La sola via d’uscita definitiva dalla crisi è instaurare il socialismo!

Comunicato dell’8 ottobre 2008
domenica 12 ottobre 2008.
 

(PNG) Le altre misure sono palliativi, misure temporanee o rimedi precari!

La crisi non è fatale!

Solo per i capitalisti la crisi è una malattia cronica e incurabile, ma l’umanità non è condannata a morire di capitalismo!

 

Non lasciamoci spaventare dalla crisi!

I padroni cercano di spaventarci per sfruttare a loro vantaggio la crisi che ci hanno imposto.

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La sola via d’uscita definitiva dalla crisi è instaurare il socialismo!
Le altre misure sono palliativi, misure temporanee o rimedi precari!
Il testo del comunicato in formato PDF

Capitalisti, clero e loro accoliti gestiscono la crisi come gestiscono la guerra: non gli importa delle vittime, l’importante è vincere.

Chi grida “al lupo, al lupo!”, non vuole vedere, non vuole proporre, non vuole imboccare l’unica via realistica, possibile di uscita dalla crisi: espropriare senza indennizzo i capitalisti e organizzare l’economia reale senza di loro, cioè instaurare il socialismo.

 

La crisi impedisce a tutti i lavoratori di continuare a vivere come prima.

Bisogna che i lavoratori approfittino della crisi per cambiare il mondo come va bene a loro!

I lavoratori organizzati sono capaci di farlo!

Organizziamoci e costruiamo un nuovo ordinamento sociale, instauriamo il socialismo!

 

Osare attaccare i padroni, osare esigere salari e lavoro, osare puntare alla vittoria, osare vincere!

 

Dalla borghesia, dal clero, dai notabili del regime, dai loro politicanti non può venire niente di buono per le masse popolari. Non possono mettere fine alla crisi, perché loro sono la crisi. La crisi è in loro. Loro sono i portatori della crisi. Sono loro gli speculatori o quelli che hanno conferito agli speculatori i loro soldi e persino i risparmi, i contributi previdenziali, i TFR e le assicurazioni di milioni e milioni di risparmiatori, pensionati, lavoratori. “I soldi bisogna valorizzarli”, dicevano e affidare i soldi agli speculatori era il modo di valorizzarli di più e più rapidamente. In realtà era il modo più rapido e più efficace che la borghesia, il clero, i notabili del regime e i loro politicanti avevano per arricchirsi sulle spalle delle masse popolari e il modo più efficace per eliminare le conquiste delle masse popolari e riportarle alla condizione di cento anni fa. Il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti non ha perfino cercato ancora pochi mesi fa, con la collaborazione di Epifani, Bonanni, Angeletti e altri sindacalisti di regime di convincere i lavoratori a conferire la loro liquidazione ai fondi d’investimento? Perché Epifani non viene oggi di nuovo a spiegare perché i lavoratori devono affidare il TFR ai fondi d’investimento? D’Alema gridava a Fiorani e agli altri speculatori: “Facci sognare!”.

 

Affidarsi a gente simile per uscire dalla crisi non ha senso. Quale uomo sano di mente incaricherebbe i viziosi di porre fine al vizio che proprio essi diffondono in tutta la società? Gente simile nel migliore dei casi infierisce sul vizio degli altri, cerca di eliminare concorrenti, nasconde le cose e fa carte false. Chiedere a Berlusconi e ai suoi pari, in Italia e all’estero, di porre fine alla crisi, è come chiedergli di suicidarsi. E una volta che anche si fossero suicidati, i loro successori farebbero come loro. Con i capitalisti ci sono solo palliativi, misure provvisorie, rimedi precari: non c’è una vera via d’uscita dalla crisi.

 

La crisi del capitale speculativo si propaga al capitale produttivo e quindi all’economia reale. Blocca il funzionamento delle aziende che producono beni e servizi. Porta licenziamenti, blocco delle assunzioni, cassa integrazione, pignoramenti, miseria, rabbia. Rende impossibile il lavoro sia ai lavoratori dipendenti che ai lavoratori autonomi, rende impossibile la vita alle loro famiglie e a tutta la società, salvo che ai ricchi e ai delinquenti. 

In che modo la crisi del capitale speculativo si propaga all’economia reale?

