Comunicato del 27 marzo 2008

Una lezione di storia, per capire meglio quello che sta succedendo e per ricordare agli smemorati.

Approfittare delle elezioni per raccogliere forze e risorse per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato!
martedì 1 aprile 2008.
 

(nuovo)Partito comunista italiano Commissione Provvisoria del Comitato Centrale

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Delegazione: BP3 4, rue Lénine 93451 L’Île St Denis (Francia)

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Una lezione di storia, per capire meglio quello che sta succedendo e per ricordare agli smemorati.
Comunicato della CP del CC del (nuovo)PCI del 27 marzo 2008.

Assimilare a un livello più alto il Materialismo Dialettico come metodo per conoscere il mondo e come metodo per trasformarlo!

 

Svolta epocale, scontro decisivo, americanizzazione: chi più ne ha, più ne metta!

Con la campagna elettorale in corso, la sinistra borghese rischia di scomparire dal teatrino della politica borghese. Pagherebbe le conseguenze della sua strategia politica e della sua natura. È naturale che i suoi esponenti, seguaci e succubi gridino alla fine del mondo. I frammenti in libertà della sinistra borghese, molti che pur si dicono comunisti e persino marxisti-leninisti e alcuni persino maoisti, riprendono e ripetono simili grida. Tutti questi schiamazzi e queste dotte riflessioni distolgono energie dal lavoro possibile e necessario nella campagna elettorale in corso: approfittare del clima elettorale e

1. fare una campagna di propaganda - dell’instaurazione del socialismo come unica via d’uscita dal marasma attuale e - della lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuire così alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo come contesto necessario per una difesa efficace degli interessi immediati e diretti delle masse popolari;

2. all’interno di questa campagna di propaganda, fare una campagna di organizzazione di tutte le forze disposte a difendere gli interessi delle masse popolari “senza se e senza ma”, di tutte le forze che dalla Val di Susa alla Campania, dalla Sicilia a Vicenza impersonano la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi generale del capitalismo, di tutte le forze che vogliono creare un nuovo superiore ordinamento sociale.

In breve raccogliere forze e risorse per portare avanti la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato, per consolidare e rafforzare il nuovo Partito comunista italiano, principale promotore di quella rinascita.

Le idee giuste, una volta assimilate dalle masse popolari, in particolare dai loro elementi avanzati, diventano una forza materiale che trasforma il mondo. 

Per dar modo di comprendere l’inconsistenza e la vera natura e origine psicologica e sociale di quegli schiamazzi e di quelle dotte riflessioni, pubblichiamo qui di seguito due articoli di analisi del movimento politico italiano: uno (Il fiasco del 27 marzo 1994) pubblicato nella rivista Rapporti Sociali alla fine del 1994, in occasione dell’avvento del primo governo Berlusconi; l’altro (La putrefazione del regime DC) pubblicato nella stessa rivista nel 1996, in occasione dell’avvento del primo governo Prodi.


 

Il fiasco del 27 marzo ‘94

(da Rapporti sociali n. 16, inverno 1994-1995)

 

La divisione politica della borghesia imperialista

 

Premessa per la lettura del movimento politico

 

In una società imperialista è molto difficile, benché non impossibile, per un osservatore anche sperimentato, ma “esterno” ai circoli della classe dominante, decifrare chiaramente e con sicurezza la trama degli interessi contrapposti e convergenti dei gruppi imperialisti, gli schieramenti di lunga durata e di prospettiva, le convergenze e le alleanze transitorie o limitate a singole questioni, gli scontri e i risultati di essi. Gli interessi reali sono accuratamente nascosti, coperti dal “doveroso riserbo” dei membri della classe dominante e degli addetti ai lavori e spesso anche da cortine di fumo create ad arte per ingannare le masse popolari e gli avversari. Per sua natura il capitale finanziario è costituito da titoli che passano facilmente, rapidamente e anonimamente da un membro all’altro dell’oligarchia finanziaria, dalle tasche di rentiers o di risparmiatori anonimi e di nessun peso alle mani rapaci di pescecani della finanza e viceversa. A volte gli stessi amministratori e grandi azionisti di un gruppo vengono colti di sorpresa da incursori che si sono impadroniti di soppiatto del capitale. L’arte di dominare si è molto arricchita in questo secolo di lotta tra la borghesia imperialista e la classe operaia e non solo le operazioni segrete, ma anche le operazioni indirette, le strumentalizzazioni, le provocazioni, ecc. si sono moltiplicate quasi all’infinito.

