Il futuro del Vaticano

3. Il Vaticano e la Chiesa Cattolica in Italia

venerdì 11 agosto 2006.
 

Tesi sul Vaticano

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3. Il Vaticano e la Chiesa Cattolica in Italia

Quanto fin qui detto a proposito del ruolo svolto in Europa e nel mondo dal Vaticano e dalla Chiesa (prima per ostacolare e frenare lo sviluppo del modo di produzione capitalista e dei rapporti sociali e della cultura connessi, poi, dall’inizio dell’epoca imperialista del capitalismo, per puntellare la borghesia e contrastare il movimento comunista: le rivoluzioni di nuova democrazia e le rivoluzioni socialiste), vale per l’Italia in misura tanto concentrata da determinare una qualità nuova e specificamente italiana del fenomeno. Una delle caratteristiche specifiche del nostro paese, che lo distingue da tutti gli altri paesi, anche da quelli europei, è il ruolo che il Vaticano e la sua Chiesa hanno avuto e hanno nella sua vita. Il Vaticano ha sede in Italia. L’Italia è il paese dove sono massime la densità e la forza della sua tela di ragno; è il territorio decisivo del suo funzionamento mondiale: quello in cui il Vaticano difende con più accanimento il suo potere e i suoi privilegi, quello dove ha mantenuto, a causa della storia che abbiamo alle spalle, i mezzi per difenderli con maggiore efficacia ed esercitarli con più forza.

Negli altri paesi in cui la Chiesa di Roma è presente in forze, essa è uno dei vari, pittoreschi e velenosi residuati storici che la borghesia imperialista ha recuperato dal passato: i re con le loro corti e le loro “liste civili”, gli ordini nobiliari, i magistrati di carriera, gli ordini cavallereschi, le caste e camarille di ufficiali di carriera con i loro “codici d’onore” e le loro complicità di corpo, gli ordini professionali e i loro monopoli, le Camere Alte (i senati), le rendite di Stato (una folla di ricchi parassiti che gravano sui bilanci della Pubblica Amministrazione e alimentano il segreto e il parassitismo in tutta la società), le società segrete, ecc. In tutti i paesi l’opera nefasta e i miasmi di questi residuati storici si confondono oramai con quelli della putrefazione della società borghese. Un secolo e mezzo fa la borghesia ha posto fine alla sua epoca rivoluzionaria e al suo ruolo progressivo e ha reclutato, come suoi alleati contro il movimento comunista, tutto il ciarpame residuato dal mondo preborghese. Confrontando la “vecchia Europa” con gli USA, che pure sono un paese quasi al cento per cento di origine europea, ci si rende meglio conto della natura e dell’importanza di questo fenomeno. Gli USA oggi sono il centro mondiale della lotta che il mondo borghese oppone all’avanzata del movimento comunista, sono il gendarme del mondo intero. Questo paese ha conquistato questo triste primato e svolge questo ruolo infame proprio perché qui la borghesia ha trovato meno residuati storici con cui munire le sue difese. Quindi ha sviluppato e sviluppa nel bene e nel male, in forma più pura e più concentrata, le sue peculiari caratteristiche e potenzialità. Nella “vecchia Europa” invece l’invalido si è trovato una comoda stampella nel ciarpame residuato dalla storia; ma la stampella ha tolto all’invalido la volontà di camminare con le sue gambe, ha aggravato la sua invalidità.

Nella combinazione della borghesia imperialista con i residuati storici suoi alleati, in Italia il Vaticano ha un peso tale da dare origine alla natura particolare del nostro paese nell’epoca contemporanea, anche tra i paesi europei. Si sprecano i lamenti sulle anomalie e sui ritardi del nostro paese, della sua classe dirigente, del suo sistema politico, della sua Amministrazione Pubblica, del suo sistema giudiziario, del suo sistema scolastico, dei suoi costumi, della sua cultura, ecc. Essi pullulano: da quelle riviste delle FSRS che almeno in qualche misura non si limitano a fare il verso alle lotte rivendicative ma si occupano anche dell’analisi della situazione (una per tutte: Contropiano), su su fino a Repubblica, al Corriere della Sera, a Micromega. Quello che questi signori non dicono, è l’origine storica e la causa attuale delle “anomalie italiane” che descrivono e lamentano. A forza di rifiutare di occuparsi della terapia, la borghesia italiana e quanti soggiacciono alla sua influenza hanno finito per non essere più capaci neanche di fare la diagnosi del male: si limitano a lamentarsi dei sintomi. Per trovare nella letteratura del nostro paese una lucida e chiara indicazione dell’origine delle “anomalie italiane”, per quanto mi risulta bisogna risalire all’opera di Antonio Gramsci.

Il Vaticano e la Chiesa hanno avuto un ruolo decisivo nella storia (e anche nella manipolazione della storia) del nostro paese e lo hanno ancora nel nostro presente. Ovviamente non solo in negativo. Lo hanno avuto anche in quello che è un vanto del nostro paese: che dobbiamo ricordare ogni volta che qualcuno, da disfattista, getta nelle nostre discussioni “spiegazioni” razziali, geografiche o comunque “naturali” delle “anomalie italiane”: il ruolo universale svolto dal nostro paese nel Rinascimento e l’enorme patrimonio culturale e artistico d’avanguardia che esso ha dato al mondo, in tutti i campi fino a tutto il secolo XVI. La Chiesa di Roma fu la principale istituzione e il centro organizzatore e intellettuale dell’Europa medioevale, l’intellettuale collettivo organico della società feudale europea.

È in seno a questa società che sono nati il modo di produzione capitalista e la società borghese cresciuta attorno ad esso, che hanno dato a tutto il mondo moderno la sua forma e ancora oggi la danno. Le origini delle “anomalie italiane” sono nella nostra storia. Anche qui si conferma ancora una volta che “l’uomo è il prodotto della sua storia”. In negativo il Vaticano e la sua Chiesa:

-  tra il secolo XI e il secolo XV hanno contrastato con vigore lo sviluppo, endogeno e per forza propria, del mondo borghese in atto nella penisola;

-  nello stesso periodo hanno impedito che nella penisola si formasse un vasto Stato analogo alle monarchie assolute che si formarono nel resto dell’Europa;

-  nel secolo XVI hanno posto fine allo sviluppo borghese in corso e hanno fatto decadere il nostro paese fino a ridurlo per tre secoli a territorio soggetto alla dominazione straniera;

-  tra la metà del secolo XVIII e quella del secolo XIX, quando nella penisola riprese lo sviluppo borghese, questa volta al traino e alla coda del resto dell’Europa, hanno fatto prevalere nel Risorgimento i Moderati e hanno contrapposto il movimento per l’indipendenza e l’unità al movimento contadino e alla rivoluzione agraria: un corso delle cose le cui conseguenze hanno pesato sui 130 anni di storia unitaria del nostro paese e pesano ancora oggi nelle condizioni della lotta in corso tra la classe operaia e la borghesia imperialista.

1. Fu la stessa Chiesa di Roma che, operando come centro dell’Europa medioevale, senza rendersene conto, a partire dal Basso Medioevo, all’incirca dal tempo di Carlo Magno (742-800-814), diede mille impulsi allo sviluppo dell’economia mercantile e delle relazioni monetarie, alla rottura dell’isolamento dell’economia cortense e del feudo, alle relazioni internazionali, alle spedizioni per conquistare nuove terre e nuove ricchezze, alla conoscenza scientifica. La penisola italiana fu il centro di questi impulsi. Fu il paese dove il modo di produzione capitalista raggiunse uno sviluppo quale non aveva mai raggiunto prima nella storia dell’umanità. Ciò si materializzò nella costituzione dei Comuni e delle Repubblica Marinare ed ebbe la sua forza motrice nei capitalisti commerciali, nei mercanti.

Man mano che si svilupparono le nuove relazioni economiche, e con esse le idee, i costumi, i sentimenti e i valori connessi, venne sempre più largamente e chiaramente percepito che stava nascendo un mondo nuovo incompatibile col vecchio. Non era qualcosa che avrebbe continuato a vivere accanto al vecchio mondo feudale, nelle sue periodiche fiere, al suo servizio, come suo complemento, arricchimento e abbellimento. Se non lo si soffocava in tempo, il nuovo mondo borghese avrebbe soppiantato il vecchio mondo feudale. Si accese allora gradualmente una lotta mortale tra i due mondi. La vecchia lotta medioevale per le investiture feudali si trasformò nella lotta tra le autorità laiche e il potere del Papato e della Chiesa. Ben presto il Papato con la sua Chiesa fu alla testa del vecchio mondo che lottava per la sua sopravvivenza. Per ovvi motivi lo scontro tra i due mondi venne combattuto nella penisola con più accanimento, con maggiori forze e con più ferocia che nel resto d’Europa. Nella penisola infatti aveva la sua sede la maggiore istituzione, il centro intellettuale e morale della società feudale europea. Le guerre che imperversarono nella penisola per sette secoli, tra il XI e il XVI secolo, come pure i contrasti politici e culturali dell’epoca, hanno questa base. L’esito del conflitto non era affatto scontato. Anzi il Papato attraversò allora un lungo periodo di grande precarietà: dal 1309 al 1423, prima col trasferimento della sua sede ad Avignone in Francia e poi con il grande Scisma d’Occidente.