1. Tramite la strozzatura del credito. Le banche non fanno più prestiti o li fanno a condizioni da strozzini e chiedendo garanzie che né la massa della popolazione né la maggior parte delle aziende possono dare. La stagnazione dei salari aveva costretto molti a ricorrere al credito anche solo per condurre una vita dignitosa, per curarsi, per istruire i figli, per avere una casa, per consumare (e senza consumi crescenti il capitalismo produttivo crolla e con esso l’economia reale - mentre d’altra parte i consumi crescenti riducono il pianeta a un immondezzaio invivibile). Ora è chiusa anche questa via che alimentava il potere d’acquisto, la spesa, i consumi e quindi l’economia reale e il capitale produttivo ... e la distruzione del pianeta! 

2. Negando denaro liquido (crisi di liquidità). Quindi si bloccano i consumi e si blocca ogni azienda produttrice di beni e servizi che per funzionare , avviarsi o ampliarsi ha bisogno di liquido. Chi ha titoli finanziari e ha bisogno di cambiarli in danaro (“ha bisogno di liquido”) trova da cambiarli solo a prezzi sempre più stracciati. Chi ha immobili e ha bisogno di denaro, non trova da venderli che a prezzi stracciati. Deve venderli “per un boccone di pane” a qualche avvoltoio della finanza che ha il liquido necessario. D’altra parte chi, se non costretto da un bisogno personale, comprerebbe oggi a 100 quello che forse domani sarà in vendita a 50 o a 10? Nelle Borse il corso dei titoli crolla di giorno in giorno. Se un giorno si riprende, è per scendere il giorno dopo. Da quando la crisi è diventata acuta, alcuni titoli si sono ridotti anche a meno di un centesimo del loro corso iniziale. Le banche oramai non solo non riacquistano i titoli di credito che hanno venduto: minacciano anche di non cambiare in denaro liquido i loro stessi titoli quando scadono e di non restituire neanche i soldi che hanno in deposito sui conti correnti. Con i salvataggi, le pubbliche Autorità e le Banche Centrali iniettano centinaia di miliardi, ma è come innaffiare la sabbia, irrigare il deserto.

Per quanto denaro le Banche Centrali e i governi regalino agli speculatori e ai banchieri, esso non basterà a colmare la loro avidità insaziabile, il loro vizio, il loro gioco. Ora gli speculatori per lo più giocano al ribasso, perché i titoli che loro stessi hanno fabbricato e venduto al pubblico minuto negli anni passati, sono carta straccia (come lo divennero le obbligazioni Cirio e Parmalat e i bond argentini). Vorrebbero scontarli (cambiarli con denaro liquido) presso le Banche Centrali e i Tesori statali. I soldi che le Autorità e le Banche Centrali regalano oggi agli speculatori, ce li troveremo domani come deficit pubblico (bisognerà tagliare altre spese! Quali? Facile immaginarlo: sanità, pensioni, scuola, servizi, ecc.) e come debito pubblico su cui pagheremo interessi.

 

Ma non sarà che una pezza precaria, perché la speculazione è diventata  una droga senza la quale il capitalismo non sta più in piedi. Senza speculazione questa classe dominante non può più vivere. È la condizione a cui, da anni oramai, i capitalisti tengono in piedi anche le loro attività nell’economia reale. La speculazione ha per anni alimentato l’economia reale. Trovate un capitalista che non ha speculato, che non ha affidato i suoi soldi ai fondi d’investimento e alle società finanziarie! La più grande società industriale del mondo, la General Electric, ricava dal settore finanziario un terzo dei suoi profitti. In ogni azienda industriale o commerciale di un qualche rilievo, il settore finanziario è diventato rilevante se non preponderante. I banchieri hanno gettato nella speculazione persino i risparmi che i lavoratori hanno messo in banca: chi non accettava, diventava un reietto! I banchieri lo trattavano a pesci in faccia, lo pelavano con commissioni e spese bancarie. Per tutto bisognava affidarsi ai fondi d’investimento: per la pensione, per la salute, per far fronte a ogni accidente della vita.

La stessa speculazione che per anni ha tenuto in piedi l’economia reale, oggi è ingrassata a un punto tale che soffoca o uccide l’economia reale. Anche capitalisti, Autorità, prelati e altri notabili incominciano a preoccuparsi.