Decifrare è tanto più difficile per noi, stante gli scarsi mezzi di cui disponiamo e la limitatezza e lo scollegamento di occhi e di orecchie di cui disponiamo oggi non solo noi, ma l’insieme delle forze soggettive della rivoluzione socialista nel nostro paese.

Con questa premessa vogliamo mettere in guardia onestamente i lettori della nostra rivista. La nostra “lettura” dello scontro incentrato sulle elezioni del 27 marzo è frutto di un attento lavoro di mosaico e ricostruzione. Essa deve quindi essere presa come guida per l’elaborazione della propria esperienza, per la comprensione dei fenomeni e dei movimenti in corso, per l’elaborazione di iniziative politiche. Non come ricostruzione già verificata del processo reale. Non solo mancano alcuni particolari e altri possono addirittura rivelarsi sbagliati, ma l’insieme della ricostruzione va preso con riserva di verifica.

Di una cosa vogliamo però mettere sull’avviso i nostri lettori. Non si lascino ingannare dal contrasto stridente: da una parte un mondo in cui mezzi di comunicazione e comunicatori fanno a gara nell’inondare ognuno di noi con mille comunicazioni assordanti e contrastanti, tanto che sembra che nulla possa salvarsi dall’avidità dei cronisti, né i particolari più intimi né i pettegolezzi più insignificanti; dall’altra il fatto che sui mezzi di comunicazione di massa nulla è trapelato di un’operazione e di uno scontro che per loro natura hanno coinvolto varie centinaia di persone come orditori e protagonisti attivi e consapevoli e sono stati alla portata di alcune migliaia di membri dell’oligarchia dominante e di suoi servitori. Non è forse successo altrettanto per l’attività della P2 benché non potesse non essere a conoscenza di alcune migliaia di membri della classe dirigenti e dei suoi frequentatori e benché si fosse svolta nell’arco di vari anni? Non è successo altrettanto per i preparativi di colpi di Stato, per “stay behind” (Gladio) e per la strategia della tensione? Non è successo altrettanto per le diffuse illegalità commesse dagli apparati statali e parastatali per stroncare il movimento popolare degli anni ‘70 che aveva al suo centro le Brigate Rosse? Non è successo altrettanto, per riferirci a un “fatto” ben delimitato, nel 1989 per la “strage” di Timisoara (Romania) che per alcuni mesi tutti i mezzi di comunicazione descrissero con dovizia di dettagli, numeri, nomi, testimoni e immagini, finché, alcuni mesi dopo il colpo di stato di Bucarest, il tutto si ridimensionò a una dimostrazione di strada con quattro vittime uccise dalla polizia nel corso di dimostrazioni di piazza? L’elenco potrebbe continuare a lungo.

Questa è la società in cui viviamo: la classe dominante copre con una sarabanda scintillante di “notizie” e di “fatti” insignificanti o inventati, la reale trama di interessi e i relativi scontri. Così come con una multiforme e variopinta messa in scena di politica-spettacolo montata ad uso delle masse popolari e per depistare gli avversari, copre gli effettivi scontri e movimenti delle forze politiche. Da ciò alcuni hanno dedotto che “oramai nell’attuale società le masse popolari non contano nulla” (evidentemente essi immaginano, da buoni nostalgici di un passato ideale, che “un tempo” le masse erano tenute dalla classe dominante dell’epoca al corrente delle sue intenzioni e attività!). Noi al contrario, proprio nell’enorme dispiegamento di mezzi (nuovo per le dimensioni e la qualità, la sistematicità e la pretesa di “scientificità”) messi in campo dalla classe dominante per depistare, ingannare e confondere le masse popolari, vediamo una conferma che l’attività delle masse popolari ha assunto nella “costituzione materiale” della società attuale (cioè negli effettivi rapporti sociali) un ruolo determinante ed essenziale, tanto che la classe dominante incontra enormi difficoltà a farla “quadrare” con i1 mantenimento del proprio dominio. Così come nel particolare accanimento con cui il regime attacca la classe operaia vediamo una conferma del particolare ruolo sociale che essa può svolgere, della sua particolare “pericolosità” per la borghesia imperialista (potenzialità della classe operaia di cui oggi, dopo quasi quarant’anni di assenza di un partito comunista e di predominio del revisionismo moderno, i meno consapevoli sono proprio gli operai). Quanto più acuto e generale è il contrasto tra la direzione della borghesia imperialista e la strada su cui l’esperienza sospinge le masse, tanto più deboli sono l’autorevolezza, il prestigio e il potere della classe dominante e quindi tanto maggiore deve essere il ricorso di questa alla menzogna, all’inganno, alla diversione, alla corruzione e alla repressione.

