Cristoforo Colombo

    La ripresa dell’accumulazione del capitale

Capitolo 1° - Il movimento economico della società
martedì 15 agosto 2006.
 

Pippo Assan

Cristoforo Colombo

-  Capitolo 1° - Il movimento economico della società

La ripresa dell’accumulazione del capitale

La ripresa dell’accumulazione del capitale

Si è detto sopra che nel periodo successivo alla 2° Guerra Mondiale la classe operaia e il proletariato delle società imperialiste sono riusciti a strappare miglioramenti graduali ma diffusi e continui delle loro condizioni di vita e di lavoro.

Dicendo che il proletariato ha strappato miglioramenti, vogliamo anche dire che la borghesia poteva concederli, che ne aveva la possibilità economica.

Nell’ambito del modo di produzione capitalistico, sono i capitalisti che danno il via al processo produttivo e ognuno di essi lo fa solo se tramite esso valorizza il suo capitale.

Il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza avviene quindi solo come supporto del processo di valorizzazione del capitale. Quando per una serie di circostanze le masse riescono a strappare miglioramenti che impediscono però la valorizzazione, la situazione non può che essere transitoria. O il proletariato riesce ad andare oltre, instaurando il proprio potere politico, o sopravviene la reazione. Infatti il processo produttivo viene sconvolto e ne nascono movimenti che eliminano le conquiste. La storia conferma ampiamente e ripetutamente: così è avvenuto da noi con la "conflittualità permanente" nelle fabbriche degli anni 70, così nel Cile di Allende, per citare solo due casi tra i più emblematici (14).

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Alcuni sostengono che i miglioramenti strappati dalle masse popolari e dal proletariato dei paesi imperialisti sono stati resi possibili dallo sfruttamento delle popolazioni dei paesi del Terzo Mondo.

L’inconsistenza di questa tesi diventa evidente non appena si considera che le popolazioni dei paesi del Terzo Mondo erano ferocemente sfruttate dai gruppi borghesi dei paesi imperialisti anche negli anni 1900-1945 quando anche le masse popolari dei paesi imperialisti dell’Europa Occidentale e degli USA pativano fame e privazioni di ogni genere. Continuano ad essere sfruttate ferocemente anche negli anni successivi al 1975 e nonostante questo le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari e del proletariato dei paesi imperialisti hanno preso a peggiorare.

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I miglioramenti conquistati nel periodo 1945-1975 sono stati possibili perchè dopo il 1945 è ripresa in grande l’accumulazione capitalistica.

E ciò perchè, a seguito dell’ingente distruzione di capitale (sotto forma di uomini e di cose) e degli sconvolgimenti politici ed economici delle due guerre mondiali e del periodo tra esse compreso, si era risolta la 1° crisi per sovraccumulazione generale di capitale. Le distruzioni e gli sconvolgimendi di trent’anni avevano sgomberato terreno sufficiente perchè il capitale potesse riprendere ad accumularsi. Nel corso dei trentacinque anni intercorsi tra il1914 e il 1949 una parte consistente della terra e della popolazione mondiale si era sottratta al sistema capitalistico mondiale attraverso la Rivoluzione d’Ottobre, la creazione della Repubblica Popolare Cinese, la costituzione di repubbliche popolari nei paesi dell’Europa Orientale. Nonostante questo l’accumulazione potè riprendere perchè essa non è condizionata dal fatto che il capitale possa agire su una parte vasta del mondo, ma dal livello che essa ha già raggiunto: .

La soluzione della crisi per sovraccumulazione generale di capitale fu accompagnata da grandi trasformazioni strutturali nel sistema capitalistico mondiale: sostituzione del predominio mondiale della borghesia USA a quello della borghesia britannica, di New York a Londra come centro finanziario mondiale, del dollaro alla sterlina come denaro mondiale, del sistema di dominazione neocoloniale al sistema di dominazione coloniale. In tutto il sistema capitalistico era stata creata una grande quantità di forme antitetiche dell’unità sociale (15).

L’ingente distruzione di capitale e le trasformazioni strutturali aprirono il terreno per la ripresa dell’accumulazione, cioè per la valorizzazione del capitale e quindi per lo sviluppo del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza. Non furono le trasformazioni strutturali che determinarono la soluzione della crisi per sovraccumulazione generale di capitale. Esse e le dimensioni del rinato sistema capitalistico mondiale hanno invece contribuito a determinare l’estensione e la durata del nuovo periodo di accumulazione perchè la sovrapproduzione generale di capitale è un fenomeno relativo all’interazione tra la forma del processo produttivo (il rapporto di produzione) e le condizioni sociali e politiche date e con il contenuto del processo produttivo.