 

A questo punto alcuni speculatori gridano: aboliamo la speculazione. Sono come i guerrafondai, che gridano: pace! Solo perché vogliono la resa dei loro nemici alle loro condizioni, nel momento per loro più favorevole.

Un secolo fa, dopo aver scatenato nel 1914 la Prima Guerra Mondiale sicuri di aver la vittoria in tasca e di impadronirsi delle colonie e dei mercati dei concorrenti, dopo uno o due “Natali in trincea” i grandi dell’epoca si resero conto che la guerra si prolungava senza fine e che in ogni paese i popoli ribollivano contro di loro. Allora ambedue gli schieramenti dei briganti imperialisti iniziarono a invocare la pace. Ma ognuno voleva farla quando la situazione era a lui favorevole. Solo la rivoluzione in Russia e poi in Germania li indusse a un armistizio, che poi sfociò nella resa dei conti della Seconda Guerra Mondiale. È un precedente che fa capire cosa valgono le grida che gli speculatori ora lanciano contro la speculazione. In realtà le Autorità che ci governano, vogliono solo abolire la speculazione degli altri. Demagoghi e sciocchi ripetono le loro grida: aboliamo la speculazione!

Tutti i membri della borghesia imperialista e i loro dintorni sono coinvolti nella speculazione e nella sua crisi: si distinguono solo tra vincenti che hanno accumulato fortune e perdenti che sono rimasti con crediti (titoli finanziari) inesigibili, con titoli che diventano denaro solo vendendoli a prezzi stracciati a quelli che contano di guadagnarci sopra, subito o domani o dopodomani; a quelli che contano di rifilarli alle Banche Centrali o ai Tesori statali in qualcuno dei salvataggi che reclamano a gran voce “per uscire dalla crisi”, “per salvare l’economia dalla crisi”. Infatti il gioco della speculazione continua. Nonostante la crisi, ogni giorno nelle Borse si fanno scambi per decine e decine di miliardi di euro.

Nessuna Autorità del regime riesce a calmare i suoi soci e complici. Il gioco è scappato di mano. Si sono ingolfati in una guerra da cui non riescono più a uscire, perché in ogni momento, qualcuno che ha investito miliardi li perderebbe se il gioco si fermasse in quel momento. Ognuno degli speculatori vuole che il gioco si fermi quando lui ha guadagnato quanto sperava. Ma in quel momento altri perdono e non possono accettare che il gioco si fermi. Quando un borghese, un’Autorità, un prelato grida che il gioco deve fermarsi, i suoi soci sghignazzano: sanno bene che grida perché in quel momento ha in mano il bottino. Chi predica la ragionevolezza, la predica agli altri. Come in guerra chi predica la resa. Papa Ratzinger va in giro fustigando il “desiderio smodato di denaro” delle sue pecorelle: chiedetegli conto dello IOR e dei tesori del Vaticano e delle sue congregazioni religiose!

Finché gli speculatori condurranno il gioco, il gioco non si fermerà, continuerà ad allargarsi e produrrà danni maggiori!

L’economia reale i capitalisti l’hanno finora tenuta in piedi proprio grazie alla speculazione. Per fermare il gioco, bisogna togliere ai capitalisti anche l’economia reale e abolire il capitalismo!

 

Le banche hanno stretto il credito, le banche e le Borse non cambiano in denaro i titoli finanziari a chi ha bisogno di denaro per acquistare beni e servizi, per investimenti, come circolante, per il consumo.

Le Autorità spalleggiano i banchieri anziché o obbligarli a svolgere il loro compito o nazionalizzare le banche senza indennizzi e assumere la gestione, prendere il loro posto.

Il rimedio alla stretta del credito e alla mancanza di liquidità apparentemente è semplice: nazionalizzare senza indennizzo le banche ed esercitare direttamente il credito . Ma è un rimedio che i capitalisti non possono prendere. Perché?

 

Il rimedio è semplice e pare cosa di buon senso. Ma provate a immaginare una così semplice misura presa dalle Autorità attuali: ricchi tra i ricchi, speculatori tra gli speculatori, gente di casa con banchieri, prelati, generali, alti funzionari, ricchi e notabili. Sarebbe peggio che affidare Alitalia a Colaninno, che quando faceva il “capitano coraggioso” spalleggiato da D’Alema si è fatto una fortuna con Telecom Italia (l’ex SIP, prima manipolata da De Benedetti e poi passata a Tronchetti Provera)!

