principio:

La questione della guerra non implica soltanto una lotta di idee intorno a questo problema, ma anche un indirizzo determinato sul futuro sviluppo del partito; implica la lotta contro l’opportunismo nel partito e una presa di posizione contro i riformisti e per la lotta rivoluzionaria di classe”.

 

3 febbraio 1917. Si tiene un convegno privato di centristi (Grimm, Schneider, Rimathé e altri), a cui intervengono anche Nobs e Platten. Münzenberg e il dr. Bronski sono stati invitati, ma si rifiutano di partecipare.

 Il convegno decide di “emendare” la risoluzione della maggioranza, che viene sostanzialmente peggiorata e diventa una “risoluzione centrista”, soprattutto perché il paragrafo 3 scompare e viene sostituito con una formula assai vaga e imprecisa.

 

6 febbraio 1917. Assemblea generale dei membri zurighesi del partito socialdemocratico. Il punto più importante è l’elezione del comitato.

I presenti sono pochi, gli operai sono in numero insignificante.

Platten propone di rinviare l’assemblea. I socialpatrioti e Nobs si oppongono. La proposta viene respinta.

Comincia la votazione. Non appena si apprende che il dr. Bronski è stato eletto, il socialpatriota Baumann dichiara, a nome di quattro membri del comitato, che si rifiuta di collaborare con lui.

Platten propone di accogliere l’ultimatum (cioè di cedere), sostenendo (in aperta violazione di ogni metodo democratico e del tutto illegalmente) che l’elezione è da ritenere nulla. La proposta viene accolta!!!

 

9 febbraio 1917. Viene pubblicata la “nuova” risoluzione della maggioranza. È firmata dai “centristi” Grimm, Rimathé, Schneider, Jacques Schmid, ecc. e da Nobs e Platten. Il testo è notevolmente peggiorato, e, come si è già detto, il paragrafo 3 è soppresso.

Nella risoluzione manca qualsiasi accenno alla lotta contro l’opportunismo e il riformismo. Non si accenna alla volontà di seguire la tattica di Karl Liebknecht!

È una tipica risoluzione centrista, dove predominano i bei discorsi “generici”, con pretese “teoriche”, ma dove le rivendicazioni pratiche sono formulate di proposito in termini così fiacchi e nebulosi da far sperare che non soltanto Grimm e G. Müller, ma persino Baumann = Zurigo si degneranno di ritirare il proprio ultimatum e di... amnistiare il partito.

Risultato ultimo: lo zimmerwaldismo viene seppellito solennemente nella “palude” dai leader del partito svizzero.

 

Aggiunta.

 

Il 25 gennaio 1917 , nella Volksstimme di San Gallo (su cui scrive molto spesso Huber = Rorschach), si legge:

“A tale impudenza [cioè alla motivazione del referendum] basta opporre il fatto che la proposta di rinvio [del 7 gennaio] è stata presentata dal compagno Grimm e sostenuta energicamente anche dai compagni Manz, Greulich, Müller, Affolter e Schmid ”.

Il Basler Vorwärts del 16 gennaio 1917 comunica che la proposta di rinvio (del 7 gennaio) è stata presentata dai seguenti compagni:

“Grimm, Rimathé, Studer, Münch, Lang = Zurigo, Schneider = Basilea, Keel = San Gallo e Schnurrenberger” (sic!! È forse un refuso, invece di Schneeberger?).

Gli operai hanno tutte le ragioni di esser grati ai due giornali per aver citato questi nomi !...


  LETTERA DI COMMIATO AGLI OPERAI SVIZZERI

 

(Scritta il 26 marzo (8 aprile) 1917. Pubblicata il 1° maggio 1917 in Jugend-Internationale , n. 8. Opere vol. 23)

 

Compagni operai svizzeri,

nel partire dalla Svizzera per la Russia, allo scopo di continuare nel nostro paese il lavoro rivoluzionario internazionalista, noi, iscritti al Partito operaio socialdemocratico di Russia, diretto dal Comitato centrale (a differenza dell’altro partito, che porta lo stesso nome, ma è diretto dal Comitato d’organizzazione), vi inviamo un fraterno saluto e l’espressione della nostra profonda e fraterna riconoscenza per il vostro comportamento fraterno verso gli emigrati.