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Con la ripresa dell’accumulazione capitalistica dopo il 1945 iniziò nei paesi imperialisti quello che sopra abbiamo chiamato progetto di costruire una società del benessere. E’ con misure inquadrate in tale progetto che le classi dominanti di tutti i maggiori paesi imperialisti dopo la 2° Guerra Mondiale hanno gestito i rapporti con le masse popolari dei rispettivi paesi. Le promesse furono sempre più delle realizzazioni. Ma le promesse furono anch’esse efficaci nel determinare il comportamento politico delle masse solo perchè erano sostenute da una quota sufficiente di realizzazioni.

Più che un progetto organico, fu un corso oggettivo determinato dal confluire di spinte, tendenze, esigenze, interessi e progetti con origini diverse e con obiettivi diversi e autonomi. Questo corso fu reso possibile dalla ripresa dell’accumulazione capitalistica. Questa fu la sua condizione necessaria, senza la quale non avrebbe avuto luogo.

La realizzazione proprio di questo corso invece che di altri fu causata da alcuni fattori presenti nella società imperialista del secondo dopoguerra:

1 - l’esistenza della massa di forme antitetiche dell’unità sociale ereditate dal periodo delle guerre mondiali, che permettevano un intervento coordinato di governi e altre pubbliche autorità nell’economia per attutire contrasti, evitare esiti traumatici (si pensi per l’Italia a quante industrie liquidate dai proprietari e assorbite dall’IRI), varare programmi di sviluppo per determinate zone sulla base di incentivi ed esenzioni fiscali ed una massiccia opera statale di redistribuzione del reddito;

2.- le peculiarità della nuova borghesia dominante, quella americana, con la sua aspirazione a riformare il capitalismo europeo per assimilarlo, con la sua sperimentata attitudine a comperare uomini, a corrompere dirigenti, a creare organizzazioni ed attività diversive, a dare risposte pratiche ad esigenze reali evitando che servissero di appiglio ai comunisti, ad isolare i casi irrecuperabili prima di eliminarli (16);

3.- il timore della rivoluzione socialista che pervase la borghesia imperialista a seguito della Rivoluzione d’Ottobre e del trionfo della rivoluzione in Cina: è impossibile capire il comportamento politico delle classi dominanti dei paesi imperialisti se non si tiene conto della loro costante preoccupazione di prevenire l’estensione e il rafforzamento del movimento rivoluzionario a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo;

4.- la forza politica e contrattuale raggiunta dalla classe operaia e dalle masse popolari nei paesi imperialisti e soprattutto in Europa dove le masse, con la lotta contro il nazifascismo, si insinuarono negli spazi creati dalle lotte intestine alla classe borghese;

5.- il bisogno della borghesia imperialista di avere nella metropoli un retroterra pacificato per affrontare le rivoluzioni nei paesi coloniali, che la costituzione della Repubblica Popolare Cinese aveva reso un pericolo incombente.

Condizione necessaria della messa in cantiere del progetto di costruire una società del benessere ed effetto delle realizzazioni di questo progetto fu il prevalere del revisionismo in seno ai partiti comunisti dell’Europa Occidentale. Se questi ultimi avessero cercato di condurre il proletariato al potere, almeno in alcuni grandi paesi (Italia, Francia) la borghesia avrebbe dovuto ricorrere a guerre civili dall’esito incerto.

Questi fattori hanno concorso a far sì che la ripresa dell’accumulazione capitalista si traducesse nei paesi imperialisti nel progetto di costruire società del benessere. Nessuno di essi né il loro assieme avrebbero determinato quel progetto in assenza della ripresa dell’accumulazione capitalista. Nè infatti lo determinarorno nel periodo tra le due guerre mondiali, benchè fossero in gran parte presenti. Questo basta a smentire l’affermazione degli idealisti che questi o altri fattori analoghi sono stati la condizione sufficiente del progetto, che il progetto è frutto di una astuta macchinazione controrivoluzionaria.