Chi dovrebbe nazionalizzare senza indennizzo le banche? Chi dovrebbe espropriarle? Chi dirigerebbe le banche espropriate senza indennizzo - sarebbero peggio dei beni espropriati ai mafiosi nelle zone controllate dalla mafia, che solo i mafiosi ci possono mettere mano! A chi farebbero credito i nuovi banchieri? Chi si rassegnerebbe a perdere senza indennizzo le sue ricchezze cui è attaccato più che alla propria vita e ai suoi cari?

 

Indennizzarli, allora? Se si trattasse solo di dar da vivere dignitosamente a qualche centinaia di migliaia di ex speculatori, banchieri, generali, prelati, notabili e ricchi, potrebbe sembrare ingiusto, ma tuttavia perfino una misura di buon senso, pur di uscire dalla crisi attuale ed evitare quello che ci prepara. Ma stiamo parlando di cifre di altro ordine di grandezza di quelle necessarie per vivere dignitosamente. Non si tratterebbe di dar loro da vivere: indennizzarli vorrebbe dire rimettere nelle loro mani in altra forma quello che gli si toglie. I soldi dell’indennizzo non si distinguono dagli altri.

Con i soldi di chi indennizzarli? A che prezzo indennizzare le loro banche e i loro fondi? Al prezzo che offrono oggi i ribassisti o al prezzo di ieri? Cosa farebbero banchieri, speculatori, capitalisti e ricchi con i soldi dell’indennizzo? Gli indennizzati sono capitalisti, vogliono che i soldi che ricevono come indennizzo fruttino, li impiegherebbero come capitale. Indennizzarli vorrebbe dire montare un vortice speculativo doppio dell’attuale da cui vogliamo uscire.

Quando negli anni ’60 in Italia il centro-sinistra nazionalizzò con indennizzo l’energia elettrica, con il denaro fresco dell’indennizzo gli indennizzati costruirono un impero maggiore nella chimica e nella farmaceutica (allora non eravamo ancora entrati nella fase speculativa).

Quando nel 1981 in Francia Mitterrand (seguendo finalmente gli obblighi previsti nella Costituzione francese) nazionalizzò i grandi monopoli bancari e industriali, con il generoso indennizzo gli espropriati si diedero alla speculazione finanziaria contro il Tesoro e la Banca Centrale francesi. Mitterrand nel giro di un anno si trovò di fronte al dilemma: o espropriarli nuovamente e questa volta completamente e senza indennizzo o fare marcia indietro. Fece marcia indietro, perché era uno di loro, come gli alti funzionari e i generali che lo circondavano!

 

Con i soldi degli indennizzi gli attuali titolari delle banche, delle società finanziarie e dei fondi espropriati tornerebbero a fare quello che stanno facendo e bloccherebbero nuovamente il credito e la liquidità all’economia reale. Ogni capitalista e ogni azienda capitalista ha soldi nei fondi d’investimento, nei fondi speculativi, nelle banche, nelle finanziarie. Come salvare l’economia reale e porre fine alla speculazione, lasciando contemporaneamente le aziende dell’economia reale nelle mani dei capitalisti?

Finché l’economia reale è in mano alla stessa classe a cui appartengono banchieri e speculatori se non direttamente a questi stessi, aprendo il credito e creando liquidità al massimo si cambia la situazione per un giorno o due. Infatti vuol dire alimentare anzitutto gli speculatori, perché ogni capitalista è speculatore o legato agli speculatori. Metterete un poliziotto a controllare ogni capitalista che ha un’azienda perché non speculi? E poi metterete un secondo poliziotto a controllare che il primo non si lasci corrompere dal capitalista? E poi ne metterete un terzo e così via di seguito? E i capitalisti farebbero gli imprenditori, i direttori, gli amministratori, sotto controllo di un poliziotto? Quale poliziotto sarebbe capace di capire i loro affari e distinguere i loro trucchi? Berlusconi non aveva forse assoldato mezza Guardia di Finanza per fare le sue speculazioni? E l’altra metà non era forse alla caccia della prima, per prendere il suo posto?