2. Il Vaticano fu l’ostacolo decisivo alla costituzione nella penisola di una grande unità statale nell’epoca in cui, nel resto dell’Europa pur in genere socialmente meno avanzato dell’Italia, si formarono monarchie assolute nazionali: fattori determinanti per l’ulteriore sviluppo della società borghese. Nicolò Machiavelli (1469-1527) partecipò alle lotte di quell’epoca e le studiò a fondo. Egli concluse che il Vaticano era l’ostacolo principale alla creazione di una vasta monarchia assoluta nella penisola. Da una parte era allora ancora pressoché inconcepibile che essa si formasse eliminando il Papato, dati la sua potenza nel resto d’Europa e lo stato generale delle cose. Dall’altra parte le altre potenze cristiane avrebbero cercato in ogni modo di impedire che il Papa cumulasse la sua sovranità intellettuale e morale sui loro sudditi con il possesso delle forze proprie di un grande Stato. Certamente le conclusioni di Machiavelli ben riflettono il quadro reale delle forze che allora si contrapposero. Ma è anche vero che, quanto a loro, i Papi lottarono energicamente ed efficacemente per impedire che altri unissero la penisola contro di loro. Non lottarono invece mai con energia e tenacia per unificarla ai loro ordini nella forma, moderna per l’epoca, di una monarchia assoluta. La causa per cui non cercarono questa soluzione è facilmente comprensibile. Il Papato incarnava l’unità di una società frazionata e dispersa come quella feudale. Se il Papa si fosse invece trovato alla testa di un grande Stato, ciò avrebbe non solo acuito i contrasti tra il Papato e le monarchie assolute del resto dell’Europa: contrasti che comunque costellano tutto il periodo in esame. Ma il Papa avrebbe dovuto far fronte alle pretese e alle rivolte di una popolazione importante, il cui consenso al governo papale sarebbe stato decisivo per la sopravvivenza del Papato. Il Papa avrebbe insomma rischiato di fare la fine di Carlo I d’Inghilterra e di Luigi XVI di Francia e il Papato la fine della dinastia francese. E probabilmente ben prima di essi, dato il più avanzato sviluppo del capitalismo nella penisola e l’attitudine combattiva delle sue popolazioni. Già allora al Vaticano conveniva ed era necessario governare dietro le quinte, per interposta persona: non comparire direttamente e non assumere le conseguenze del proprio governo.

3. La conclusione delle lotte fin qui ricordate fu che nel secolo XVI il Papato, alla testa delle forze italiane ed europee della reazione feudale, riuscì a debellare in tutta la penisola la Riforma e con essa le forze borghesi del nascente capitalismo. La penisola cadde addirittura per tre secoli sotto il controllo delle altre potenze europee (Francia, Spagna, Austria). Con la Controriforma la Chiesa di Roma approfittò abilmente del distacco nelle idee e nei costumi, che durante il Rinascimento si era creato o approfondito, tra la élite mercantile e intellettuale (in breve, borghese) e la massa della popolazione, in particolare i contadini e in generale le donne, per reprimere ed eliminare i suoi oppositori e imporre il conformismo intellettuale e morale. La Chiesa da allora fu populista. I grandi intellettuali e l’elite borghese dei paesi cattolici furono dalla Chiesa costretti a mantenere, direttamente ma soprattutto indirettamente, tramite il personale esteriore ossequio ai riti della religione popolare e il basso clero, un legame con la massa della popolazione. Se anche personalmente pensavano e in privato si comportavano diversamente, essi pubblicamente dovevano mostrare devozione e ossequio alla religione che la Chiesa amministrava alla massa della popolazione.(12)

Quanto a questa, la Chiesa impedì che uscisse dalle superstizioni ereditate dal Medioevo, la fede popolare nelle quali il Rinascimento non aveva intaccato seriamente e da una concezione del mondo che, per contrasto con l’evoluzione della società e delle conoscenze, divenne sempre più miracolistica, fatalista, fanatica e primitiva. Era quanto la Chiesa e tutta la classe dominante ritenevano necessario per impedire che la massa della popolazione sognasse di uscire e si impegnasse per uscire dalla sua miserabile condizione economica e sociale. Per ottenere questo non bastavano la repressione e l’attività capillare del basso clero (i parroci di campagna e i frati dei monasteri). Occorreva anche che l’elite limitasse o nascondesse i suoi comportamenti e le sue idee e aiutasse il clero a instaurare una gestione attiva delle idee e dei sentimenti delle donne e delle classi popolari, in particolare dei contadini.(13) L’alto clero si incaricò della direzione del tutto, come attività di cui aveva il monopolio. Il Santo Uffizio della Curia Romana fu, con la sua raffinata dottrina e suoi roghi per eretici e streghe, la direzione centrale di questa attività.

Il clero ebbe il monopolio dell’educazione dei fanciulli, differente a secondo della classe a cui appartenevano. Ebbe il monopolio anche della direzione spirituale delle donne e dell’egemonia sui contadini. Le armi a sua disposizione furono numerose. In particolare: il confessionale per la conoscenza dei comportamenti, delle tendenze e dei pensieri e la persecuzione morale delle trasgressioni; la minaccia delle pene dell’inferno e le promesse delle gioie del paradiso dopo la morte; la maledizione e la benedizione di Dio e dei suoi santi ed angeli già qui nella vita terrena; la scomunica (l’esclusione dai riti) e la messa al bando dalla vita sociale. Il Catechismo (pubblicato nel 1566) divenne la sintesi della concezione del mondo e della morale a cui tutti dovevano professare ossequio, ma che era una vera catena per la mente e il cuore del “popolino” sfruttato, manipolato e disprezzato dai prelati.

Con la Controriforma la Chiesa instaurò nei paesi rimasti sotto l’autorità del Papa un nuovo regime sociale di rigido controllo dei comportamenti e delle coscienze della popolazione: un regime che aveva il potere politico come braccio militare e coercitivo e il clero regolare e secolare (diocesano) come guida spirituale, intellettuale e morale e come collante generale. Una cappa intellettuale, morale e politica calò su tutti i paesi rimasti cattolici (“papisti”) e alla lunga determinò la decadenza del loro ruolo nelle relazioni internazionali. Questa cappa schiacciò la penisola italiana più che gli altri paesi.

Le popolazioni del nostro paese entrarono in un lungo periodo di stagnazione, di regresso e di decadenza in ogni campo. In campo economico si arrestarono la separazione delle attività manifatturiere dall’agricoltura e il connesso sviluppo dell’industria come settore economico a sé stante. Nel terreno scientifico, culturale e morale furono tollerate le ricerche nel campo della tecnica e proibito, perseguitato o scoraggiato ogni sviluppo nel campo delle scienze umane: la vicenda di Giordano Bruno (1548-1600) e di Galileo Galilei (1564- 1642) sono esemplari. L’agiografia la retorica e l’accademia denotarono l’epoca.(14) Questa catastrofe ha segnato la storia successiva del nostro paese e la segna tuttora.

Lo sviluppo del nuovo modo di produzione (il capitalismo) venne arrestato ovunque, ma la Controriforma non poté restaurare il mondo feudale. La sua distruzione era già andata troppo oltre e non era più reversibile. Avvenne invece che molti borghesi (mercanti, banchieri, industriali, professionisti e intellettuali), impediti o dissuasi dal nuovo regime dal proseguire ed espandere su grande scala i loro affari e i loro traffici di carattere capitalista, li abbandonarono in tutto o in parte e trasferirono una parte dei loro interessi comperando proprietà terriere in cambio di denaro che i vecchi proprietari (di origine feudale) scialacquarono nelle città o all’estero. D’altra parte le famiglie feudali della penisola erano state in gran numero rovinate o snaturate dalle lunghe guerre, dal fiorire delle “compagnie di ventura”, dalla fuga dei servi della gleba, dalle spedizioni. Le forze armate dei nuovi Stati formatisi nella penisola non si fondavano oramai più sulle prestazioni feudali, ma su milizie mercenarie. Prevalsero allora nelle campagne e tra città e campagne della penisola nuove relazioni sociali. Nelle campagne i contadini producevano, con attrezzi propri e con i metodi tradizionali, oltre a quanto il proprietario, le Autorità e il clero lasciavano loro per la loro miserabile sussistenza, derrate agricole che erano incamerate dai loro oppressori (proprietari terrieri, Autorità e clero). I contadini vennero dissuasi o impediti dall’abbandonare la campagna e fuggire verso la città. L’abbandono delle campagne nel nuovo regime continuò unicamente attraverso i canali dell’arruolamento nel clero e della chiamata delle Autorità e dei proprietari terrieri (come soldati, servitori o bassa manovalanza nei servizi pubblici). Proprietari terrieri, Autorità e clero (con l’eccezione dei parroci di campagna e di una parte dei frati dei monasteri) mantennero la loro residenza principale nelle città.(15) Qui essi facevano lavoratore al loro servizio una numerosa popolazione urbana di servitori, impiegati, dipendenti dei servizi pubblici, poliziotti, soldati, fannulloni, ladri, prostitute e artigiani, che retribuivano in denaro. Ad essi vendevano anche quella parte delle derrate agricole che non consumavano essi stessi e non esportavano in cambio di denaro. L’economia cittadina rimase quindi un’economia monetaria molto estesa, ricca e brillante: per questo aspetto il nuovo regime conservò e perfino sviluppò le acquisizioni del Rinascimento. Ma la città non vendeva nulla ai contadini: gravava come un unico grosso corpo parassitario sui contadini a cui succhiava anche l’anima. L’economia di questi non era monetaria, era un’economia naturale. Città e campagna divennero più di prima mondi separati, uniti solo dallo sfruttamento che agrari, Autorità e Chiesa esercitavano sui contadini.