Alcuni lettori vedranno nell’interpretazione che noi diamo dello scontro culminato nelle elezioni del 27 marzo, un’espressione della concezione complottarda e soggettivista della storia. Richiamiamo questi nostri lettori a una concezione dialettica della storia. Gli sforzi compiuti da individui, gruppi e partiti per raggiungere un obiettivo che essi si sono posti intenzionalmente, sono efficaci solo in quanto corrispondono, almeno in una certa misura, a condizioni materiali, a possibilità e tendenze generate dalle condizioni materiali che esistono indipendentemente dai loro sforzi. I loro sforzi non fanno altro (che essi se ne rendano o no conto) che incanalare e far confluire efficacemente verso quell’obiettivo sforzi, tensioni, volontà e sentimenti che in una qualche forma quelle condizioni materiali avevano già generato in individui, gruppi e partiti. Il corso della storia non è comprensibile sulla sola base delle volontà individuali, per quanto grande sia il ruolo svolto da determinati individui; tuttavia essa “cammina sulle gambe degli uomini”; d’altra parte spesso gli individui, i gruppi, i partiti e le classi svolgono un ruolo, quindi esprimono di fatto una volontà e realizzano un obiettivo, che non esistono a priori né nelle menti individuali né nei programmi, ma verso cui sono sospinti dalle loro condizioni materiali, benché ognuno di essi se li raffiguri in forme più o meno fantasiose. Cosa per cui si dice che occorre distinguere ciò che un individuo (gruppo o partito) pensa di sé e della sua attività, da quello che questi realmente sono.

Con queste premesse affidiamo ai lettori la lettura de Il fiasco del 27 marzo.

 

Un aspetto specifico della crisi politica del nostro paese è l’alto grado in cui già oggi si è sviluppata la guerra civile tra i gruppi della borghesia imperialista operanti nel paese. Le elezioni dello scorso marzo hanno mostrato che la borghesia imperialista è già oggi incapace di elaborare per il nostro paese una proposta governativa, su cui riesca a unirsi e a far convergere la maggioranza elettorale.

L’attento studio degli avvenimenti politici del nostro paese negli ultimi quattro anni ci induce a ritenere che la parte più autorevole della borghesia imperialista, italiana ed estera (Agnelli, De Benedetti, Cuccia e Mediobanca, i gruppi finanziari esteri più attivi in Italia), aveva elaborato un progetto di ricambio politico al regime democristiano: il Polo progressista.