Se i socialpatrioti e gli opportunisti dichiarati , i grütliani svizzeri, sono passati, come i socialpatrioti di tutti i paesi, dal campo del proletariato a quello della borghesia, se costoro vi hanno apertamente invitati a combattere la nociva influenza degli stranieri sul movimento operaio svizzero, se i socialpatrioti e gli opportunisti mascherati , che sono la maggioranza fra i capi del partito socialista svizzero, hanno condotto in forma mascherata la stessa politica, noi dobbiamo dichiarare che fra gli operai rivoluzionari socialisti svizzeri, i quali sono su posizioni internazionaliste, abbiamo trovato una viva simpatia e che il fraterno contatto con loro ci è stato di grande utilità.

Noi siamo sempre stati particolarmente cauti nel prendere posizione su quelle questioni del movimento svizzero la cui conoscenza esige un lungo lavoro nel movimento locale. Ma quelli di noi - forse non più di dieci o quindici - che sono stati membri del partito socialista svizzero, hanno considerato come loro dovere di sostenere risolutamente il nostro punto di vista, e cioè quello della “sinistra di Zimmerwald”, sulle questioni generali e fondamentali del movimento socialista internazionale e di combattere con decisione non soltanto il socialpatriottismo, ma anche la tendenza cosiddetta del centro, cui appartengono R. Grimm, F. Schneider, Jacques Schmid e altri in Svizzera, Kautsky, Haase, l’“il Gruppo di lavoro” in Germania, Longuet, Pressemane e altri in Francia, Snowden, Ramsay MacDonald e altri in Inghilterra, Turati, Treves e i loro amici in Italia, e il partito, sopra menzionato, del “Comitato d’organizzazione” (Axelrod, Martov, Ckheidze, Skobelev e altri) in Russia.

Noi abbiamo lavorato in pieno accordo con i socialdemocratici rivoluzionari della Svizzera, che in parte sono raggruppati intorno alla rivista Freie Jugend , che hanno redatto e divulgato (in tedesco e in francese) i punti del referendum per la convocazione d’un congresso del partito nell’aprile 1917 al fine di decidere la questione dell’atteggiamento di fronte alla guerra, che hanno proposto al congresso del cantone di Zurigo a Töss la risoluzione dei giovani e della “sinistra” sulla questione della guerra, che, nel marzo 1917, hanno stampato e diffuso in qualche località della Svizzera francese un manifestino in tedesco e in francese intitolato Le nostre condizioni di pace , ecc.

Inviamo un saluto fraterno a questi compagni, con i quali abbiamo concordemente lavorato fianco a fianco.

Per noi non era e non è affatto dubbio che il governo imperialista inglese non permetterà a nessun costo il ritorno degli internazionalisti russi, avversari irriducibili del governo imperialista di Guckov-Miliukov e soci, avversari irriducibili della continuazione della guerra imperialista da parte della Russia.

A questo proposito, dobbiamo brevemente soffermarci sulla nostra concezione dei compiti della rivoluzione russa. Stimiamo tanto più necessario far questo, in quanto, per tramite degli operai svizzeri, possiamo e dobbiamo rivolgerci agli operai tedeschi, francesi, italiani che parlano la stessa lingua della popolazione svizzera, la quale, finora, ha approfittato dei benefici della pace e di una libertà politica relativamente maggiore.

Noi restiamo incondizionatamente fedeli alla dichiarazione che abbiamo pubblicato il 13 ottobre 1915, nel n. 47 dell’organo centrale del nostro partito, il Sotsialdemokrat , che si pubblicava a Ginevra. Dicevamo allora che, se la rivoluzione avesse dovuto trionfare in Russia e se al potere fosse giunto un governo repubblicano , desideroso di continuare la guerra imperialista , la guerra insieme alla borghesia imperialista inglese e francese, la guerra per la conquista di Costantinopoli, dell’Armenia, della Galizia, ecc., ecc., noi saremmo stati avversari risoluti di un tale governo, noi saremmo stati contro la “difesa della patria” in una simile guerra.

