K. Marx, Il metodo dell’economia politica , 1859

venerdì 18 maggio 2007.
 

Introduzione ai Lineamenti fondamentali ( Grundrisse )

(da Marx-Engels, Opere Complete , vol. 29)

 

3.

Quando consideriamo un dato paese dal punto di vista economico-politico, incominciamo con la sua popolazione, la divisione di questa in classi, la città, la campagna, il mare, i diversi rami della produzione, esportazione e importazione, produzione e consumo annuo, prezzi delle merci ecc.

Sembra giusto incominciare con ciò che è reale e concreto, con il presupposto reale, quindi ad esempio nell’economia con la popolazione, che è la base e il soggetto dell’intero atto sociale di produzione. Eppure, considerando le cose più da presso, ciò si rivela sbagliato. La popolazione è un’astrazione, se ad esempio non tengo conto delle classi di cui si compone. Queste classi sono a loro volta una parola priva di significato, se non conosco gli elementi sui quali esse si fondano. Ad esempio il lavoro salariato, il capitale ecc. Questi presuppongono lo scambio, la divisione del lavoro, i prezzi ecc. Il capitale, ad esempio, senza lavoro salariato è nulla, come è nulla senza valore, denaro, prezzo ecc. Se dunque incominciassi con la popolazione, avrei un’immagine caotica dell’insieme, e attraverso una determinazione più precisa perverrei sempre più, analiticamente, a concetti più semplici; dal concreto immaginato ad astrazioni sempre più sottili, fino a giungere alle determinazioni più semplici. Da quel punto il viaggio dovrebbe esser nuovamente intrapreso a ritroso, fino a giungere finalmente, di nuovo, alla popolazione, che questa volta però non sarebbe più la rappresentazione caotica di un insieme, bensì una ricca totalità di molte determinazioni e relazioni. La prima via è quella che l’economia ha imboccato storicamente al suo sorgere. Gli economisti del XVII secolo incominciano ad esempio sempre dall’insieme vivente, la popolazione, la nazione, lo Stato, più Stati ecc.; finiscono però sempre con l’individuare attraverso l’analisi alcune relazioni astratte e generali determinanti, come la divisione del lavoro, il denaro, il valore ecc. Appena questi singoli momenti furono, più o meno fissati e astratti, sorsero, i sistemi economici che dal semplice come il lavoro, la divisione del lavoro, il bisogno, il valore di scambio, risalirono fino allo Stato, allo scambio tra le nazioni e al mercato mondiale. Quest’ultimo è evidentemente il metodo scientificamente corretto. Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni, dunque unità di ciò che è molteplice. Nel pensiero, esso [il concreto] appare quindi come processo di sintesi, come risultato e non come punto di avvio, benché sia il reale punto d’avvio e quindi anche il punto d’avvio dell’intuizione e della rappresentazione. Seguendo la prima via, la rappresentazione piena si volatilizzava in determinazione astratta; seguendo la seconda, le determinazioni astratte conducono alla riproduzione del concreto nel cammino del pensiero. Perciò Hegel cadde nell’illusione di concepire il reale come risultato del pensiero che si riassume e si approfondisce in se stesso e che si muove per energia autonoma; mentre il metodo di salire dall’astratto al concreto è, per il pensiero, solo il modo in cui esso si appropria il concreto, lo riproduce come qualcosa di spiritualmente concreto. Mai e poi mai è però il processo di formazione [di creazione, di produzione] del concreto stesso. Ad esempio la più semplice categoria economica, diciamo ad esempio il valore di scambio, presuppone la popolazione, una popolazione che produce in rapporti determinati; anche un certo genere di sistema familiare, o comunitario, o statale ecc. Il valore di scambio non può esistere che come relazione astratta, unilaterale di un insieme concreto, vivente, già dato. Come categoria, il valore di scambio conduce invece un’esistenza antidiluviana. Alla coscienza per la quale il pensiero intelligente [pensante, che comprende la realtà, che conosce la realtà] è l’uomo reale e di conseguenza solo il mondo pensato è, in quanto tale, il reale, - e la coscienza filosofica è così determinata, - il movimento delle categorie appare quindi come il reale atto di produzione - il quale purtroppo riceve soltanto un impulso dall’esterno - il cui risultato è il mondo; e ciò - ma si tratta nuovamente di una tautologia - è esatto nella misura in cui la totalità concreta, come totalità del pensiero, come un concreto di pensieri, è infatti un prodotto del pensare, del comprendere: in nessun caso è però un prodotto del concetto che pensa al di fuori o al di sopra dell’intuizione e della rappresentazione e che genera se stesso, bensì è un prodotto dell’elaborazione in concetti dell’intuizione e dell’immagine. La totalità quale appare nella mente come totalità di pensieri, è un prodotto della mente pensante che si appropria il mondo nell’unico modo che le è possibile, un modo differente dall’appropriazione artistica, religiosa, pratico-spirituale di questo mondo. Il soggetto reale continua a sussistere, prima e dopo, nella sua autonomia al di fuori della mente; finché cioè la mente mantiene un atteggiamento soltanto speculativo, soltanto teorico [cioè finché la mente non diventa guida dell’azione pratica, guida del soggetto nella sua azione pratica, forza che trasforma il mondo]. Anche nel metodo teorico, il soggetto, la società, deve quindi costantemente esser presente alla rappresentazione come presupposto.