I proprietari della terra non erano ormai più signori feudali. La proprietà della terra non era più connessa con il ruolo politico che il feudatario aveva esercitato nel suo feudo. Il frazionamento politico della penisola non era oramai più quello del Medioevo, anche se restavano i nomi e i titoli dei feudi di allora. Ognuno degli staterelli in cui era divisa la penisola assomigliava in piccolo alle monarchie assolute del resto dell’Europa, con la sua burocrazia e i suoi mercenari che assolvevano ai ruoli politici un tempo esercitati dai titolari dei feudi, con le sue variopinte autonomie locali e i loro dazi, con le sue forze armate mercenarie, ecc. All’inizio per alcuni versi gli Stati della penisola erano anzi socialmente più avanzati del resto d’Europa. L’economia monetaria dominava nelle città e nelle relazioni internazionali o comunque a largo raggio. Giuridicamente i nuovi proprietari terrieri erano privati cittadini che compravano o vendevano la terra di loro proprietà. Ma i contadini restarono esclusi dai rapporti commerciali e monetari. Le prestazioni personali e la quantità di derrate che essi dovevano ai proprietari, alle Autorità e al clero restavano fissate da norme abitudinarie, diverse da zona a zona e dalla volontà del padrone. I rapporti furono rapporti abitudinari, non monetari né oggetto di contrattazione: rapporti di dipendenza personale in cui la volontà del padrone convalidata dal clero (quando le due figure non coincidevano nella stessa persona) si confondeva con la volontà di Dio ed era tutelata dalle Autorità. Il clero fu il depositario e l’amministratore della volontà di Dio, l’interprete dell’“ordine naturale” delle cose, la voce della verità e la fonte delle norme morali.

La Chiesa rafforzò il suo potere sia come grande proprietaria di terre in gran parte inalienabili, sia come collante culturale e morale della nuova composizione di classe. Su tutta la società calò la cappa di piombo della Controriforma: con la censura, l’Inquisizione, l’Indice dei libri proibiti, il controllo del clero sulle coscienze e sui costumi tramite il confessionale, la decadenza dell’editoria, la persecuzione dei dissidenti e degli irregolari, la tortura, i roghi per streghe ed eretici, il monopolio del clero sulla cultura. Il clero ebbe il monopolio della cura della mente, dei sentimenti e dei costumi dei contadini e delle donne, dell’educazione dei fanciulli e dei giovani, della cultura in generale.

I contadini furono isolati dai lavoratori delle città. Il borghese e comunque il benestante della città e il proprietario terriero divennero in larga misura due figure sociali distinte riunite nella stessa persona con la connessa doppiezza morale e intellettuale.

La Controriforma dotò il Papa e la Chiesa di un corpo di funzionari (il clero) più selezionato, più omogeneo per concezione del mondo (dottrina) e per precetti morali, più centralizzato e con una struttura gerarchica meglio definita, più disciplinato, con una formazione superiore curata sistematicamente in scuole speciali (i Seminari per il clero diocesano), più strettamente vincolato al celibato. Insomma un partito nel senso moderno. Esso però non si formò come avanguardia riunita nel compito della promozione sociale di una classe. Si formò per ristrutturazione di una forza tradizionale da parte del suo comando tradizionale che, per ristrutturarla, si avvalse dell’autorità e degli strumenti di potere tradizionali di cui disponeva. Fu come la ristrutturazione di un esercito sconfitto fatta da parte del suo comando per ricavarne una nuova armata capace di combattere; come la ristrutturazione di un paese da parte del suo Stato per infondergli nuova vitalità; come saranno le riforme compiute da vari “sovrani illuminati” nell’Europa del secolo XVIII. L’ordine dei Gesuiti, fondato nel 1534 da Ignazio di Loyola (1491-1556), fu il reparto modello della ristrutturazione generale che il Papa compì nel suo clero.

L’egemonia sui contadini, l’educazione dei fanciulli, la direzione spirituale delle donne, funzioni sociali di cui la Chiesa si era riservata il monopolio, le offrirono un campo illimitato di reclutamento per il suo clero. Arruolarsi nel clero divenne d’altra parte per i fanciulli delle famiglie contadine una via di promozione sociale e di alleviamento delle condizioni economiche e sociali della famiglia contadina. Il ruolo sociale e il prestigio del clero facevano della carriera ecclesiastica uno sbocco ambito e vantaggioso anche per la famiglia urbana.

Insomma la Controriforma creò nei paesi cattolici un moderno partito internazionale a disposizione del Papa. Esso era costituito da una milizia territoriale (il clero diocesano, il clero secolare), da corpi mobili specializzati (gli ordini e le congregazioni: il clero regolare), da corpi ausiliari mobili femminili (le congregazioni di suore) e da uno Stato maggiore costituito dalla Curia Romana, dai suoi emissari e dai prelati di grado più elevato.

Solo quando con la Rivoluzione francese ed europea, tra il 1789 e il 1848, esploderà su grande scala il fallimento di questo sistema nel compito di mantenere l’egemonia clericale sulle masse, il Vaticano passerà a unire in organizzazioni particolari anche quella parte delle masse che gli resta fedele (l’Azione Cattolica, le altre organizzazioni diocesane dei laici, le organizzazioni di massa cattoliche e infine gli ordini laici) per preservarla dal contagio, per usarla per l’esercizio del vecchio potere e, possibilmente, per ricondurre all’obbedienza il resto delle masse che gli è sfuggito. Ma ciò avrà largo sviluppo solo nell’ambito del nuovo ruolo che la Chiesa di Roma e il Vaticano assumeranno, in Italia e nel mondo, nell’epoca imperialista del capitalismo. La decadenza del ruolo internazionale dei paesi cattolici fu proporzionale, per velocità ed ampiezza, al rigore con cui si impose in essi la Controriforma. La penisola in linea di massima ebbe la sorte peggiore in Europa, anche se differente da zona a zona grazie al frazionamento politico.

4. Nella struttura di classi fissata nella penisola dalla Controriforma vi erano le premesse per cui la lotta per l’indipendenza e l’unità della penisola non diventò anche un movimento per la rivoluzione agraria, per la rivoluzione borghese dei contadini. Per le sue relazioni commerciali e culturali la borghesia urbana era la parte della popolazione più esposta ad avvertire il bisogno e i vantaggi dell’indipendenza e dell’eliminazione del frazionamento politico e dei confini dei piccoli Stati in cui era divisa la penisola in una Europa formata da grandi Stati nazionali. Ma per le sue relazioni con i contadini questa stessa borghesia urbana era assolutamente contraria a una rivoluzione contadina: essa sarebbe stata il bersaglio della rivoluzione borghese nelle campagne. Questo la univa al clero che con la sua egemonia intellettuale e morale era il vero garante e pilastro portante del suo dominio sui contadini. Senza la religione e il clero che la amministrava, per tenere a bada i contadini non sarebbe rimasto altro che il ricorso permanente alla repressione e al terrore. Avvenne quindi che lungo tutto il Risorgimento, che va all’incirca dalla metà del secolo XVIII al 1870, il clero continuò a dirigere intellettualmente e moralmente i contadini, le donne e i fanciulli. La popolazione urbana maschile, in particolare quella benestante, si divise in credenti e miscredenti. Ma la salvaguardia dell’ordine sociale spinse anche i miscredenti a sostenere il clero, la Chiesa e il Papa. La lotta per l’indipendenza e l’unità della penisola, che nel decennio 1859-1870 sfociò nella costituzione del Regno d’Italia, ebbe dunque come forza dirigente sul terreno la borghesia urbana, cattolica e no, che fu però trascinata in questa impresa dalla evoluzione generale dell’Europa con cui aveva intensi legami tradizionali in campo economico e culturale. Da qui la definizione di “rivoluzione passiva” che è stata data al Risorgimento italiano. I Moderati furono i promotori di questo indirizzo politico: cambiare la sistemazione politica della penisola ma non modificare la struttura sociale, imporre alla Chiesa gli aggiornamenti indispensabili ad evitare che lo scontro sociale diventasse radicale e a salvaguardarne il ruolo sociale.