Il ciclo infernale della ricchezza e della corruzione, del ricco che corrompe il controllore, può essere tagliato solo in una società senza capitalisti e senza ricchi, dove ogni adulto svolge un lavoro socialmente riconosciuto come produttivo e in base a questo riceve quanto necessario a vivere dignitosamente, dove quindi il denaro non può più funzionare come capitale e nessuno può vivere senza lavorare. Il potere proletario, gli operai organizzati possono fare tutto questo e stroncare ogni sabotaggio e boicottaggio. Ecco perché noi comunisti siamo partigiani della dittatura del proletariato.

Ecco perché per porre fine a questa crisi ci vuole un potere inflessibile con i ricchi e con quelli che fin qui erano abituati a comandare e ad aggirare le leggi che non gli comodano, a farsi servire e a vivere alle spalle degli altri. Non un potere come l’attuale, truce e feroce con le masse popolari, tanto più quanto più disgraziati sono quelli che gli capitano tra le mani e che invece con i ricchi, i prelati, gli ufficiali, i capitalisti al massimo usa la persuasione morale, perché loro “mica si può obbligarli a lavorare con la pistola puntata”, “se non gli conviene, non lavorano, delocalizzano, chiudono bottega”! Un simile potere al servizio dei lavoratori e inflessibile con i parassiti e gli speculatori, i lavoratori organizzati lo possono costituire. La borghesia e il clero non lo costituiranno mai.

 

Le forze borghesi di opposizione (dalla destra targata PD alla sinistra targata PRC, PdCI e affini) non dicono queste elementari verità che i loro capi ben conoscono, o perché sono complici o perché non osano guardare alle conseguenze che dovrebbero tirarne. Non osano puntare sull’organizzazione dei lavoratori e sulla loro mobilitazione contro gli speculatori. Non osano puntare alla vittoria sulla borghesia. Nei casi migliori, dei tipi e partiti più di sinistra, ripiegano sulla lagna. Piangono con le vittime della crisi, deplorano la crisi. Come piangono sulle vittime della guerra in Palestina, in Iraq, in Afghanistan o altrove, sulle vittime della fame e dell’AIDS. Fanno assistenza, come i cappellani compassionano e assistono i condannati, di fatto complementando l’opera dei plotoni d’esecuzione e dei boia.

Ma la crisi è semplicemente il dominio dei capitalisti, del clero, dei notabili e dei ricchi sui lavoratori e sul resto delle sulle masse popolari. Porvi fine vuol dire chiamare le masse popolari a instaurare un potere popolare con un governo popolare, un potere e un governo che non abbiano nulla a che fare con banchieri, speculatori e con tutta la loro classe: i capitalisti in generale, gli alti prelati, gli alti funzionari e ufficiali, i ricchi e i notabili dell’attuale ordinamento sociale.

Chi nel paese può instaurare, sostenere e far valere un simile potere?

Ecco perché noi comunisti diciamo “lavoratori organizzati” e “dittatura del proletariato”. Finché non arriveremo a questo, tireremo avanti con mezze misure, tra stenti, paure e rabbia. Nessun capitalista rinuncerà alle sue ricchezze. Nessun governo di capitalisti e di loro amici esproprierà senza indennizzo i capitalisti. La loro ricchezza soffocherà l’economia reale. La crisi si aggraverà, andrà di male in peggio. Questa è la nuda e cruda verità.

 

La grande crisi dilaga nel mondo. I padroni e i loro seguaci, la loro corte di generali, prelati, giullari e ballerine, sembrano matti. Sghignazzando Berlusconi passa da una delle sue cinquanta ville, a Palazzo Chigi, al teatro del giullare Mariano Apicella. I risultati delle loro azioni, della loro direzione, delle loro idee, dei loro comportamenti sono sotto gli occhi di tutti. Se non è roba da matti questa, quale lo è? Il guaio è che questi non sono in manicomio, comandano: noi subiamo le conseguenze delle loro azioni.