Ma queste categorie semplici non hanno esse anche un’esistenza storica o naturale indipendente, prima delle categorie più concrete? Ça dépend . Hegel ad esempio comincia correttamente la filosofia del diritto con il possesso come la più semplice relazione giuridica del soggetto. Ma non esiste possesso alcuno prima della famiglia o dei rapporti di dominio o di servitù, che sono rapporti molto più concreti. Sarebbe invece corretto affermare che esistono famiglie, unità tribali, che ancora posseggono soltanto e non hanno proprietà. La categoria più semplice appare dunque come rapporto di semplici associazioni familiari o tribali in relazione con la proprietà. Nella società più progredita essa appare come il rapporto più semplice di un’organizzazione sviluppata. Il sostrato concreto, la cui relazione è il possesso, è però sempre presupposto. Si può immaginare un singolo selvaggio che sia possessore. Ma in tal caso il possesso non è un rapporto giuridico. È inesatto che il possesso si sviluppa storicamente in direzione della famiglia. Piuttosto esso presuppone sempre questa «categoria giuridica più concreta». Con tutto ciò resterebbe sempre il fatto che le categorie semplici sono espressione di rapporti nei quali il concreto meno sviluppato può essersi realizzato, senza avere ancora posto la relazione o il rapporto più complesso che è espresso intellettualmente nella categoria più concreta; mentre il concreto più sviluppato conserva quella stessa categoria come un rapporto subordinato. Il denaro può esistere ed è storicamente esistito prima che esistessero il capitale, le banche, il lavoro salariato ecc. In questo senso si può quindi affermare che la categoria più semplice può esprimere i rapporti dominanti in una totalità meno sviluppata o i rapporti subordinati in una totalità più sviluppata, rapporti che storicamente esistevano ancor prima che la totalità si sviluppasse nella direzione espressa da una categoria più concreta. (1) In questo senso il movimento del pensiero astratto, che dal più semplice risale al complesso, corrisponderebbe al processo storico reale.

D’altro canto si può affermare che esistono forme sociali molto sviluppate eppure storicamente meno mature, nelle quali le forme più alte dell’economia, ad esempio la cooperazione, la divisione sviluppata del lavoro ecc., hanno luogo senza che esista denaro alcuno, ad esempio in Perù.

Anche nelle comunità slave il denaro e lo scambio che lo condiziona non compaiono o compaiono poco all’interno delle singole comunità, mentre compaiono alle loro frontiere, nel traffico con altri; in generale è errato porre lo scambio all’interno della comunità come l’elemento costitutivo originario. All’inizio esso compare invece più nella relazione tra le differenti comunità, che per i membri all’interno di una medesima comunità. Inoltre: benché il denaro svolga molto presto e in tutti i sensi un ruolo, nell’antichità esso è però unilateralmente assegnato come elemento dominante solo a determinate nazioni, a nazioni commerciali. E perfino nell’antichità più evoluta, presso i greci e i romani, il suo pieno sviluppo - che nella moderna società borghese è presupposto - appare soltanto nel periodo della dissoluzione. Questa categoria semplicissima si rivela dunque, storicamente, nella sua piena intensità soltanto nelle situazioni più sviluppate della società. E senza permeare in alcun caso tutti i rapporti economici. Al culmine del suo sviluppo l’impero romano rimase ad esempio fondato sull’imposta in natura e la prestazione in natura. A quel tempo il sistema monetario vi era in realtà sviluppato appieno soltanto nell’esercito. Non investi mai neppure la totalità del lavoro. Così, benché la categoria più semplice abbia potuto esistere storicamente prima di quella più concreta, nel suo pieno sviluppo intensivo ed estensivo essa può appartenere solo a una forma sociale complessa, mentre la categoria più concreta era più compiutamente sviluppata in una forma sociale meno evoluta.