I contadini erano ancora la stragrande maggioranza della popolazione, ma la lotta per l’unità e l’indipendenza del paese venne condotta anche contro di loro. Più volte il governo imperiale austriaco e il Papa minacciarono di scatenare, con decreti di confisca della terra a vantaggio dei contadini e con la scomunica, i contadini contro i liberali fautori dell’unità e dell’indipendenza. Erano minacce a vuoto perché sia l’uno che l’atro avevano più da perdere da una rivoluzione agraria nella penisola che dalla vittoria dei liberali. Aumentarono però le paure dei liberali e il panico che già essi provavano di fronte ai movimenti dei contadini.

Tutti i movimenti contadini dell’epoca del Risorgimento (del 1796, del 1799, del 1808, del 1821, del 1848, del 1860) ebbero infatti come oggetto e movente principali la proprietà della terra e, più in generale, i rapporti agrari.(16) Ma furono i gruppi antiunitari e quindi antiborghesi che si misero alla loro testa e definirono gli obiettivi politici di essi. Ovviamente questi gruppi non avevano né la volontà né la capacità di guidare una rivoluzione agraria che per forza di cose doveva essere una rivoluzione borghese: avrebbe eliminato i rapporti di dipendenza personale nelle campagne e instaurato rapporti mercantili e capitalisti a partire dalla confisca della terra a favore dei contadini. Di conseguenza i movimenti contadini si trovarono in contrasto aperto e sanguinoso con le forze politiche autenticamente borghesi, fautrici dell’unità e dell’indipendenza della penisola e furono sconfitti. La guerra del “Brigantaggio” che si protrasse per quasi due decenni a partire dal 1860 fu il movimento contadino più diffuso territorialmente (interessò tutto il Meridione continentale) e di più lunga durata. L’esercito della nuova Italia e la Guardia Nazionale ebbero più caduti che in tutte le tre guerre d’indipendenza (1848-1849, 1859-1860, 1866). I caduti dalla parte contadina furono di gran lunga più numerosi, ma non erano neanche registrati. Lo Stato unitario continuò per decenni a considerare ogni protesta dei contadini come una minaccia per l’unità e l’indipendenza del paese (un “attentato alla costituzione d’Italia”) e a reprimerla selvaggiamente. Così ad esempio avvenne per la dimostrazione nel 1878 dei contadini della zona del monte Amiata in cui i militari uccisero a sangue freddo Davide Lazzaretti. Ancora nel 1893, al tempo dei Fasci Siciliani, Crispi e i suoi accusarono i contadini di mire antiunitarie e li repressero selvaggiamente. È in questo contesto che nella zona occidentale della Sicilia la Mafia si consolidò come forza irregolare che assicurava l’ordine per conto dello Stato e sotto la sua alta supervisione.(17)

Sostanzialmente la questione se unificare o no la penisola, in che forma e come, restò una questione di battuta e risolta nell’ambito delle classi dirigenti dei vari Stati italiani con qualche coinvolgimento delle classi lavoratrici urbane. Ovvio che in questo contesto i Moderati (la Destra Storica) avessero la meglio sui fautori della repubblica e di una “rivoluzione democratica” che, senza rivoluzione agraria, restava una proposta campata in aria e priva di forze.(18) Il Papa e la Chiesa erano ufficialmente contro l’unificazione della penisola, ma in realtà la Chiesa era molto divisa. I Moderati si giovarono del generale indebolimento del Papato in Europa nel corso del secolo XVIII: a causa dell’Illuminismo, delle riforme introdotte dai “sovrani illuminati”, (tra cui proprio l’Imperatore d’Austria), della soppressione dell’ordine dei Gesuiti in molti paesi e infine della Rivoluzione Francese e dell’impero napoleonico. Questi ultimi eventi in particolare comportarono il distacco di considerevoli masse popolari dalla concezione religiosa del mondo e dalla Chiesa. I Moderati inoltre scompigliarono definitivamente le forze clericali antiunitarie grazie alla fatua adesione di Pio IX nel 1848 al liberalismo e al movimento per l’indipendenza e l’unità. L’adesione durò poco, ma fu “sufficiente per disgregare l’apparato politico-ideologico della Chiesa e a togliergli fiducia in se steso: fu il capolavoro politico del Risorgimento e uno dei punti più importanti di risoluzione dei nodi che fino allora avevano impedito di pensare concretamente alla possibilità di uno Stato unitario italiano” (A. Gramsci, Testi 3 e 24 Quaderno 19 del 1934-1935, pag. 1867 e pag. 2013 ed. Einaudi 2001). Un capolavoro a cui il movimento neoguelfo fece da battistrada: il suo capofila, Vincenzo Gioberti (1801-1852), divenne addirittura primo ministro del Piemonte tra il 1848 e il 1849.

I Moderati infine egemonizzarono e fecero di fatto lavorare sotto la loro direzione i Repubblicani raccolti nel Partito d’Azione: Garibaldi, Mazzini, Crispi, ecc. Senza una rivoluzione agraria, il Partito d’Azione non ebbe altra possibilità che collaborare, consapevole o meno, di buona o cattiva voglia, alla rivoluzione diretta dai Moderati. La Destra Storica mantenne di fatto la direzione anche quando nel 1876 il governo del paese fu ufficialmente assunto dalla Sinistra. Questa infatti in tutte le questioni più importanti proseguì le linee generali tracciate dalla Destra Storica. Il Trasformismo (una specie di Grande Coalizione dell’epoca) rese evidente anche in termini di combinazione parlamentare la subordinazione della Sinistra alla Destra.

Quali furono le conseguenze della direzione dei Moderati nel Risorgimento e del carattere anticontadino che essi gli dettero? Quali cambiamenti produsse nelle classi del paese e nelle relazioni tra esse?

Il Risorgimento non fu direttamente una rivoluzione nei rapporti sociali. Fu solo un diverso assetto politico della penisola (la sua unificazione politica) e un diverso inserimento di essa nel contesto politico ed economico europeo. Estese a tutto il paese gli ordinamenti di politica interna e le relazioni internazionali che la monarchia dei Savoia aveva già introdotto nel suo dominio. Ma a unità fatta, per consolidare e rafforzare i risultati del Risorgimento, i Moderati stessi dovettero mettere in opera una serie di trasformazioni e di opere (rete di comunicazione stradale e ferroviaria, sistema scolastico nazionale, forze armate, sviluppo industriale, ecc.) che misero in crisi i rapporti di produzione. Il mercato della terre ebbe un forte impulso, la terra divenne un capitale e il suo rendimento venne confrontato a quello dei capitali investiti in altri settori, i rapporti nelle campagne si trasformarono sempre più in rapporti mercantili e capitalisti. L’espulsione in massa dei contadini dal lavoro agricolo (con la conseguente “sovrappopolazione delle campagne”), il reclutamento dei contadini per i lavori pubblici, l’emigrazione all’estero, lo sviluppo industriale nelle città e le migrazioni interne cambiarono la composizione di classe del paese.

L’indipendenza e l’unità d’Italia misero quindi in moto un processo di trasformazione sociale che le masse popolari subirono. Non solo non lo promossero, ma fu loro impedito anche di capirne la natura. Attraverso alterne vicende e con tribolazioni e sofferenze inenarrate delle masse popolari, i rapporti sociali nelle campagne e nell’intero paese divennero principalmente borghesi. Chiunque nel movimento comunista italiano ha parlato di “completamento della rivoluzione borghese” ed è andato a pescare i “residui feudali” per sostenere tale linea, di fatto, anche al di là delle sue intenzioni, ha preso posizione contro l’unica ulteriore trasformazione che il movimento comunista poteva e doveva compiere nel paese: la rivoluzione socialista.(19)

Abbiamo già visto che la composizione di classe fissata in Italia dalla Controriforma aveva eliminato la possibilità che la borghesia promuovesse e dirigesse una rivoluzione agraria: l’instaurazione di rapporti borghesi nelle campagne con l’eliminazione della Chiesa e degli altri residui feudali. Gli sviluppi postunitari hanno eliminato definitivamente anche le condizioni di una rivoluzione di nuova democrazia. La grande migrazione interna del secondo dopoguerra, dalle campagne alle città e dal Meridione al Settentrione, hanno svuotato le campagne e ridotto i contadini a una piccola parte della popolazione del paese. Non ha risolto il problema contadino, di cui infatti sono ben visibili nelle campagne i lasciti: ha eliminato i contadini.