Il regime democristiano è stato nel secondo dopoguerra l’espressione concreta nel nostro paese del potere della borghesia imperialista. In esso si combinavano caratteristiche generali, comuni a tutti i regimi politici espressione della borghesia imperialista nel secondo dopoguerra, cioè nel periodo di ripresa e sviluppo del capitale (il periodo cosiddetto del “capitalismo dal volto umano”), con caratteristiche specifiche sue proprie, dettate dai tratti specifici della composizione di classe del nostro paese, della storia del nostro paese (formazione del modo di produzione capitalista e dell’unità politica del paese), dei gruppi politici che impersonavano il regime (provenienti dall’associazionismo cattolico, dalle organizzazioni parrocchiali e, nel meridione, dalle tradizionali strutture di potere degli agrari). Tra i tratti caratteristici del regime democristiano vi erano il clientelismo, l’assistenzialismo, la conservazione delle condizioni di riproduzione di un certo tipo di piccola borghesia rurale(1) e urbana e di imprese capitaliste individuali, la mitigazione degli effetti più traumatici del capitalismo tramite il settore economico pubblico e la spesa pubblica. Questi tratti si erano ben combinati con le caratteristiche del dominio della borghesia imperialista nel periodo del capitalismo dal volto umano. Essi invece rendevano questo stesso regime inadatto a gestire i rapporti con le masse popolari in conformità con le esigenze del nuovo periodo caratterizzato dalla crisi economica (iniziata grossomodo nel 1975). La crisi spingeva all’estremo gli aspetti specifici del regime DC e con ciò stesso li rendeva incompatibili con la dominazione della borghesia imperialista: essere assistenzialisti in un periodo di vacche grasse serve ad aggiustare le cose e arrotondare gli spigoli; esserlo in un periodo di vacche magre porta alla “dilapidazione del patrimonio”. Negli anni ‘80 l’indirizzo del regime democristiano è stato sostanzialmente anomalo o in ritardo rispetto all’indirizzo prevalente negli altri grandi paesi imperialisti (si veda ad es. la dimensione e la continuità del ricorso all’indebitamento dello Stato e degli altri enti pubblici, lo spazio lasciato all’inflazione, il ritardo nella svendita delle imprese pubbliche (“privatizzazione”), ecc.). Per sopravvivere e continuare a raccogliere voti il regime DC faceva ricorso su scala via via più vasta, man mano che la crisi economica avanzava, al clientelismo, con un enorme allargamento della spesa pubblica, nella forma specifica di aumento del debito pubblico e con il ricorso a tassi di interesse via via più alti onde invogliare i creditori italiani ed esteri. In concreto ciò introduceva un ulteriore elemento di rischio nel sistema finanziario italiano, europeo e mondiale, già sottoposto all’azione di grandi fattori di instabilità. A poco era valso il colpo inferto al regime DC con la separazione della Banca d’Italia dal Tesoro(2). Il regime DC inoltre subiva la crisi politica indotta in tutti i regimi dei paesi imperialisti dalla crisi economica. Esso riusciva sempre meno a tenere assieme interessi sempre più divergenti tra loro; forze politiche centrifughe (vedasi Rete, Lega, ecc.) si sviluppavano dal suo stesso seno. I contrasti tra le correnti DC e tra i partiti satelliti (PSI, PSDI, PRI, PLI) diventavano via via più acuti. Avventurieri come Dalla Chiesa, Pecorelli, Craxi, Gelli, Berlusconi, i gruppi camorristi e le famiglie mafiose riuscivano a crearsi posizioni da cui ricattare il grosso della DC. Nuovi gruppi affaristici nascevano sotto la protezione del regime e si sviluppavano con incursioni e colpi di mano nel mondo dell’alta finanza. Se Virgillito, Sindona, Calvi, ecc. in un modo o nell’altro erano stati bloccati, Gardini, Berlusconi, Caltagirone, Ligresti(3) erano passati. L’allegra gestione della finanza statale, impersonata negli ultimi mesi da Cirino Pomicino, facevano della finanza statale una macchina per la produzione di nuove concentrazioni di capitale che turbavano le vecchie. Alle ruberie vecchie e alle collaudate procedure per procurare arricchimento privato con il pubblico denaro, si aggiungevano nuove sfacciate e provocatorie procedure da “arraffa e fuggi”. La collusione spregiudicata con gli esponenti del gangsterismo nazionale (mafia, camorra, ecc.) - che nel frattempo avevano imparato da Agnelli e dalla buona borghesia del Nord a operare nel campo della finanza e si erano trasformati da luogotenenti locali della grande borghesia del nord in suoi concorrenti a livello internazionale, privi di discrezione e di tatto - destava animosità e ritorsioni e spingeva alla trasformazione della concorrenza economica in guerra civile. I segni di tensione tra il trio Craxi, Andreotti, Forlani (CAF) e parti consistenti della borghesia imperialista italiana ed estera erano via via cresciuti tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90: non solo il distacco tra il Tesoro e la Banca d’Italia, ma le schermaglie tra Andreotti e la Confindustria, tra Agnelli e Craxi, l’incidente di Sigonella,(4) lo scontro sulla Mondadori, sulla legge Mammì, sull’Enimont,(5) l’ambigua condotta del governo italiano nella Guerra del Golfo e nell’attacco alla Libia, la rilevanza data alla “lotta contro la mafia” e lo spazio crescente accordato al PCI.