Il lavoro sembra una categoria semplicissima. Anche la nozione del lavoro in questa generalità - come lavoro in generale - è antichissima. Nondimeno, compreso in questa semplicità dal punto di vista economico il «lavoro» è una categoria moderna quanto i rapporti che creano questa semplice astrazione. Il sistema monetario, ad esempio, pone la ricchezza ancora in modo del tutto oggettivo, come cosa fuori di sé, nel denaro. Rispetto a questo punto di vista fu un grande progresso quando il sistema manifatturiero o commerciale trasferì la fonte della ricchezza dall’oggetto nell’attività soggettiva, nell’attività commerciale e manifatturiera, pur continuando ancor sempre a concepire questa attività stessa nell’aspetto limitato del far denaro. Rispetto a questo sistema fu poi un ulteriore progresso quello fisiocratico che pone una determinata forma di lavoro l’agricoltura come creatrice di ricchezza, e concepisce l’oggetto stesso non più nel travestimento del denaro, bensì come prodotto in generale, come risultato generale del lavoro. Questo prodotto, in conformità con la limitatezza dell’attività, è concepito come ancora sempre determinato dalla natura, prodotto agricolo, prodotto della terra.

È stato uno straordinario progresso che Adam Smith abbia rigettato ogni determinatezza dell’attività creatrice di ricchezza e l’abbia considerata lavoro in quanto tale, non lavoro manifatturiero, né commerciale, né agricolo, ma sia l’uno che l’altro. Alla generalità astratta dell’attività creatrice di ricchezza ora corrisponde anche la generalità dell’oggetto definito come ricchezza: prodotto in generale o nuovamente lavoro in generale, ma come lavoro passato, oggettivato. Quanto questa transizione è stata difficile e importante risulta dal fatto che di tanto in tanto Adam Smith stesso ricade nuovamente nel sistema fisiocratico. (2) Ora potrebbe sembrare che con ciò sia stata soltanto trovata l’espressione astratta per la relazione più semplice e antichissima in cui gli uomini - in qualunque forma di società - compaiono come produttori. Per un verso questo è giusto. Per l’altro non lo è. L’indifferenza verso un genere di lavoro determinato presuppone una totalità molto sviluppata di generi di lavoro reali, nessuno dei quali domini più sull’insieme. Così le astrazioni più generali sorgono solo dove più ricco è lo sviluppo concreto, dove un elemento appare come l’elemento comune a molti, comune a tutti. Allora esso cessa di poter essere pensato solo in forma particolare. D’altro canto, questa astrazione del lavoro in generale non è soltanto il risultato mentale di una concreta totalità di lavori. L’indifferenza verso un lavoro determinato corrisponde a una forma di società nella quale gli individui passano con facilità da un lavoro all’altro e in cui il genere determinato del lavoro è per essi fortuito, quindi indifferente. Non solo nella categoria, ma nella realtà il lavoro qui è divenuto il mezzo per la creazione della ricchezza in generale, e come determinazione ha cessato di concrescere con gli individui in una dimensione particolare. Un tale stato di cose è sviluppato al massimo nella più moderna forma di n a delle società borghesi, gli Stati Uniti. Solo qui diviene per la prima volta praticamente vera l’astrazione della categoria «lavoro», «lavoro in generale», lavoro sans phrase che è il punto d’avvio dell’economia moderna. Quindi l’astrazione più semplice, che l’economia moderna colloca al vertice e che esprime una relazione antichissima e valida per tutte le forme di società, appare però praticamente vera in questa sua astrazione solo come categoria della società più moderna. Si potrebbe dire che ciò che negli Stati Uniti appare come prodotto storico - questa indifferenza nei confronti del lavoro determinat - presso i russi, ad esempio, appare come disposizione naturale e originaria. Ma innanzitutto fa una dannata differenza che del barbari abbiano la disposizione a essere utilizzati per tutto, o che invece dei civilizzati si dedichino essi stessi a tutto. E poi, presso i russi, a questa indifferenza verso la determinatezza del lavoro corrisponde praticamente il loro tradizionale essere legati a un lavoro ben determinato, al quale vengono strappati solo da influssi esterni.