A grandi linee gli effetti della direzione dei Moderati nel Risorgimento furono tre:

-  i residui semifeudali fissati dalla Controriforma si protrassero a lungo e hanno inquinato permanentemente i più importanti aspetti politici, economici e culturali della formazione economico-sociale borghese italiana, caratterizzandola anche dopo la loro scomparsa;

-  lo sviluppo del capitalismo fu lento e stentato, nonostante i lasciti favorevoli del Rinascimento: la massa della popolazione subì a lungo i tormenti dello sviluppo del capitalismo e del carente sviluppo del capitalismo;

-  il nuovo Stato non affermò mai la sua piena e unica sovranità: si creò e perdura tuttora una condizione di sovranità plurima o sovranità limitata.

1. La Chiesa Cattolica fu la maggior beneficiaria del carattere moderato e anticontadino del Risorgimento. I Moderati non condussero con energia, e data la loro natura non potevano condurre con successo, un’attività per eliminare o almeno ridurre l’egemonia intellettuale e morale della Chiesa sui contadini, sulle donne e su una parte della popolazione urbana. La lotta della borghesia per il rinnovamento intellettuale del paese si ridusse a iniziative private scoordinate e spesso settarie ed elitarie. La sua iniziativa fu pressoché nulla sul piano morale, del comportamento individuale e sociale, per promuovere una morale adeguata alle condizioni della società moderna. La borghesia rinunciò a formulare e promuovere in termini di morale (di principi e norme di comportamento individuale) il complesso di relazioni sociali (della società civile) che il suo Stato tutelava con la violenza ed esprimeva in termini giuridici nella sua legislazione. Il poco che la borghesia fece con la scuola pubblica, ebbe effetti limitati perché riguardò solo la scuola frequentata da una minoranza delle nuove generazioni: l’analfabetismo, l’influenza della Chiesa nelle scuole inferiori specialmente nelle campagne e la permanenza di un diffuso sistema di collegi e scuole gestito dal clero prolungarono l’egemonia della Chiesa nella formazione intellettuale e morale delle nuove generazioni. Lo Stato si limitò a formare i candidati allo strato superiore della classe dominante: esso per forza di cose, per essere per quanto poco all’altezza dei suoi compiti, doveva avere una formazione intellettuale e morale diversa da quella che tramite la Chiesa la borghesia imponeva alle donne e alle classi delle masse popolari.

La legislazione del nuovo Stato e ancor più la sua applicazione e l’attività pratica dell’Autorità e dell’Amministrazione Pubblica tutelarono gli interessi della Chiesa e sostennero la sua integrazione nelle nuove condizioni della ricchezza del paese. La Chiesa e la sua “nobiltà nera” romana trasformarono, alle condizioni dettate da loro stesse, le loro proprietà terriere ed immobiliari tradizionali in nuova ricchezza finanziaria.

Non solo mancarono del tutto nel Risorgimento e nei decenni successivi la mobilitazione di massa per migliorare le proprie condizioni, l’istruzione e le condizioni igieniche e sanitarie e tutti gli altri aspetti dell’iniziativa di massa che una rivoluzione contadina e una fiducia in se stessi confortata dai risultati avrebbero sviluppato in milioni di individui. Ma al contrario vi fu lo sforzo congiunto della Chiesa, dello Stato e di gran parte della classe dominante per mortificare, reprimere e scoraggiare l’iniziativa pratica e, a monte, l’emancipazione intellettuale e morale della massa degli uomini e delle donne. L’emigrazione dalla campagna nelle città venne sistematicamente usata per rafforzare l’egemonia ecclesiastica anche nelle città: le parrocchie sfruttarono il loro ruolo di ufficio di collocamento per estendere il controllo ecclesiastico sugli operai e gli altri lavoratori delle città.

Si aggiunga a tutto ciò la duratura contrapposizione che allora si instaurò e si mantenne poi tra la massa della popolazione e le Autorità che si presentavano solo o principalmente nei panni del carabiniere, dell’esattore fiscale o dell’usciere, il servizio militare obbligatorio al servizio di uno Stato nemico imposto dopo l’Unità, l’azione di sobillazione e boicottaggio promossa a lungo dalla Chiesa e dagli altri gruppi antiunitari di cui i Moderati avevano rispettato per intero il potere sociale (ricchezza, prestigio e spesso anche cariche pubbliche). In particolare la Chiesa da una parte ottenne ricchezze, privilegi e potere dal nuovo Stato e dall’altra si atteggiò a protettrice e portavoce delle masse popolari di fronte alle Autorità in una posizione sistematica di ricatto.

La storia unitaria del nostro paese è segnata in ogni aspetto da questo sviluppo, nel Meridione e nelle zone montane del Centro e del Nord più che altrove. Fu il nascente movimento comunista, con le sue leghe, le sue mutue, le sue cooperative, i suoi circoli, i suoi sindacati, le sue camere del lavoro, il suo partito che, dall’epoca del Risorgimento in poi, assunse il ruolo di promotore dell’iniziativa pratica delle masse popolari, della loro emancipazione da una concezione superstiziosa e metafisica del mondo e della loro emancipazione da precetti morali che derivano da condizioni sociali di altri tempi. Un po’ alla volta si formò un’avanguardia di lavoratori che, man mano che essi stessi si liberavano dalla melma del passato sostenuta dalla forza e dal prestigio delle Autorità dello Stato, della Chiesa e delle altre organizzazioni parallele della classe dominante, quindi con limiti, errori ed esitazioni ma anche con tenacia, eroismo e continuità, anziché usare la propria liberazione in termini di emancipazione e carriera personali, si organizzarono per moltiplicare le loro forze e diffondere più ampiamente la riforma intellettuale e morale necessaria per costruire un’Italia comunista.

2. L’economia monetaria era già molto sviluppata in Italia e la ricchezza monetaria del paese era abbondante e concentrata, quando iniziò il Risorgimento. Ma essa solo in misura limitata fu usata per investimenti capitalisti.

La scarsa disponibilità di capitali per investimenti è stata un lamento che ha accompagnato tutta la storia del nostro paese dopo l’Unità e che gli storici borghesi, clericali e no, compiacenti hanno riversato nei loro trattati di storia. In effetti i capitalisti imprenditori e persino lo Stato dovettero largamente ricorrere alle banche di prestito e d’investimento e alle Borse straniere per finanziare investimenti e Debito Pubblico.

Proprio la direzione dei Moderati aveva impedito che si creassero le condizioni di classe e politiche necessarie perché la ricchezza monetaria del paese si incanalasse verso lo sviluppo economico e civile del paese e perché l’imposizione fiscale fosse trasparente, equamente ripartita e all’altezza delle spese della Pubblica Amministrazione. I proprietari terrieri continuarono fino al secondo dopoguerra a spremere ai contadini le rendite e le prestazioni personali che avevano spremuto prima dell’Unità. Che fine facevano queste rendite? Per la gran parte, e la Chiesa è l’esempio più macroscopico, i proprietari terrieri non erano capitalisti che investivano in imprese industriali quello che spremevano ai contadini. Erano parassiti che continuavano a scialacquare come avevano fatto prima dell’Unità, nelle città o all’estero. La speculazione finanziaria, l’usura, la speculazione fondiaria ed immobiliare, gli investimenti finanziari all’estero, la tesaurizzazione, le spese dei ricchi, della Chiesa e delle Autorità per il consumo, il lusso e lo sfarzo e le loro spese di rappresentanza e di prestigio continuarono ad assorbire larga parte della ricchezza monetaria e delle forze lavorative del paese, così come, parallelamente, la retorica, la teologia e l’arte degli azzeccagarbugli continuarono ad assorbire larga parte delle sue energie intellettuali.

La Chiesa rimase il centro promotore e la fonte principale del parassitismo della classe dominante che, attraverso mille canali e capillari, ha inquinato nei 130 anni di storia unitaria e ancora oggi inquina tutto il paese, assorbe tanta parte delle sue forze produttive, occupa tanta parte della sua forza lavoro e impone la sua ombra e impronta malefiche e detta la sua legge ovunque nel nostro paese. Non a caso in Italia la beneficenza, i favori e le elemosine sono sempre stati e sono in proporzione inversa ai diritti delle masse popolari e ai salari. È il “conservatorismo benevolo”: i lavoratori sono alla mercé del buon cuore dei ricchi, i ricchi non devono esagerare - la cultura feudale a cui la Chiesa ha messo il vestito della festa! Il pizzo che la Mafia e altre organizzazioni criminali pretendono, non è che la loro forma specifica di questo stato generale di sfruttamento parassitario.(20) Se è vero che in ogni paese capitalista il consumo avviene in modo inverso, si basa sulla fantasia e sui vizi degli oziosi e non sul benessere dei produttori, ciò lo è in Italia in modo tanto accentuato da creare una delle qualità (delle disgrazie, delle maledizioni, delle “anomalie”) specifiche del nostro paese. Quanto più rigida, d’altri tempi e comunque avulsa dalle condizioni concrete è la morale insegnata e imposta ufficialmente dalla Chiesa, tanto più asociali, antisociali, primitive e licenziose sono la pratica e la condotta reali.