Il regime DC faceva acqua da tutte le parti e andava sostituito ma la guerra generale tra i gruppi imperialisti rendeva difficile l’elaborazione di un ricambio politico. Non solo era difficile l’accordo, ma le barriere minuziosamente erette nel corso degli anni a difesa della continuità del regime DC diventavano ora un puntello contro quanti lo volevano sostituire, e di esse si avvalevano spregiudicatamente quanti avevano interesse alla sua continuità.(6) Tra i gruppi che concordavano sulla tesi che il regime DC aveva fatto il suo tempo e che andava sostituito, ognuno voleva un’alternativa tagliata sui suoi interessi e impersonata dai suoi uomini. Il denominatore comune di ogni cambiamento era l’accelerazione dell’eliminazione delle conquiste strappate dalle masse popolari nel periodo del capitalismo dal volto umano e il peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro. Ma proprio ciò consentiva a ogni gruppo imperialista di “appellarsi alle masse” e di “mobilitare le masse” contro ogni soluzione che non rispettasse i suoi interessi, gridando che essa portava allo “scontro sociale” e strumentalizzando le masse popolari.

In mezzo a queste difficoltà e con questi condizionamenti, a cavallo del 1990, facilitata anche dal “crollo del muro di Berlino” e dal disfacimento dell’Unione Sovietica, una parte autorevole della borghesia imperialista italiana, tra cui il gruppo Agnelli, il gruppo De Benedetti, Mediobanca di Cuccia, Confindustria e autorevoli gruppi imperialisti esteri, nonostante le divergenze di interessi finì per mettere in cantiere un progetto di ricambio politico.

Il progetto si componeva di due passaggi fondamentali.

1. La liquidazione per via extraelettorale (essendo quella elettorale preclusa) ed extraparlamentare del ceto politico democristiano-socialista (che aveva finito per riunirsi attorno al CAF) scatenando contro di esso la magistratura (Tangentopoli-Mani Pulite).

Alcuni magistrati improvvisamente aprirono gli occhi, improvvisamente venne loro il coraggio di “applicare la legge” sull’estorsione, sulla corruzione e sulla collaborazione tra esponenti politici, apparati statali e organizzazioni criminali più o meno occulte. “Stranamente” nemmeno uno di essi fece la fine che fino allora avevano fatto i pochi magistrati, poliziotti, “uomini di legge” e avventurieri spericolati che avevano osato mettere il naso nelle operazioni CAF (da Dalla Chiesa a Pecorelli, Costa, Chinnici, Falcone, Borsellino, Ambrosoli, Palermo, Alemi, ecc.).(8) Ad altri magistrati che mordevano il freno vennero ora dati dai loro superiori via libera, appoggi e mezzi d’azione e di protezione. Attorno ad essi e alle loro operazioni si rinnovò (benché nella minore misura confacente con la diversa natura di classe dello scontro) la “sacra congiura” che aveva permesso a magistrati e poliziotti ogni genere di prevaricazioni, illegalità e violenze nella lotta contro le Brigate Rosse e contro il movimento proletario di cui queste erano in qualche modo l’espressione. I maggiori esponenti del regime DC (Andreotti, Craxi, Forlani, Gava, ecc.) vennero messi fuori gioco, con imputazioni e campagne tanto più pesanti quanto maggiori erano le rispettive resistenze.(9)

2. La presentazione agli elettori della carta di ricambio, costruita attorno all’ex PCI.

La preparazione della soluzione politica di ricambio al CAF era iniziata con la liquidazione formale del “vecchio” PCI, la sua trasformazione nel “nuovo” PDS e la sua separazione dalle parti meno omogenee al ruolo nuovo che il PDS doveva svolgere (o per il ruolo svolto durante la guerra fredda o per la loro residua “ambiguità”).(10) Queste parti vennero comunque accuratamente raccolte in un contenitore (Rifondazione Comunista) per tenerle sotto controllo. Occhetto legò a questa operazione le sue fortune politiche (ne pagherà con le dimissioni il fallimento e ancora oggi cerca di rimontare la china). Attorno a lui si raccolsero con ruoli diversi gli uomini del vecchio regime che si allinearono all’operazione e si presentarono come “nuovi” (Spadolini, Napolitano, Segni, Ciampi, Scalfaro, ecc.). Il nuovo governo doveva portare l’Italia in riga con le tendenze prevalenti negli altri grandi paesi imperialisti, approfittando della collaborazione delle “parti sociali” (ossia, in primo luogo, dei sindacati di regime) per imporre “lacrime e sangue” alle masse popolari.

Lo sgambetto dell’aprile ‘92 a Craxi (addolcito dalla nomina a capo del governo di un suo uomo: Amato), il referendum sulla legge elettorale (Referendum Segni, 1993), la nomina di Ciampi a presidente del Consiglio dei ministri (1993) e le elezioni del marzo ‘94 dovevano avviare il ricambio.