È ora avvenuto qualcosa del genere. Il nuovo governo della Russia, che ha condotto trattative col fratello di Nicola II per la restaurazione della monarchia in Russia e in cui i posti principali, decisivi sono occupati dai monarchici Lvov e Guckov, tenta di ingannare gli operai russi con la parola d’ordine: “I tedeschi devono rovesciare Guglielmo” (giusto! ma perché non aggiungere che anche gli inglesi, gli italiani, ecc. devono rovesciare i loro re e i russi i loro monarchici Lvov e Guckov??). Per mezzo di questa parola d’ordine e non pubblicando i trattati imperialisti, briganteschi, conclusi dallo zarismo con la Francia, l’Inghilterra, ecc. e confermati dal governo Guckov-Miliukov-Kerenski , il governo tenta di gabellare la guerra imperialista contro la Germania per una “guerra difensiva” (e cioè giusta e legittima anche dal punto di vista del proletariato), di gabellare per “difesa” della repubblica russa (che non esiste ancora in Russia e che i Lvov e i Guckov non hanno ancora neppure promesso di instaurare! ) la difesa delle mire piratesche, imperialiste, brigantesche del capitale russo, inglese, ecc.

Se è vero, come dicono le ultime informazioni telegrafiche, che, sulla base della parola d’ordine: “Fino a quando i tedeschi non avranno rovesciato Guglielmo, la nostra sarà una guerra di difesa”, si è giunti a una specie di avvicinamento fra i socialpatrioti russi dichiarati (come Plekhanov, Zasulic, Potresov, ecc.) e il partito del “centro”, il partito del “Comitato d’organizzazione”, il partito di Ckheidze, Skobelev, ecc.; se questo è vero, noi combatteremo con raddoppiata energia il partito di Ckheidze, Skobelev, ecc., contro il quale, anche prima, abbiamo sempre lottato a causa della sua politica opportunista, esitante e instabile.

La nostra parola d’ordine è: “Nessun appoggio al governo Guckov-Miliukov!”. Chi dice che quest’appoggio è necessario per lottare contro la restaurazione dello zarismo inganna il popolo. Al contrario: proprio il governo Guckov ha già condotto trattative per la restaurazione della monarchia in Russia. Soltanto l’armamento e l’organizzazione del proletariato possono impedire a Guckov e soci di restaurare la monarchia in Russia. Soltanto il proletariato rivoluzionario della Russia e di tutta l’Europa, rimasto fedele all’internazionalismo, può liberare l’umanità dagli orrori della guerra imperialista!

Non chiudiamo gli occhi sulle immense difficoltà che deve affrontare l’avanguardia rivoluzionaria internazionalistica del proletariato russo. In un periodo come l’attuale sono possibili i cambiamenti più bruschi e repentini. Nel n. 47 del Sotsialdemokrat abbiamo risposto chiaro e netto alla questione che si presenta spontaneamente: che cosa farebbe il nostro partito, se la rivoluzione lo portasse improvvisamente al potere? Abbiamo risposto: 1. proporremmo immediatamente la pace a tutti i popoli belligeranti; 2. pubblicheremmo le nostre condizioni di pace consistenti nell’emancipazione immediata di tutte le colonie e di tutti i popoli oppressi o lesi nei loro diritti; 3. inizieremmo immediatamente e condurremmo a termine l’emancipazione completa dei popoli oppressi dai grandi-russi; 4. non ci inganneremmo neppure un istante sul fatto che queste condizioni sarebbero inaccettabili non soltanto per la borghesia monarchica, ma anche per la borghesia repubblicana della Germania, e non soltanto per la Germania, ma anche per i governi capitalisti dell’Inghilterra e della Francia.

Potrebbe accaderci di dover condurre una guerra rivoluzionaria contro la borghesia tedesca, e non soltanto contro la borghesia tedesca. Noi la condurremmo . Non siamo pacifisti. Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell’interesse del socialismo .

Il compito che abbiamo abbozzato nel n. 47 del Sotsialdemokrat è gigantesco. Esso può essere adempiuto soltanto attraverso una lunga serie di grandi battaglie di classe fra il proletariato e la borghesia. Ma non la nostra impazienza, né i nostri desideri, bensì le condizioni oggettive create dalla guerra imperialista hanno trascinato tutta l’umanità in un vicolo cieco e l’hanno messa dì fronte al dilemma: o lasciar perire ancora milioni di uomini e distruggere completamente la civiltà europea, o far passare il potere, in tutti i paesi civili, nelle mani del proletariato rivoluzionario e compiere la rivoluzione socialista.