Questo esempio del lavoro rivela con assoluta evidenza come anche le categorie più astratte, sebbene siano valide - proprio a causa della loro astrazione - per tutte le epoche, in ciò che vi è di determinato in questa astrazione stessa sono tuttavia il prodotto di condizioni storiche e hanno piena validità soltanto per e all’interno di tali condizioni.

La società borghese è l’organizzazione storica più sviluppata e differenziata della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti, la comprensione della sua articolazione, permettono quindi in pari tempo di comprendere l’articolazione e i rapporti di produzione di tutte le forme di società scomparse, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui in parte in essa sopravvivono ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in essa era solo accennato ha assunto significati compiuti ecc. L’anatomia dell’uomo fornisce una chiave per l’anatomia della scimmia. Gli accenni a momenti superiori nelle specie animali inferiori possono invece esser compresi solo se la forma superiore stessa è già nota. L’economia borghese fornisce quindi la chiave di quella antica ecc. In nessun caso però procedendo come fanne, gli economisti, i quali cancellano ogni differenza storica e in tutte le forme di società vedono sempre le forme borghesi. Si possono comprendere il tributo, le decime ecc. se si conosce la rendita fondiaria. Ma non si deve identificare questa con quelli. Poiché inoltre la società borghese stessa è soltanto una forma di sviluppo antitetica, certi rapporti delle forme precedenti in essa si troveranno spesso solo del tutto atrofizzati, o addirittura travestiti. Ad esempio la proprietà comunale. Se è quindi vero che le categorie dell’economia borghese possiedono una validità per tutte le altre forme di società, ciò va preso solo cum grano salis . Esse possono contenere quelle forme in modo sviluppato, atrofizzato, caricato ecc., sempre con una differenza essenziale. La cosiddetta evoluzione storica si fonda generalmente sul fatto che l’ultima forma considera quelle trascorse come gradini che portano a essa e, poiché solo raramente e in condizioni molto particolari essa è in grado di criticare se stessa, - naturalmente qui non stiamo parlando di periodi storici che si autopercepiscono come epoche di decadenza, - le interpreta sempre in modo unilaterale. La religione cristiana fu in grado di contribuire alla comprensione obiettiva delle mitologie precedenti solo quando la sua autocritica fu in una certa misura, per così dire dunamei, conclusa. Così l’economia borghese pervenne alla comprensione di quella feudale, antica, orientale, non appena ebbe inizio l’autocritica della società borghese. Nella misura in cui l’economia borghese non si limita a identificarsi in modo mitologizzante con quella precedente, la sua critica dell’economia anteriore, in particolare di quella feudale, con la quale dovette ancora combattere direttamente, è stata simile a quella che il cristianesimo ha rivolto al paganesimo, o anche a quella che il protestantesimo ha rivolto al cattolicesimo.

Come in generale per ogni scienza storica e sociale, nella successione delle categorie economiche va sempre tenuto presente che, come nella, realtà così anche nella mente, il soggetto - qui la moderna società borghese - è dato, e che quindi le categorie esprimono forme di esistenza, determinazioni dell’esistenza, spesso soltanto singoli aspetti di questa determinata società, di questo soggetto, e di conseguenza anche sui piano scientifico l’economia politica non comincia affatto solo dove si parla di essa come tale. Ciò va tenuto ben presente, poiché fornisce immediatamente clementi decisivi per la divisione della materia. Nulla sembra ad esempio più naturale del cominciare con la rendita fondiaria, con la proprietà fon diaria, dal momento, che essa è legata alla terra, alla fonte di ogni produzione e di ogni esistenza, oltre che alla prima forma di produzione di tutte le società in qualche misura consolidate - l’agricoltura. E tuttavia nulla sarebbe più errato. In tutte le forme di società è una produzione determinata che assegna rango e influenza a tutte le altre, come del resto anche 1 suoi rapporti assegnano rango e influenza a tutti gli altri (vedi nota (2) ). È una luce generale in cui sono immersi tutti gli altri colori e che li modifica nella loro particolarità. È un’atmosfera particolare che determina il peso specifico di tutte le cose esistenti che da essa emergono. Prendiamo ad esempio i popoli dediti alla pastorizia (popoli dediti semplicemente alla caccia e alla pesca sono al di qua del punto in cui comincia lo sviluppo reale). Presso di essi si riscontra una certa forma sporadica di agricoltura. Da ciò è determinata la proprietà fondiaria. Essa è proprietà comune e mantiene in misura maggiore o minore questa forma, a seconda che questi popoli si attengano ancora in misura maggiore o minore alla loto tradizione, ad esempio la proprietà comunale degli slavi. Presso popoli ormai dediti stabilmente all’agricoltura, - e questa stabilità è già un grosso passo avanti, - dove questa attività predomina come presso gli antichi e nell’epoca feudale, l’industria stessa e la sua organizzazione e le forme della proprietà che a essa corrispondono, hanno un carattere più o meno determinato dalla proprietà fondiaria; l’industria è o completamente dipendente dalla proprietà fondiaria come presso i romani più antichi oppure, come nel medioevo, imita nella città e nei suoi rapporti l’organizzazione delle campagne. Nel medioevo il capitale stesso - nella misura in cui non è puro capitale monetario - ha, sotto forma di strumenti tradizionali dell’artigiano ecc., questo carattere di proprietà fondiaria. Nella società borghese avviene l’opposto. L’agricoltura diventa sempre più un semplice ramo dell’industria ed è totalmente dominata dal capitale. Lo stesso dicasi della rendita fondiaria. In tutte le forme in cui domina la proprietà fondiaria, il rapporto con la natura è ancora predominante. In quelle in cui domina il capitale, predomina invece l’elemento creato socialmente, storicamente. La rendita fondiaria non può essere compresa senza il capitale. Il capitale può invece esserlo senza la rendita fondiaria. Il capitale è nella società borghese la potenza economica che domina tutto. Esso deve costituire il punto di partenza così come il punto di arrivo, e dev’essere trattato prima della proprietà fondiaria. Dopo che entrambi sono stati considerati singolarmente, dovrà essere esaminato il loto rapporto reciproco.