Noi operai e masse popolari per ora siamo nelle loro mani. Finché ci restiamo, subiamo le conseguenze della loro pazzia. Possiamo certo indurli a moderarsi in questo o in quello, fargli paura, costringerli in vari modi a fare ora una cosa ora l’altra. È quello che noi operai e masse popolari possiamo fare con le lotte rivendicative. Ma in definitiva siamo nelle loro mani. E prima o poi, se ci fermiamo lì, loro prenderanno ancora più il sopravvento e scateneranno la mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

 

Una parte di noi stessi, stufa e delusa per l’inconcludenza della nostra resistenza, per gli insuccessi delle nostre operazioni difensive, per i risultati scadenti e comunque provvisori e precari delle nostre lotte rivendicative, delle nostre dimostrazioni e dei nostri scioperi di protesta, sotto l’effetto dell’influenza che la borghesia, il clero, i demagoghi, i fascisti e i vari notabili del regime hanno ancora su molti di noi, mossa dai pregiudizi, dalle arretratezze e dalle paure che ci lascia in eredità la storia di oppressione, sfruttamento e divisione di classe che abbiamo alle spalle, darà ascolto alle proposte dei gruppi più reazionari, arroganti e criminali della classe dominante (dei fascisti, dei razzisti, dei guerrafondai, degli anticomunisti, dei crociati antiislamici, dei sionisti, degli xenofobi di ogni specie e razza), si arruolerà nelle file della mobilitazione reazionaria delle masse popolari, cercherà di crearsi uno spazio vivibile per sé, per la sua famiglia, per i suoi amici e vicini, soffocando e stroncando quelle parti delle masse popolari che i gruppi più facinorosi e demagogici del campo della borghesia imperialista indicheranno come causa dei mali delle masse popolari e che l’esperienza immediata sembrerà confermare che lo sono: per l’autoctono, l’immigrato; per il normale lavoratore, il ladruncolo e chi si arrangia con sotterfugi; per chi cerca di salvare un minimo di decoro, lo sbandato e l’emarginato; per chi che ha un lavoro, il disoccupato che preme alle porte per prendere il suo posto; per il disoccupato, l’occupato che difende il suo posto di lavoro; per l’italiano, gli stranieri che i padroni ci indicheranno come nemici perché credono di poterli con successo aggredire e sfruttare. L’elenco potrebbe continuare. I più insofferenti, la loro impotenza a prendersela con le cause, con i ricchi e potenti, la sfogheranno contro gli effetti del sistema, vigliaccamente e con ferocia, sostenuti dai ricchi, dai potenti, dal clero e dai notabili del regime.

 

Tutto questo lo possiamo evitare. Come?

Organizzandoci per strappare ai padroni la direzione della società e per riorganizzare le attività economiche e il resto delle attività e delle relazioni sociali in modo confacente ai bisogni, ai migliori sentimenti e alle idee più avanzate delle masse popolari e chiamando tutti a partecipare a quest’opera giusta.

Se il nostro lavoro sarà efficace e inflessibile, se ognuno che per un motivo o l’altro vi partecipa ne vedrà i risultati e l’efficacia, non lasceremo spazio alla demagogia dei fascisti, dei razzisti, del clero e dei padroni. Solo la rivoluzione può sbarrare la strada alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

Raccoglieremo le forze necessarie per realizzare il nostro sogno, per costruire il mondo di cui abbiamo bisogno, di cui tutti gli operai e il resto delle masse popolari hanno bisogno.

 

Tutto dipende da noi! I padroni ci tolgono tutto, ma noi abbiamo un mondo da conquistare!

Bando al panico!

La borghesia imperialista e il Vaticano impongono alle masse popolari una crisi dolorosa e cercano di seminare paura e confusione!

I lavoratori organizzati possono rovesciare contro la borghesia imperialista e il Vaticano la crisi che essi ci impongono!

 

Non possiamo aspettarci niente di buono dalla borghesia e dal clero.

La soluzione della crisi sta solo nelle nostre mani!

 

Il Partito comunista richiama i suoi organismi e ogni suo membro, tutti i comunisti e i lavoratori avanzati, a non lasciarsi prendere dal panico e a portare tra gli operai e le masse popolari un messaggio di fiducia in se stessi e l’appello alla mobilitazione e alla lotta contro la borghesia!

 

La crisi dimostra che il capitalismo non ha futuro.