Al proletariato russo è toccato il grande onore d’iniziare la serie delle rivoluzioni generate per necessità oggettiva dalla guerra imperialista. Ma ci è assolutamente estranea l’idea di considerare il proletariato russo come il proletariato rivoluzionario eletto fra gli operai degli altri paesi. Sappiamo benissimo che il proletariato della Russia è meno organizzato, preparato e cosciente degli operai degli altri paesi. Non le sue qualità peculiari, ma soltanto le circostanze storiche particolari hanno fatto del proletariato russo, per un certo tempo, forse brevissimo , il combattente d’avanguardia del proletariato rivoluzionario di tutto il mondo.

La Russia è un paese contadino, uno dei paesi più arretrati dell’Europa. Il socialismo non vi può vincere direttamente e immediatamente. Ma il carattere contadino del paese, data l’immensa estensione delle terre appartenenti alla nobiltà fondiaria, stando alla esperienza del 1905, può dare alla rivoluzione democratica borghese in Russia un’ampiezza formidabile e far sì che la nostra rivoluzione sia il prologo della rivoluzione socialista mondiale, sia un passo verso di essa.

Il nostro partito si è formato lottando per queste idee, pienamente confermate dall’esperienza del 1905 e della primavera 1917, combattendo accanitamente tutti gli altri partiti e per queste idee noi continueremo a batterci anche nel futuro.

Il socialismo non può vincere direttamente e immediatamente in Russia. Ma la massa contadina può condurre la rivoluzione agraria, inevitabile e matura, fino alla confisca di tutto l’incommensurabile possesso dei grandi proprietari fondiari. Noi abbiamo sempre sostenuto questa parola d’ordine e la sostengono oggi a Pietroburgo il Comitato centrale e il giornale del nostro partito, la Pravda . Per questa parola d’ordine il proletariato combatterà senza nascondersi affatto che saranno inevitabili di accaniti conflitti di classe fra gli operai salariati agricoli e i contadini poveri a essi vicini, da una parte, e i contadini agiati , rafforzati dalla “riforma” agraria di Stolypin (1907-1914), dall’altra parte. Non si deve dimenticare che deputati contadini hanno presentato alla prima (1906) e alla seconda (1907) Duma un progetto agrario rivoluzionario in cui si chiedeva la nazionalizzazione di tutte le terre, che dovevano essere messe a disposizione dei contadini attraverso i comitati locali eletti su una base del tutto democratica.

Un simile rivolgimento, di per sé, non sarebbe ancora affatto socialista. Ma esso darebbe un impulso prodigioso al movimento operaio mondiale. Esso consoliderebbe straordinariamente le posizioni del proletariato socialista in Russia e la sua influenza sugli operai agricoli e sui contadini più poveri. Esso darebbe al proletariato urbano la possibilità di sviluppare, poggiando su questa influenza, organizzazioni rivoluzionarie come quella dei “soviet dei deputati operai”, di sostituire con esse i vecchi strumenti d’oppressione degli Stati borghesi (esercito, polizia, burocrazia), d’applicare - sotto la pressione della durissima guerra imperialista e delle sue conseguenze- una serie di misure rivoluzionarie per il controllo sulla produzione e sulla distribuzione dei prodotti.

Con le sue sole forze, il proletariato russo non può condurre vittoriosamente a termine la rivoluzione socialista, ma può dare alla rivoluzione russa un’ampiezza che crei per essa le migliori condizioni, e, in una certa misura, la inizi . Può rendere più facili le condizioni per l’intervento del suo principale , più fedele e sicuro collaboratore, il proletariato socialista , europeo e americano, nelle battaglie decisive.

Le persone di poca fede possono anche disperare a causa della temporanea vittoria, in seno al socialismo europeo, di quei ripugnanti servitori della borghesia imperialista che sono Scheidemann, Legien, David e soci in Germania, Sembat, Guesde, Renaudel e soci in Francia, i fabiani e i laburisti in Inghilterra. Noi siamo fermamente convinti che le onde della rivoluzione spazzeranno via rapidamente questa sudicia schiuma del movimento operaio mondiale.

In Germania le masse proletarie, che tanto hanno già dato all’umanità e al socialismo con un lavoro organizzativo tenace, costante e ostinato nel corso dei lunghi decenni di “tregua” europea, dal 1871 al 1914, sono già in ebollizione . L’avvenire del socialismo tedesco non è rappresentato dai traditori Scheidemann, Legien, David e soci, né dai politicanti ondeggianti, senza carattere, come Haase, Kautsky e i loro simili, aggrappati alla routine del periodo “pacifico”.