Sarebbe dunque inopportuno ed errato far succedere serialmente le categorie economiche nell’ordine in cui sono state storicamente determinanti. La loro successione è invece determinata dalla relazione in cui esse si trovano l’una con l’altra nella moderna società borghese, e questa successione è esattamente l’inverso di quella che sembra essere la loro successione naturale o di ciò che corrisponde alla successione dello sviluppo storico. Non si tratta del posto che i rapporti economici assumono storicamente nel succedersi di differenti forme di società. Men che meno della loro successione «nell’idea» (Proudhon) (una rappresentazione confusa del movimento storico). Bensì della loro articolazione all’interno della Moderna società borghese.

La purezza (la determinatezza astratta), in cui i popoli commerciali - fenici, cartaginesi - appaiono nel mondo antico, è data proprio dal predominio dei popoli agricoli stessi. Il capitale come capitale commerciale o capitale monetario appare appunto in quest’astrazione là dove il capitale non è ancora l’elemento dominante delle società. Lombardi ed ebrei occupano la stessa posizione rispetto alle società medievali dedite all’agricoltura.

Come ulteriore esempio del posto diverso che le stesse categorie occupano in stadi diversi della società: le jointstock-companies (società per azioni, public companies ), una delle ultime forme della società borghese. Compaiono però anche al suo inizio, nelle grandi compagnie commerciali privilegiate e con posizione di monopolio.

Nel pensiero degli economisti del XVII secolo - con una concezione che in parte sopravvive anche in quelli del XVIII - il concetto stesso di ricchezza nazionale si insinua in modo tale che la ricchezza appare creata solo per lo Stato, e la potenza dello Stato appare proporzionale a questa ricchezza. Questa era ancora la forma inconsapevolmente ipocrita in cui la ricchezza stessa e la produzione della medesima si annunciavano come scopo degli Stati moderni, e non si consideravano questi ultimi se non come mezzi per la produzione della ricchezza.

La suddivisione della materia deve, evidentemente, essere fatta in modo da trattare: 1) le determinazioni generali astratte che come tali sono comuni più o meno a tutte le forme di società, ma nel senso chiarito precedentemente. 2) Le categorie che costituiscono l’articolazione interna della società borghese e su cui poggiano le classi fondamentali. Capitale, lavoro salariato, proprietà fondiaria. Il loro rapporto reciproco. Città e campagna. Le tre grandi classi sociali. Scambio tra esse. Circolazione. Credito (privato). 3) Sintesi della società borghese nella forma dello Stato. Considerata in relazione a se stessa. Le classi «improduttive». Imposte. Debito di Stato. Credito pubblico. La popolazione. Le colonie. Emigrazione. 4) Rapporto internazionale della produzione. Divisione internazionale del lavoro. Scambio internazionale. Esportazioni e importazioni. Corso dei cambi. 5) Il mercato mondiale e le crisi.