Coerentemente con l’indirizzo dei Moderati, il nuovo Stato assunse i Debiti Pubblici e gli altri oneri e impegni finanziari dei vecchi Stati verso i loro esponenti, dirigenti, cortigiani e agenti, indennizzò generosamente i danni che la soppressione dei vecchi Stati aveva loro causato, per comperarne il favore o attenuarne l’ostilità: valga per tutti l’esempio del Papa e della Chiesa. Queste spese si aggiunsero a quelle che il novo Stato dovette fare per creare le condizioni di uno Stato moderno, indipendente e con un minimo di autorità nel contesto europeo (rete stradale e ferroviaria, forze armate e di polizia, sistema scolastico, spese di rappresentanza, sostegno allo sviluppo industriale e scientifico nei settori vitali per l’indipendenza dello Stato, ecc.) e le accrebbero (basta, ad esempio, confrontare la pletora di ufficiali di grado superiore e di dipendenti pubblici invalsa già nei primi anni del Regno). Anziché attingere risorse dalle sacche di parassitismo che avevano trovato fino a prosciugarle, i Moderati ampliarono la spesa pubblica per finanziare e allargare il vecchio parassitismo che divenne una nuova piaga.

Assieme, gli oneri ereditati e i nuovi, gonfiarono enormemente la spesa pubblica. Vennero corrispondentemente elevate le imposte che nei primi decenni colpivano principalmente i contadini. Queste e il servizio militare obbligatorio accrebbero ulteriormente la loro ostilità verso il nuovo Stato. Crearono un terreno più favorevole alle manovre e ai ricatti delle forze antiunitarie, in primo luogo del Papa e della Chiesa che pure erano i massimi beneficiari della politica dei Moderati. L’ostilità dei contadini, frutto delle condizioni oggettive e aggravata dalla sobillazione delle vecchie Autorità e in particolare della Chiesa, rese necessarie ulteriori spese per l’ordine pubblico (basti pensare al costo della guerra del “Brigantaggio”) e la sicurezza nazionale.

Un altro lamento che ha accompagnato tutta la storia del nostro paese dopo l’Unità e che gli storici borghesi, clericali e no, compiacenti hanno riversato nei loro trattati di storia è la ristrettezza del mercato interno. Quale fu la fonte di tale ristrettezza?

I contadini furono ancora per molti decenni dopo l’Unità la maggioranza della popolazione. Essi furono oberati oltre ogni limite immaginabile dalle vecchie rendite e dalle nuove imposte. Il carico complessivo all’incirca raddoppiò con l’Unità, secondo valutazioni attendibili.(21) La situazione dei contadini fu aggravata dal fatto che ad un certo punto lo Stato, per fare cassa, mise all’asta le terre demaniali e dei conventi, sopprimendo quindi gli “usi civici” (pascolo, legnatico, ecc.) di cui i contadini da tempi immemori godevano su questi terreni. Gli usi civici, assieme alle mense dei conventi, erano state fonti dalle quali la massa dei contadini, in particolare i più poveri e tanto più nelle annate peggiori, avevano fino allora tratto di che sopravvivere. È quindi ovvio che in queste condizioni i contadini non comperavano né attrezzi agricoli e beni strumentali per migliorare la produttività del loro lavoro né beni di consumo. Si accontentavano di poco e quel poco cercavano di produrlo direttamente essi stessi (economia naturale). Da qui la causa prima della ristrettezza del mercato interno.

Infatti il mercato interno era costituito 1. dalla domanda dei capitalisti per investimenti e dalla spesa pubblica per acquisto di merci, 2. dalla domanda dei capitalisti e delle classi parassitarie per i loro consumi, 3. dalla domanda di beni di consumo e di attrezzi da parte delle famiglie e dei lavoratori urbani, 4. dalla domanda di beni di consumo e di attrezzi da parte delle famiglie contadine. Il capitale si crea parte del suo mercato proprio scorporando dall’agricoltura le attività manifatturiere ausiliarie e complementari (filatura, tessitura, produzione di attrezzi, edilizia, lavorazione dei prodotti agricoli, ecc.) che nell’ambito di una economia naturale le famiglie contadine svolgono per sé e per i loro padroni ed erigendole in settori produttivi a se stanti dell’economia mercantile e capitalista che vendono i loro prodotti l’uno all’altro e alle famiglie contadine (divisione sociale del lavoro). Questa ultima quota del mercato interno era particolarmente importante per il capitalismo italiano postunitario perché le prime due quote per la loro natura e per lunga tradizione facevano ricorso in larga misura all’offerta dei paesi più progrediti d’Europa. Per di più il ruolo del mercato interno venne accresciuto dal fatto che subito dopo il compimento dell’Unità d’Italia incominciò la Grande Depressione (1873-1895) con il connesso ristagno o addirittura riduzione del mercato estero.

3. Il nuovo Stato non affermò mai pienamente la sua sovranità unica su tutta la popolazione vivente nei suoi confini, benché questa godesse di poca o nessuna autonomia locale. Né ebbe mai la volontà di instaurare la sua sovranità unica né la fiducia di avere la forza per farlo. Nel Centro e nel Nord del paese il nuovo Stato assunse in proprio l’esercizio della violenza, la repressione e la tutela dell’ordine pubblico e contò sulla Chiesa che teneva a bada i contadini e le donne su cui esercitava una efficace direzione intellettuale e morale. Nel Meridione la direzione intellettuale e morale della Chiesa sui contadini era meno efficace, meno forte. Qui lo Stato sostenne zona per zona la forza sociale capace di tenere a bada con mezzi propri i contadini, di dettare la legge e le regole e di farle osservare: ovviamente dovette acconsentire a che ognuna di esse dettasse la sua propria legge e le sue proprie regole e le facesse rispettare a suo modo, sia pure nell’ambito di un certo riconoscimento di una certa supremazia dello Stato (“certo” sta a indicare che i confini dell’uno e dell’altro erano e sono mobili e fluidi).(22)

Anche della limitazione della sovranità del nuovo Stato, la Chiesa è stata la causa principale e il maggiore beneficiario. Già al compimento dell’Unità i Moderati riconobbero alla Chiesa e si impegnarono pubblicamente e per legge a rispettare esenzioni, immunità e l’extraterritorialità. Con la legge delle Guarentigie (1871) il nuovo Stato lasciò al Papa e si impegnò a non esercitare in alcun caso e in alcun modo la sua autorità (giudiziaria, di polizia, militare, fiscale, ecc.) su una parte della città di Roma (la Città Leonina i cui abitanti non parteciparono infatti al Plebiscito che approvò l’annessione di Roma e del Lazio al Regno d’Italia) e altri edifici e terreni di Roma e dintorni: da notare che nel 1789 la Rivoluzione Francese aveva invece confiscato senza nessun complimento e risarcimento il feudo di Avignone e dintorni, che era stato sede del Papa per cent’anni circa. Mise inoltre a disposizione insindacabile del Papa 50 milioni di lire all’anno, più delle imposte che il Papa ricavava dallo Stato Pontificio.(23)

Di fatto la Chiesa, con il Papa alla testa, continuò a funzionare in tutto il paese come un potere sovrano, uno Stato nello Stato, con la sua rete di funzionari che dal centro copriva tutto il paese, fino al più remoto villaggio e con il vantaggio che ora erano la polizia, la magistratura, l’amministrazione penitenziaria del nuovo Stato, operanti sull’intera penisola, che facevano rispettare i suoi interessi, il suo potere, le sue speculazioni e il suo prestigio e ne assumevano la responsabilità. I funzionari erano selezionati, formati, nominati e dimessi su insindacabile giudizio del Papa o di funzionari superiori (vescovi) da lui delegati allo scopo. Essi godevano delle rendite dei beni diocesani e parrocchiali, di edifici pubblici e di altre prerogative e poteri sulla popolazione (battesimi, matrimoni, funerali, ecc.). Il nuovo Stato si accontentò di stabilire che per godere dei benefici, dei poteri e delle immunità, garanzie, protezioni ed esenzioni tutelati dalle Autorità dello Stato, i funzionari superiori (vescovi) nominati dal Papa dovevano avere anche il benestare dello Stato: cosa che di fatto per tacito accordo lo Stato non fece mai mancare. La Chiesa, se da una parte faceva la fronda, dall’altra esigeva sempre di più dallo Stato, minacciando di fare peggio (nei suoi intrighi internazionali e nella sobillazione dei contadini e delle donne) e facendo leva sulla soggezione morale e la paura che essa incuteva alla Corte e alla maggior parte dei più alti esponenti della classe dirigente. Questa era infatti in larga misura composta da pie persone su cui la minaccia della scomunica, delle pene dell’inferno domani nell’aldilà e delle maledizioni di Dio subito qui in terra aveva un grande effetto. Mentre scorticare i loro simili lasciava del tutto indifferenti loro, Dio e la Chiesa. Forte di questa situazione, la Chiesa, la “nobiltà nera” romana, parenti e uomini di fiducia del Papa e degli altri esponenti della Curia di Roma parteciparono, per conto proprio e per conto della Chiesa, al “sacco di Roma” (la speculazione sui terreni e sugli immobili) che ebbe luogo nei decenni dopo l’Unità e alla speculazione finanziaria i cui scandali da allora hanno ripetutamente sconvolto il sistema finanziario e bancario dell’intero paese, fino ai recenti affari Sindona (Banca Privata Italiana), Calvi (Banco Ambrosiano), Parmalat, Fazio. Queste attività della Chiesa non hanno effetti solo finanziari. Esse paralizzano il sistema giudiziario, che deve arrestarsi ogni volta che va a sbattere su esponenti della Chiesa. Limitano il potere legislativo, che deve contenersi ogni volta che le disposizioni toccano interessi della Chiesa - che sono però presenti in ogni campo. Condizionano gli apparati investigativi. Gettano un’ombra sulla affidabilità dell’intero sistema finanziario e statale italiano. Cose di cui ovviamente hanno approfittato e approfittano tutti gli avventurieri nazionali e stranieri che hanno interesse a farlo.