Nei 30 anni successivi alla 2° Guerra Mondiale le masse popolari dei paesi imperialisti riuscirono a strappare, nell’ambito della società borghese, minimi salariali, indennità di disoccupazione, sistema generale di assistenza sanitaria e di pensione per invalidità e vecchiaia, scolarizzazione di massa, relativa sicurezza del posto di lavoro (in Italia in particolare: imponibile di manodopera nelle campagne, libertà di emigrazione di massa, abolizione del licenziamento per i pubblici dipendenti, livellamento dei minimi contrattuali provinciali (cioè abolizione delle gabbie salariali), statuto dei lavoratori, ampliamento dei diritti sindacali, di organizzazione, di iniziative e di rappresentanza nelle aziende, minimo di disoccupazione negli anni 60, massimo di organizzazione sindacale e politica del proletariato nei primi anni 70).

Questo progetto fu accompagnato

-  da un’ accresciuta mobilità sociale,

-  dall’ampliamento delle classi intermedie di tipo capitalistico (funzionari, dirigenti, ecc.),

-  dall’introduzione di una grande varietà di costumi e di beni di consumo di massa che trasformarono radicalmente, nei trent’anni successivi alla 2° Guerra Mondiale, il modo di vivere delle masse e diedero il via ad una diffusa ed illimitata rincorsa al guadagno che la situazione economica consentiva in misura sufficiente a renderlo un obiettivo efficace.

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Come ogni trasformazione materiale, il corso seguito dalle società imperialiste nel secondo dopoguerra ebbe le sue espressioni anche in campo politico e culturale.

Dopo la fine della 2° Guerra Mondiale l’accumulazione del capitale era ripresa a vele spiegate, non si era ripetuta una grande crisi come quella del ’29 (17), l’economia mostrava ancora una successione di alti e bassi nei ritmi di sviluppo ma nell’ambito di un’ininterrotta tendenza alla crescita, il progetto di costruire società del benessere si veniva dispiegando.

Sulla base di questi solidi elementi materiali nacquero e presero piede

-  la teoria che associazioni di Stati e associazioni di capitalisti potevano governare ed indirizzare il movimento economico delle società borghesi, teoria che appare negli ultimi anni della , all’inizio del secolo e che riemerge al culmine del processo di accumulazione, negli anni 60 di questo secolo;

-  la teoria della sparizione del ciclo economico e quindi della fine del ripetersi periodico di crisi economiche che nessuno era in grado di prevenire;

-  la teoria secondo cui le guerre imperialiste non erano più inevitabili, in quanto i contrasti economici interimperialisti e le difficoltà economiche del modo di produzione capitalista avevano soluzioni pacifiche e di reciproco vantaggio per le parti in causa;

-  la teoria che il socialismo si sarebbe affermato gradualmente e pacificamente, senza bisogno di rivoluzioni, malgrado che proprio in quegli anni gli stati imperialisti stessero conducendo feroci guerre di sterminio per resistere ai movimenti di liberazione nazionale.

Nei paesi imperialisti divenne cultura dominante, diffusa, incarnata in mille pregiudizi e luoghi comuni, una cultura borghese progressista ed egualitaria. Eguaglianza, piena occupazione, diritto ad organizzarsi ed esprimersi dei lavoratori e in generale di ogni gruppo avente interessi comuni, vennero additati come valori positivi e come obiettivi di tutti. La forma parlamentare del dominio politico della borghesia divenne un articolo di fede. Le linee di massa e le forme di inquadramento di massa vennero articolate al massimo onde evitare l’imposizione di una specifica opinione, ma confezionando un’opinione adatta per ogni gusto; in quel periodo sì che vi è un , che però era fondato su trasformazioni reali e, come si vedrà, non restò privo di conseguenze.

Parallelamente e conseguentemente, nel movimento delle masse prevale la cultura idealista dell’aristocrazia operaia che è una derivazione ad uso popolare della cultura borghese progressista sorretta dall’esperienza pratica dell’aristocrazia operaia.