Ma proprio sulle elezioni del marzo ‘94 l’operazione è fallita o, almeno, ha subito una battuta d’arresto. La soluzione di ricambio così accuratamente preparata è miseramente naufragata: non ha ottenuto l’appoggio degli elettori a cui i promotori l’avevano sottoposta e quindi condizionata (per errore di eccessiva sicurezza o perché le resistenze erano talmente alte che una nuova mossa extraelettorale (dopo quella della primavera del ‘92) le avrebbe rese insostenibili o per qualche altro motivo).

Il fiasco è dovuto principalmente a due fattori indipendenti, ma convergenti.

1. Tra le masse popolari la soluzione di ricambio incentrata sul PCI/PDS non aveva sollevato grande entusiasmo. Il disegno demagogico su cui il progetto puntava in sostanza non è riuscito. Questa soluzione arrivava dopo anni di collaborazione del PCI col regime democristiano: dalla svolta dell’EUR, alla politica di “solidarietà nazionale”, dalla collaborazione attiva nella guerra sporca contro le Brigate Rosse e le altre organizzazioni combattenti e in generale contro il movimento proletario degli anni ‘70 e dei primi anni ‘80, alla collaborazione sindacale nella normalizzazione alla FIAT(11) e nelle altre fabbriche, dalla copertura concessa alle stragi di Stato, alla persecuzione contro le avanguardie di lotta, alla pratica della tortura all’inizio degli anni ‘80, alla violazione sistematica di ogni legge nel soffocamento del movimento proletario, all’appoggio alle misure di eliminazione delle conquiste strappate dalle masse negli anni del “capitalismo dal volto umano”, ecc. Tutto ciò aveva già distrutto la partecipazione, la mobilitazione, creatività, l’entusiasmo, la convinzione di migliaia di attivisti che erano quelli che, fino circa alla metà degli anni ‘70, nonostante mille contraddizioni, avevano alimentato il seguito elettorale del vecchio PCI. Bertinotti e Cossutta fecero del loro meglio per abbellire la soluzione agli occhi dei lavoratori con sparate demagogiche (famosa quella di Bertinotti sui BOT), ma fare campagna elettorale a favore di noti organizzatori della cacciata degli operai dalle fabbriche (del tipo di Giugni) e di un secondo governo Ciampi e promettere un rinnovamento della società sotto la guida di individui di questa specie, era qualcosa che superava anche la fede disperata del lavoratore più convinto che il partito e la conquista del potere sono la chiave di tutto e che per questo aveva “digerito” tante scelte del PCI.

2. Il fatto che Occhetto, anche durante la campagna elettorale abbia dovuto ancora prosternarsi davanti agli uomini dell’alta finanza e della NATO per convincerli della bontà del progetto di Agnelli e compagnia, anziché avere già in tasca il loro sostegno e dedicarsi completamente a fare demagogiche promesse elettorali che fossero almeno alla pari di quelle di Berlusconi, proprio ciò dimostra la debolezza intrinseca dell’operazione.

Tra la borghesia e la piccola borghesia la soluzione elaborata dalla parte più autorevole della borghesia imperialista ha incontrato un’opposizione accanita, nutrita dai contrasti d’interesse. Da tempo i piccoli capitalisti accusavano i grandi di fare affari a spese delle finanze pubbliche, di vivere di contributi, agevolazioni e stanziamenti pubblici. Questa opposizione ha trovato in Berlusconi il suo leader, ben fornito di mezzi di comunicazione e di esperti in manipolazioni elettorali.(12) Egli ha unito sia quella parte del vecchio ceto politico che la nuova soluzione avrebbe sacrificato (i “riciclati” nell’attuale maggioranza governativa, che tuttavia non sono più, - anzi probabilmente meno - di quanti ne avrebbe avuti un’eventuale maggioranza del Polo progressista, basti pensare alle alternative Pivetti/Napolitano, Scognamiglio/Spadolini), cioè i “perseguitati” da Mani Pulite, sia quelle forze che la soluzione “progressista” per vari motivi, o forse per errori di calcolo, aveva lasciato fuori (da fascisti del MSI trasformatosi in due giorni in Alleanza Nazionale, ai seguaci di Bossi).

L’anticomunismo alimentato per anni, neanche Agnelli lo poteva cancellare di colpo: vari capitalisti e dirigenti hanno percepito chiaramente che la vittoria del Polo progressista avrebbe comunque suscitato attese, entusiasmo e “pretese” tra i lavoratori, non erano sicuri di poterli controllare, ritenevano che sul piano immediato avrebbero avuto dei problemi e hanno vissuto la campagna di Berlusconi come la loro campagna.