Le masse popolari possono far fronte alla crisi, rovesciare contro la borghesia imperialista e il Vaticano il disastro che essi cercano di imporre alle masse, possono instaurare il socialismo. Per avere la forza di farlo, basta che si organizzino nel movimento comunista.

 

Le masse popolari organizzate, i lavoratori organizzati guidati dai comunisti sono completamente in grado di prendere in mano il paese, riorganizzare su basi socialiste le attività economiche, dare una prospettiva e assicurare una vita dignitosa a ogni uomo e a ogni donna disposti a dare il loro contributo al lavoro comune.

 

La forza dei padroni, del Vaticano, dei loro accoliti e manutengoli sta solo nella confusione che seminano tra i lavoratori, nella collaborazione dei sindacalisti di regime, nella debolezza del movimento comunista: in breve nel fatto che i lavoratori mancano di un orientamento giusto e unitario, di un’organizzazione ramificata e salda, di una direzione decisa a vincere. Ma possiamo costruire tutto questo! Noi comunisti siamo decisi a costruirlo.

 

Nessuno ce lo regalerà. Tutte queste cose dobbiamo costruircele e a questo servono i comunisti. Bisogna che nel corso delle lotte di questi giorni i lavoratori più avanzati e i comunisti si uniscano, costituiscano Comitati di Partito, rafforzino ogni comitato e organismo di resistenza, diffondano e incoraggino ogni forma di organizzazione dei lavoratori, spieghino alla massa dei lavoratori che è possibile vincere, che in definitiva i padroni hanno bisogno di sottomettere i lavoratori, mentre in definitiva i lavoratori possono fare a meno dei padroni. Strategicamente i lavoratori sono forti. Strategicamente i padroni e i loro complici sono deboli. Bisogna tradurre il rapporto di forza strategico nei rapporti di forza in ogni singolo scontro. A questo servono l’orientamento, l’organizzazione e la direzione che i Comitati di Partito promuovono.

La lotta per instaurare il socialismo è il contesto necessario anche per resistere, per difendere con successo, efficacemente le vecchie conquiste e strapparne di nuove, per togliere libertà d’azione agli speculatori, per contrastare la brama di denaro e di potere dei capitalisti, del clero e degli altri notabili, per far ridurre i prezzi e aumentare i salari, per impedire licenziamenti, pignoramenti e sfratti, per assicurare a tutti condizioni dignitose di vita, per far fronte al razzismo e all’emarginazione, per mettere a tacere i fascisti.

 

L’instaurazione del socialismo è la via d’uscita dal marasma materiale, politico, sociale, intellettuale, morale e ambientale in cui la borghesia ha condotto l’umanità.

Il sistema sociale capitalista e lo sforzo della borghesia, del clero e delle altre classi sfruttatrici di prolungarne l’esistenza sono la causa principale dei mali che oggi affliggono l’umanità. Sono anche l’unico vero impedimento alla loro soluzione.

L’organizzazione dei lavoratori e la loro lotta senza riserve e senza quartiere contro queste classi, giorno dopo giorno e in ogni campo, ci condurranno a instaurare il socialismo.

Questo è il compito che noi comunisti ci proponiamo!

 

Facciamo appello a ogni lavoratore avanzato, alle donne più generose, ai giovani più coraggiosi perché si uniscano a noi per realizzare questo compito!

 

Uniamoci sempre più profondamente ai popoli che da un capo all’altro del mondo resistono alla guerra di sterminio non dichiarata perpetrata dalla borghesia imperialista e dalle altre forze reazionarie!

 

La crisi mostra che i lavoratori e i popoli oppressi di tutto il mondo hanno lo stesso nemico!

 

Che i lavoratori, le donne, i giovani più avanzati si arruolino nelle fila del Partito comunista, degli organismi della resistenza e delle organizzazioni di massa e contribuiscano alla rinascita del movimento comunista!

 

Rafforzare la struttura clandestina centrale del (nuovo)Partito comunista italiano, moltiplicare il numero dei Comitati di Partito clandestini e migliorare il loro funzionamento, sviluppare il lavoro sui quattro fronti indicati dal Piano Generale di Lavoro!

 

Costruire in ogni azienda, in ogni zona d’abitazione, in ogni organizzazione di massa un comitato clandestino del (n)PCI!

 

Viva il (nuovo)Partito comunista italiano!