Gli idealisti scambiano in generale le espressioni culturali del progetto di costruzione di società del benessere con il contenuto di esso e attribuiscono a queste espressioni culturali il comportamento politico della classe dominante e delle masse dei paesi imperialisti (i trent’anni di pace sociale). Ma tutte queste varie espressioni culturali non avrebbero avuto alcun effetto politico e sarebbero rimaste anch’esse forme minoritarie, come lo furono anche prima del periodo di cui stiamo parlando e come lo stanno ridiventando oggi, se non avessero corrisposto ad una serie di trasformazioni nelle condizioni materiali delle masse popolari, del proletariato e della classe operaia

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Questa fase della storia dei paesi imperialisti raggiunse il suo culmine e la sua fine a cavallo tra gli ultimi anni 60 e i primi anni 70.

Da una parte il ritmo dell’accumulazione di capitale iniziò a rallentare, si manifestarono i primi sintomi di sovrapproduzione generale di capitale, crebbero le contraddizioni economiche tra gruppi e stati imperialisti che trovavano soluzione in atti di forza da parte di una delle parti in causa, il processo di produzione e di riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza avvertì i primi sintomi di crisi.

Quindi inizia l’inversione della tendenza economica. La borghesia, l’intelligenza associata dei dirigenti della produzione riuniti in cartelli, gli stati imperialisti e le loro organizzazioni internazionali avevano diretto il movimento economico nella fase 1945-1970 quanto la mosca cocchiera aveva diretto il cavallo.

Le teorie della governabilità e della fine delle crisi furono confutate praticamente dall’esplosione della nuova crisi per sovrapproduzione generale di capitale negli anni 70.

Dall’altra le tendenze politiche e culturali generate dal corso economico positivo che si avviava a conclusione arrivano al loro massimo sviluppo. Il movimento politico che si ha in tutti i paesi imperialisti alla fine degli anni 60 e nei primi anni 70 ne è il risultato.

Esso è anzitutto una crisi ed una spaccatura all’interno della classe dominante lacerata e paralizzata dai contrasti. Questa crisi lascia via aperta al movimento rivendicativo e politico delle masse che tendono a tradurre in pratica, portandoli alle estreme conseguenze, le promesse e gli ideali del progetto di società del benessere: l’eguaglianza politica ed economica, la liberazione dal bisogno, la possibilità per tutti di usufruire dei beni prodotti, l’accesso universale alla cultura e agli strumenti di direzione della società. Niente doveva essere negato a nessuno. L’abbondanza dei beni prodotti confortava il sogno, in quanto la limitazione non era evidentemente nella quantità di beni materiali producibili, ma nei rapporti di produzione che la cultura corrente idealisticamente negava ed ignorava. Secondo la cultura corrente non vi erano ostacoli alla crescita e quelli che si incontravano erano frutto di pregiudizio e di cospirazione e potevano e dovevano essere abbattuti.

La Trilaterale, l’associazione mondiale dei maggiori borghesi, esprime consapevolmente la situazione obiettiva della borghesia affermando che c’è troppa democrazia e che si sono create troppe attese che non possono essere soddisfatte.

Le bande, e in generale la lotta armata per il comunismo, trovano in questo contesto il loro terreno di nascita. Nascono e crescono come espressione estrema, massima, più radicale e conseguente di quel movimento delle masse, esprimono l’estremizzazione sistematica delle istanze avanzate dalla mobilitazione delle masse. Nello stesso tempo contengono alcuni elementi che ne possono fare l’anello di congiunzione tra quel movimento di massa destinato ad essere sconfitto dalle sue illusioni e che costituisce l’ultima espressione di una fase che si chiude e la nuova fase.

La sconfitta del quanto ai suoi contenuti e obiettivi non è dovuta ad errori politici, ma alla natura stessa del movimento, agli obiettivi che esso si poneva e che erano incompatibili con la società borghese per la cui eliminazione il movimento stesso non aveva però alcun progetto realistico nè alcuna possibilità, nonostante le molte declamazioni.

La sconfitta che si realizza pienamente alla fine degli anni 70 fu in primo luogo sconfitta di tutto quanto costituiva quel progetto di costruire società del benessere e dei revisionisti e riformisti vari che, aldilà dello schiamazzo dei gruppi e delle polemiche, di quel movimento erano gli interpreti reali (ciò è messo bene in luce nell’Autointervista di Gallinari, Lo Bianco, Piccioni e Seghetti pubblicata nel n.25 di Il Bollettino del Coordinamento dei Comitati contro la Repressione). La sorte dei revisionisti venne infatti segnata allora, l’esaurimento del loro ruolo nella vita politica venne deciso da quell’esito e in questi anni è in corso l’esecuzione della sentenza.

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