Così è successo che lo schieramento che “non doveva vincere” le elezioni è riuscito ad avere la maggioranza elettorale. La soluzione montata “all’ultimo momento” da un outsider, da un incursore, da un avventuriero, da un guastafeste, dall’amico delle vittime di Mani Pulite, ha avuto la meglio.(13) Sullo Stato italiano della borghesia imperialista è calata una maggioranza di tipo particolare, un ceto politico che non è nuovo, ma non è nemmeno assimilabile a quello del regime DC: è il risultato e la manifestazione della decomposizione di quel regime. La maggioranza di Berlusconi è sì piena di riciclati, ma è effettivamente nuova rispetto all’eventuale maggioranza del Polo progressista (Berlusconi/Ciampi, Pivetti/Napolitano, Scognamiglio/Spadolini che era notoriamente morente, Occhetto-Segni/Fini-Bossi).

Si tratta però di una maggioranza elettorale cui non corrisponde, né verosimilmente corrisponderà, un appoggio maggioritario di “quelli che contano” in un paese capitalista: del “mercato”, ossia degli esponenti del mondo finanziario italiano ed estero. Ora è D’Alema, succeduto a Occhetto dimissionato, che ripete contro Berlusconi quello che nel 1947 De Gasperi ricordò a Togliatti (e che Berlinguer nel 1973 riespose in altri termini al PCI): per governare un paese capitalista non basta avere la maggioranza elettorale, bisogna avere la fiducia dei finanzieri, dei banchieri e dei grandi capitalisti.

Berlusconi ora dovrebbe dimostrare ai re della finanza che la coalizione stretta attorno a lui è capace di imporre alle masse popolari italiane “lacrime e sangue” meglio di quanto ci potevano riuscire Occhetto e i suoi. In sintesi: che lui, meglio di Occhetto, è capace di togliere ai pensionati per dare ai rentiers. Se ci riuscirà, la grande borghesia imperialista scoprirà in Berlusconi il suo messia e la soluzione Occhetto sarà affossata per sempre. Ciò potrà allargare il seguito di Berlusconi tra la borghesia imperialista, ma non risolverà il problema che essa ha di darsi un nuovo regime politico: lo impediscono sia gli acuti contrasti tra gruppi imperialisti generati dalla crisi economica in atto sia la crescente resistenza delle masse popolari al procedere della stessa crisi. Perciò tutti i fattori generali di crisi politica, che in questi anni rendono instabile ogni regime politico della borghesia imperialista, agiranno ora contro governo Berlusconi. Essi si combineranno con i fattori specifici che caratterizzano il nostro paese.

Ovviamente i protagonisti dell’“operazione Agnelli” in questo caso dovranno arrangiarsi e non è detto che lo facciano di buona grazia. Occhetto, spiazzato dal fiasco elettorale, si è dimesso da segretario del PDS, ma trama il ritorno in grande. Di Pietro e i magistrati che più si sono esposti nell’operazione “Tangentopoli” si trovano scoperti: o gettano sul piatto dello scontro politico la loro popolarità (vedi la risposta al Decreto Biondi salvatangentisti) rischiando il tutto per tutto o rischiano la liquidazione.

Se Berlusconi si dimostrerà incapace di fare alla borghesia imperialista il servizio di cui essa ha bisogno dal suo governo, Berlusconi verrà in un modo o nell’altro sostituito, per via elettorale o parlamentare se sarà possibile, o altrimenti: l’Italia non è una “repubblica delle banane”, ma c’è sempre una prima volta!

La maggioranza di Berlusconi è schiava di contraddizioni interne difficilmente componibili. Forse neanche un periodo abbastanza prolungato di rilancio economico taglierebbe l’erba sotto i piedi a Bossi allontanando il suo composito seguito dall’idea di poter risolvere meglio i loro problemi una volta che fossero diventati padroni in casa propria (federalismo, autonomia o secessione). Infatti un improbabile evento del genere (prolungata ripresa economica) provocherebbe altre contraddizioni nelle regioni in cui Bossi ha ora il suo seguito (afflusso di immigrati, ecc.). Fini d’altro lato è portatore del progetto di un forte governo centrale capace di ridare alla borghesia imperialista prestigio presso le masse e prosperità: ciò renderà ancora più acute alcune contraddizioni interne e internazionali già oggi vivaci (esempio: Fiume, Slovenia, Trattato di Osimo) e quindi alimenterà la crisi politica.