La situazione di doppia sovranità (o di sovranità limitata) determinata dalla Chiesa ha contribuito a conservare e a creare altri poteri sovrani nel paese. Il più noto tra quelli di antica data, a parte la Chiesa, è la Mafia siciliana che da potere, di fatto riconosciuto e delegato dallo Stato italiano, nella zona occidentale della Sicilia, ha successivamente allargato il suo terreno d’azione negli USA, in Italia e in altri paesi. Dalla situazione di sovranità limitata in cui è lo Stato italiano dalla sua nascita trae origine la situazione attuale. Sotto l’apparente sovranità ufficiale dello Stato italiano, in Italia esistono zone territoriali e relazioni sociali in cui non vale la sua legge. Operano una serie di poteri sovrani, indipendenti dallo Stato italiano. Ognuno di essi detta le sue regole e dispone di mezzi propri per imporre la sua volontà, oltre che per esercitare un’influenza extralegale sulle Autorità dello Stato e sulla Pubblica Amministrazione. Questa è ampiamente infiltrata da ognuno dei poteri sovrani, che dispone di uomini che devono ad esso la loro carriera e il loro ruolo nella Pubblica Amministrazione ed operano quindi secondo le direttive di un potere che non porta ufficialmente responsabilità alcuna delle operazioni e dei comportamenti che esso comanda. Il Vaticano è il principale di questi poteri. Nel nostro paese oggi non c’è angolo o ambiente in cui esso non possa raccogliere informazioni ed esercitare la sua influenza. Esso ha nel paese un’influenza ben più capillare, efficace e centralizzata di quella dello Stato. Per di più, può avvalersi di gran parte della struttura dello Stato e della Pubblica amministrazione.

Al Vaticano seguono gli imperialisti USA, i gruppi sionisti, la Mafia, la Camorra, la ‘Ndrangheta e altri gruppi della criminalità organizzata e quanti altri hanno la volontà e i mezzi per approfittare della situazione. Le vicende della Loggia P2 hanno mostrato uno dei modi per farlo.

La doppia sovranità Stato/Chiesa sulla penisola ha tuttavia un carattere particolare. La sua storia ha attraversato fasi diverse.

1. La fase di armistizio Stato/Chiesa, riassunta per quanto riguarda lo Stato nella Legge delle Guarentigie e per quanto riguarda la Chiesa nella linea del “non expedit”. (24) Essa va all’incirca dal 1870 al 1898. Lo Stato lascia alla Chiesa il tempo e le condizioni per riorganizzare le sue forze in Italia e nel mondo, ma nella borghesia hanno un certo peso ancora le correnti che vorrebbero promuovere una propria diretta egemonia sulle masse popolari: il distacco tra l’ala sinistra della borghesia e il nascente movimento comunista italiano non è ancora netto.

2. La borghesia riconosce di fatto, con accordi privati tra autorevoli esponenti dei due campi (come il Patto Gentiloni), che ha bisogno di conservare e rafforzare l’egemonia della Chiesa sui contadini e sulle donne per tenere a bada gli operai e il nascente collegamento operai-contadini. Questa fase va grosso modo dai moti contadinioperai del 1893-1898 fino al 1928. I cattolici partecipano alle elezioni parlamentari e all’attività parlamentare a sostegno del governo. Ad un certo punto, proprio da parte clericale, sotto il Pontificato di Pio X (Giuseppe Sarto 1835-1903-1914), viene ventilata l’idea di dare il voto alle donne per far fronte all’avanzata elettorale dei socialisti. Nel 1918 lo Stato ricomincia persino a stanziare ufficialmente finanziamenti per la Chiesa.

3. La borghesia per bocca di Mussolini riconosce formalmente la sovranità particolare della Chiesa in cambio del suo impegno ufficiale e pubblico di fedeltà alle Autorità dello Stato - sulla base di un giuramento fatto a Dio da cui la Chiesa può sciogliere i suoi funzionari quando vuole, mentre i reati contro lo Stato di cui questi si rendono responsabili sono protetti dalle immunità e comunque vanno in prescrizione. Il Trattato del Laterano, il Concordato e la Convenzione finanziaria, firmati l’11 febbraio 1929 inaugurano questa fase che si protrarrà fino al 1943. La Chiesa rinunciò ufficialmente alla pretesa di restaurare il vecchio Stato Pontificio e ricevette a compenso delle imposte perdute 750 milioni di lire in contanti, 1 miliardo in Buoni del Tesoro al 5% al portatore e una serie interminabile di privilegi, proprietà, diritti, esenzioni e immunità.

4. È la fase della subordinazione indiretta dello Stato alla Chiesa tramite la Democrazia Cristiana: una fase che va all’incirca dal 1947 al 1993. L’Italia divenne un nuovo tipo di Stato Pontificio allargato. La Chiesa è saldamente alleata all’imperialismo USA che è presente in Italia anche direttamente, con forze proprie. Essa governa il paese indirettamente, tramite il suo partito, la DC. Questo fa valere l’autorità papale, nei limiti consentiti dalla effettiva composizione di classe del paese e dai rapporti di forza interni e internazionali risultati dalla sconfitta del nazifascismo ad opera del movimento comunista. In compenso il Vaticano non porta la responsabilità delle conseguenze del proprio governo e non “paga” per esse.

5. È la fase attuale, caratterizzata da un intervento più diretto del Vaticano nel governo del paese. La crisi politica travolge nel 1993 il regime DC costituito alla fine della 2a Guerra Mondiale. Berlusconi “scende direttamente in politica” per salvare il suo impero industriale e finanziario dal crollo in cui minaccia di trascinarlo la rovina del suo fantoccio, Bettino Craxi, grazie al quale l’ha costruito. Ma anche il Vaticano è costretto dalle stesse circostanze a impegnarsi più direttamente nel governo del paese. Con questo siamo nel periodo attuale: della putrefazione del regime DC i cui veleni appestano il nostro paese e della rinascita del movimento comunista nell’ambito della seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo.


Note:

(12) A. Gramsci in uno dei testi dei suoi Quaderni (Q.1 T.93 nota 4, p. 2518 ed. Einaudi 2001) rinvia a questo colloquio esemplare tra un prelato della Curia e un cattolico zelante del genere intellettuale. Quest’ultimo si lamenta delle grossolanità appena sentite dire dal prete che celebrava un matrimonio, nella predica.

“Perché, monsignore, la Chiesa ci chiede di credere simili cose? La Chiesa non domanda né a me né a lei di crederle. Queste cose vanno bene per il popolino napoletano.

Tuttavia ci sono cose che è difficile credere. Perfino nei Vangeli.

In effetti ci sono molte esagerazioni anche nei Vangeli. Ma, replicò lo zelante sinceramente scandalizzato, la Bibbia e il Vangelo non sono la base di tutto, la fonte del cristianesimo e non siamo forse noi tutti cristiani, monsignore?

Noi siamo dei prelati, rispose il monsignore.”

Morale: i prelati non devono credere, devono far credere le masse. La stessa marcia dottrina che Croce e Gentile porteranno a guida della politica scolastica del Regno fascista: alle masse bisogna che la Chiesa insegni a essere religiose, ai dirigenti noi filosofi insegniamo la verità.