 

Note del curatore (2000)

1. Questa tesi di Marx è la chiave sintetica delle divergenze tra RS e Resistencia a proposito della natura della crisi generale e introduce il discorso fatto da RS a proposito sia della natura della crisi generale (crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale) sia delle FAUS. Ci sono compagni (e la III Internazionale rimase costantemente su questo terreno nella sua analisi del movimento economico - vedi Varga) che non si rendono conto che l’imperialismo è una sovrastruttura del capitalismo (Lenin, VIII congresso del PC(b)R , 1919, Opere vol. 29 pag. 150) e continuano a cercare di interpretare il movimento economico della società nell’epoca imperialista con le stesse categorie che esprimevano il rapporto dominante nella epoca preimperialista del capitalismo e dando a ognuna delle varie categoria la stessa importanza che ognuna di esse aveva nell’epoca del capitalismo di concorrenza, preimperialista. Con questa premesse è impossibile capire il movimento economico delle società attuali.

Nella società attuale il denaro crea denaro: basta considerare l’incremento delle capitalizzazioni di Borsa degli ultimi cinque anni. Ciò non nega né supera la teoria del valore-lavoro (come sostengono i revisionisti), anzi la conferma e può essere capito solo sulla base della teoria del valore-lavoro [Il capitale è un libro di storia raccontata come storia di generazione di categorie, cioè in forma logica, avvertiva Engels]. Ma dire che il presente deriva non equivale a dire che il presente è la stessa cosa (come tendono a fare i dogmatici). Le foglie derivano dalle radici, ma non solo la stessa cosa delle radici. Prendete una casa di cinque piani coperta da una terrazza. Costruite una nuova casa sulla terrazza come se la terrazza stessa fosse un nuovo suolo. Ebbene le condizioni statiche e dinamiche della nuova casa dipendono dalle condizioni statiche e dinamiche della vecchia casa e delle sue fondamenta e strutture portanti. Ma la nuova casa può crollare e oscillare anche se la vecchia casa non crolla e non oscilla e anzi crollando lascerà scoperta la vecchia casa che così verrà nuovamente alla luce. È il discorso che fa Lenin a proposito della sovrastruttura del capitalismo nel passo indicato. È ciò che sintetizza Marx nella tesi, quando parla del rapporto dominante (valore-lavoro) in una totalità meno sviluppata (fase preimperialista) che continua ad esistere come rapporto subordinato in una totalità più sviluppata (fase imperialista) in cui il rapporto dominante è il capitale finanziario con la contrapposta e connessa dissoluzione della società borghese nella nuova società comunista.

 

2. Il discorso fatto da Marx in questo contesto è oggi attuale per quanto si muove su due fronti diversi.

- Da una parte i discorsi che in questi mesi si diffondono sulla “nuova economia” che sarebbe nata negli USA nel corso degli anni ‘90 incentrata sul settore dell’informatica combinata con la telematica (Internet). Oggi va prendendo vigore anche in Italia. Vedi l’applaudito discorso di Renato Soru (Tiscali) al congresso DS di TO (13-16 gennaio 00) e il discorso di Antonio Fazio all’Università di Lecce ( Corsera 16.01.00 pag. 17). La scoperta che la ricchezza di un paese e dell’umanità non consiste in oggetti (né naturali né prodotti), ma nell’attività umana in generale. Soru, Fazio, ecc. “scoprono” quello che Marx aveva detto nel 1859 per proclamare la fine della centralità della classe operaia, che essi implicitamente e tacitamente identificano, bontà loro, con gli addetti al settore industriale. Attenzione che Mario Tronti (Corsera 13.01.00 pag. 24) ha finalmente fatto un discorso giusto, distinguendo il ruolo politico della classe operaia dal ruolo sociale (oggettivo, in sé) della classe operaia. È una cosa che incomincia a girare, quindi è un sintomo, come è un sintomo la trasmissione come quella di Santoro a RAI 1 sulla Goodyear di Cisterna (Latina).

- Dall’altra la tendenza, che fa continuamente capolino tra le FSRS e anche in D.S. a somiglianza di quello che Marx dice a proposito di Smith, a ricadere nella concezione di un particolare lavoro (per D.S. e le FSRS quello industriale) come se esso fosse la “vera” e unica fonte del valore e quindi gli addetti al settore (o addirittura solo gli addetti alla produzione di oggetti - beni-merci - del settore) gli unici operai.