Quest’avvenire appartiene alla corrente che ha dato Karl Liebknecht, che ha creato il “gruppo Spartaco” e svolge la sua propaganda nell’ Arbeiterpolitik di Brema.

Le condizioni obiettive della guerra imperialista ci danno la garanzia che la rivoluzione non si limiterà alla prima fase della rivoluzione russa, che la rivoluzione non si limiterà alla Russia.

Il proletariato tedesco è l alleato più sicuro, più fedele della rivoluzione proletaria russa e internazionale.

Quando, nel novembre 1914, il nostro partito lanciò la parola d’ordine della “trasformazione della guerra imperialista in guerra civile” degli oppressi contro gli oppressori, per il socialismo, essa fu accolta con sarcasmo ostile e maligno dai socialpatrioti e con silenzio incredulo e scettico, diffidente e abulico dai socialdemocratici del “centro”. Il socialsciovinista, il socialimperialista tedesco David la chiamò “insensata”. Il portavoce del socialsciovinismo russo (e anglo-francese), che è socialismo a parole e imperialismo nei fatti, il signor Plekhanov, la chiamò “una cosa tra il sogno e la commedia”. E i rappresentanti del “centro” tacquero o si abbandonarono a piacevolezze sulla “linea retta tracciata nello spazio etereo”.

Oggi, dopo il marzo 1917, soltanto un cieco può non vedere che questa parola d’ordine è giusta. La trasformazione della guerra imperialista in guerra civile sta diventando un fatto.

Viva la rivoluzione proletaria che è cominciata in Europa!

Per incarico dei compagni partenti, membri del Partito operaio socialdemocratico di Russia (diretto dal Comitato centrale), che hanno approvato questa lettera nella loro riunione dell’8 aprile 1917,

 

N. LENIN


 

 

Delegazione della Commissione Provvisoria

del Comitato Centrale del

(nuovo)Partito comunista italiano

e-mail: lavocenpci40@yahoo.com

http://lavoce-npci.samizdat.net

 

 

 

 

  NOTE :

· [1] Si comprende allora perché l’imperialismo sia il capitalismo agonizzante, che trapassa nel socialismo: il monopolio, che sorge dal capitalismo, è già l’agonia del capitalismo, è l’inizio del suo trapasso in socialismo. La gigantesca socializzazione del lavoro da parte dell’imperialismo (che i suoi apologeti, gli economisti borghesi, chiamano “integrazione”) ha lo stesso significato.

· [2] “L’imperialismo è il prodotto del capitalismo industriale altamente sviluppato. Esso consiste nella tendenza di ogni nazione industriale capitalista a soggiogare e annettersi una quantità sempre più grande di regioni agricole, senza considerare quale sia la nazione che li popola” (Kautsky, nella Neue Zeit, 11 settembre 1914).

·  [3] J. A. Hobson, Imperialism, London, 1902

·  [4] Poco tempo fa, in una rivista inglese, ho letto l’articolo di un tory avversario politico di Lloyd George: Lloyd George visto da un tory. La guerra ha aperto gli occhi a questo avversario, facendogli capire quale ottimo commesso della borghesia sia questo Lloyd George! E i tories si sono riconciliati con lui!

·  [5] K. Egli, vicecapo di stato maggiore dell’esercito svizzero, fu accusato di spionaggio a favore del blocco germanico. Venne processato, le accuse furono provate, ma tuttavia, per intervento della cricca militarista svizzera, incorse in una semplice punizione disciplinare e fu collocato a riposo. T. Loys, alto ufficiale svizzero, propugnò nel 1916 l’entrata in guerra del suo paese; la socialdemocrazia ne chiese la collocazione a riposo, ma l’ufficiale se la cavò con una punizione disciplinare.

·  [6] Nella stampa socialdemocratica tedesca il “centro” viene talvolta identificato, e ben a ragione, con l’ala destra degli “zimmerwaldiani”.

·  [7] Lega di Grütli, organizzazione riformista borghese, fondata nel 1838. Nel 1901 la Lega, pur conservando la propria autonomia organizzativa, aderì al Partito socialdemocratico svizzero, ebbe un proprio organo di stampa, il Grütlianer , e condusse una politica nazionalista. Durante la prima guerra mondiale assunse un atteggiamento socialsciovinista, e il congresso di Zurigo della socialdemocrazia (novembre 1916) considerò incompatibile la sua azione politica con la permanenza nel Partito socialdemocratico svizzero.