(13) Da dove è nata la Rivoluzione francese? Risponde La Civiltà Cattolica (7.9.1929): “... anzitutto per colpa di tanta parte dell’aristocrazia e borghesia di Francia, poiché dalla corruzione e dall’apostasia di questa classe dirigente fino al secolo XVIII originò la corruzione e l’apostasia della massa popolare in Francia, avverandosi anche allora che regis ad exemplum totus componitur orbis (tutti finiscono col seguire l’esempio del re, ndr.). Il Voltaire era l’idolo di quella parte dell’aristocrazia corrotta e corrompitrice del suo popolo, alla cui fede e costumatezza procurando scandalose seduzioni, essa scavava a sé medesima la fossa. E sebbene poi, al sorgere del Rousseau con la sua democrazia sovversiva in opposizione all’aristocrazia volterriana, si fecero opposizione teorica, le due correnti dell’apostasia - come tra i due tristi corifei - che parevano muovere da opposti errori, confluivano in una stessa pratica ed esiziale conclusione: nell’ingrossare cioè il torrente rivoluzionario”.

Come non sentire in queste parole la professione di fede di mascalzoni alla Pier Ferdinando Casini, alla Irene Pivetti, alla Silvio Berlusconi: individui che predicano al “popolino” l’indissolubilità del matrimonio cristiano e la cristiana virtù della castità con tutti i tormenti, gli scrupoli e le sciagure che toccano a chi li prende sul serio, mentre essi allegramente convivono in doppie o triple nozze (al punto che il pur untuoso Clemente Mastella si lamenta di essere il solo tra i “grandi capi” che si accontenta di, ufficialmente, convivere ancora con la propria moglie)?

(14) A titolo di esempio: le opere di Machiavelli furono stampate nella penisola per l’ultima volta nel 1554; l’ultima edizione integrale del Decamerone di Boccaccio fu del 1557. Le opere di numerosi novellieri, poeti e romanzieri da allora in poi furono stampate solo in edizioni ridotte. Le opere di Giordano Bruno, Tommaso Campanella (1568-1639), Giulio Cesare Vanini (1585-1619), Galileo Galilei furono stampate solo fuori dalla penisola (in Germania, Francia, Olanda). I grandi editori scomparvero dalla penisola. Dopo Galilei, la ricerca scientifica decadde: il processo a Galilei (1616) aveva fatto il suo effetto. La censura ecclesiastica colpì persino i pittori.

(15) In Italia le città erano ormai già numerose e popolose e tali restarono, senza però diventare città industriali. Ancora negli anni ‘20 del secolo XX la percentuale della popolazione urbana in Italia era circa il doppio che in Francia, benché lo sviluppo industriale fosse in Italia ancora di gran lunga inferiore a quello della Francia. Esemplare era il caso di Roma e Napoli, due tra le più grandi città, dove la produzione industriale era poco o per nulla presente. La popolazione urbana era strettamente connessa con il carattere parassitario delle classi dominanti italiane e con il ruolo importante della Chiesa.

(16) In proposito vedasi: E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne 1860-1900, in particolare l’introduzione del 1968; la recensione di Giovanni Ansaldo a La rivoluzione meridionale di Guido Dorso, in Il lavoratore, Genova 1° ottobre 1925; la relazione di Sonnino e Franchetti sulla loro inchiesta nel Meridione d’Italia (1875); la relazione di Stefano Jacini sulla sua Inchiesta agraria. Significativo il dialogo col monaco siciliano dopo lo sbarco a Marsala riportato da Cesare Abba in Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille, citato da A. Gramsci, Tesi 43, Quaderno 1, p. 40 ed. Einaudi 2001.

(17) A proposito dell’origine della Mafia, vedasi Cenni sulla questione della mafia, in Rapporti Sociali n. 28 (luglio 2001) p. 31-34. Non si ricorderà mai abbastanza che la borghesia italiana ha raccontato la storia del Risorgimento in maniera monca, deformandola a glorificazione di se stessa, della Monarchia e del Vaticano. La gestione degli Archivi, lo scarso o nessun uso di essi e il lungo segreto mantenuto sugli stessi possono aprire gli occhi a tutti quelli che vogliono vedere.

(18) Altamente istruttive della indifferenza di G. Mazzini (1805-1872) ai problemi della rivoluzione agraria sono le sue lettere alle Società Operaie Italiane. Si veda di contro la critica della posizione di Mazzini fatta da K. Marx nella sua lettera a F. Engels del 13.09.1851 e in quella a J. Weydemeyer dell’11.09.1851. Tutte queste lettere sono citate nella nota 18 alle Tesi 43 Quaderno 1 di A. Gramsci (p. 2476 ed. Einaudi 2001).

(19) La quarta delle Tesi di Lione, approvate dal terzo congresso del vecchio PCI (gennaio 1926) e redatte sotto la direzione di A. Gramsci, afferma non a caso che “non esiste in Italia possibilità di rivoluzione che non sia la rivoluzione socialista”. Una tesi che i revisionisti guidati da Palmiro Togliatti (1893-1964) misero nel cassetto durante la Resistenza e dopo.

(20) Una delle differenze importanti tra lo sfruttamento capitalista dei lavoratori e le forme precedenti di sfruttamento, consiste nel fatto che il capitalista interviene direttamente nell’organizzare e dirigere il lavoro. Egli quindi porta nella scelta e nella messa a punto dei mezzi di produzione, nell’organizzazione dell’attività lavorativa, nella progettazione dei prodotti e in tutta l’attività che circonda la produzione intesa in senso stretto, tutto il patrimonio sociale di conoscenze e di arti di cui dispone la classe dominante. L’intellettuale tipico e specifico del capitalismo è l’organizzatore della produzione, intesa in senso lato. Una classe dirigente parassitaria invece si limita ad estorcere alle classi produttive “il pizzo”, quale che sia il nome che viene dato alla parte di cui si appropria. Ovviamente diventa però essenziale capire perché la borghesia produttiva italiana ha accettato e accetta di pagare “il pizzo” a quelle classi parassitarie, e in particolare alla Chiesa. Essa accetta di condividere il frutto dello sfruttamento, perché le classi parassitarie danno un contributo a tener buoni i lavoratori, cosa che le è essenziale. Le vecchie forme parassitarie di sfruttamento si confondono poi oggi con le forme più moderne di sfruttamento: anche la borghesia tipica dell’epoca imperialista riscuote cedole sulle sue azioni e sui suoi titoli, senza intervenire direttamente nel processo lavorativo.

(21) Vedasi E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne 1860-1900, ed. Einaudi 1968.

(22) Per meglio comprendere le situazioni di doppia sovranità che così la borghesia creò zona per zona, si pensi alle relazioni tra le forze di occupazione naziste e le brigate nere della Repubblica di Salò nel 1943-1945 nell’Italia del Nord; alle relazioni tra le forze sioniste d’Israele che occuparono per dieci anni il Libano meridionale e le forze libanesi collaborazioniste; alle relazioni tra le forze delle potenze coloniali e le milizie collaborazioniste indigene.

(23) La legge delle Guarentigie (1871) prevedeva che lo Stato avrebbe smesso di versare annualmente la somma sull’apposito conto bancario aperto a disposizione del Papa se questi entro 5 anni dall’approvazione della legge non avesse incominciato a ritirare quanto versato. Il Papa si guardò bene dall’attingere al fondo: avrebbe significato il riconoscimento del nuovo Stato e della fine dello Stato Pontificio di fronte agli altri Stati europei, in particolare di fronte all’Impero Austro-Ungarico con cui intrigava contro l’Unità d’Italia e ricattava lo Stato Italiano. Lo Stato Italiano, nonostante questo, continuò a versare annualmente la somma fino a tutto il 1928. Alla luce di questi fatti è ancora più indicativo dei reali rapporti il fatto che lo stesso Stato tollerò ogni licenza, speculazione e reato in campo immobiliare e finanziario da parte della Chiesa e della “aristocrazia nera” romana e tolse così esso stesso ogni necessità per il Vaticano di accettare il generoso contributo dello Stato italiano. Questi, nello stesso tempo, spellava i contadini e gli altri lavoratori con le imposte ... anche per accantonare i 50 milioni di cui il Vaticano non sapeva che farsene grazie alle speculazioni finanziarie e immobiliari che lo stesso Stato tollerava e favoriva!

(24) Il “non expedit” è la formula con cui Pio IX vietò ai cattolici di collaborare ufficialmente con il nuovo Stato. Ma anche questa “non partecipazione dei cattolici” va intesa nel senso che la classe dirigente, dal governo all’alta burocrazia, era composta per la grande maggioranza di persone devote al Vaticano fino al servilismo, ma partecipavano “a titolo personale”: il Vaticano chiedeva a loro e otteneva servizi d’ogni genere, ma non assumeva alcuna responsabilità per le direttive che impartiva in cucina. Insomma un esempio di doppia morale dei più vistosi. Nelle amministrazioni comunali, dove controllare le cose in cucina e manovrare tutti in modo occulto era meno facile (donde la comune ostilità alle “autonomie locali” di Stato e Chiesa), il Vaticano non esitò a far creare coalizioni di cattolici, come la Unione Romana per le elezioni amministrative creata già nel novembre 1871.