Insomma tutto fa ritenere che con il governo Berlusconi è iniziata una fase movimentata della disgregazione e della putrefazione del regime DC. Esso non è il successore del regime DC, ma rappresenta il fallimento del primo tentativo della borghesia imperialista di dare un successore al regime DC.

 

NOTE

 

1. Si pensi alla Coltivatori diretti, alla combinazione di cooperative, casse rurali e banche popolari, alla Federconsorzi, all’estensione delle prestazioni INPS ai coltivatori diretti (1953), agli artigiani (1959), ai commercianti (1966), ecc.

2.  Nel luglio del 1981 venne avviata la separazione della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro (il cosiddetto “divorzio”): la Banca d’Italia venne esonerata dal l’obbligo di acquistare i BOT che il Tesoro non riusciva a vendere ad altri, fermo restando la possibilità del Tesoro di finanziare le sue spese indebitandosi col conto corrente che esso ha presso la Banca d’Italia (rientrando ogni fine mese dallo scoperto). Nel gennaio del 1983 la Banca d’Italia rifiutò al Tesoro 8.000 miliardi di lire che il Tesoro chiedeva. La pratica di “divorzio” è tuttora in corso, benché la separazione sia via via diventata maggiore.

3.  Virgillito, Sindona, Calvi, Gardini, Caltagirone, Ligresti, ecc.: finanzieri e impresari “fioriti” per così dire dal nulla nel corso degli anni ‘70 e ‘80.

4.  L’incidente di Sigonella: nel 1984 il governo Craxi impedì al governo USA di arrestare, nella base di Sigonella (Siracusa), il dirigente palestinese che esso accusava di essere responsabile del sequestro della nave da crociera Achille Lauro.

5.  Mondadori, Mammì, Enimont: lo scontro per la proprietà del grosso gruppo editoriale Mondadori tra De Benedetti e Berlusconi (vinse Berlusconi), lo scontro per il monopolio delle televisioni (vinse Berlusconi), lo scontro per il possesso delle industrie chimiche italiane (perse Gardini).

6.  In particolare si rivelava impossibile togliere alla DC il potere per via elettorale. Per quanto si facesse e per quante ne combinasse, la DC vinceva le elezioni grazie al meccanismo collaudato nei quarant’anni di governo. Le vinse anche nel 1992, quando il potere le venne tolto con l’operazione Mani Pulite.

7.  Nell’aprile del 1992 il CAF vinse le elezioni. Andreotti doveva diventare presidente della repubblica e Craxi presidente del Consiglio. Furono entrambi fermati con un’operazione extraparlamentare (un “colpo di Stato”) attraverso incriminazioni giudiziarie per fatti esistenti da anni e noti da anni a tutta la classe dirigente.

8.  Personaggi che in un modo o nell’altro, chi ricattando, chi investigando, chi conducendo istruttorie “rompevano” e furono o eliminati o convinti in altro modo a lasciar perdere.

9.  I precedenti di eliminazione “extra legem” di avversari politici, di governanti e di luogotenenti fattisi pericolosi o esigenti abbondano: da Piccioni (Italia), a Brandt (RFT), a Kennedy, a Nixon, a Carter (USA), a Noriega (Panama), a Ngo Dihn Diem (Vietnam del Sud), a Syngman Rhee (Corea del Sud), ecc.

10.  Le tappe sono state, per sommi capi, la dimissione di Natta e l’elezione di Occhetto a segretario del PCI (1987), il discorso della Bolognina (1989), il 19° Congresso del PCI (1990), il 20° Congresso del PCI (di scioglimento) e di fondazione del PDS con la conferma di Occhetto a segretario (1991).

11.  La campagna di delazioni, organizzata dal PCI negli anni 1978-1980 nelle fabbriche del Nord contro le Brigate Rosse con la compilazione delle liste dei compagni di lavoro sospetti, ha lasciato uno strascico profondo.

Le operazioni truffa, tipo quella che diede inizio al blocco dei cancelli della FIAT nel 1980, illustrata da Sabatini, segretario della CGIL-Piemonte, sul Manifesto del 19 gennaio ‘94, sono note agli operai e lasciano tracce profonde. Scrive Sabatini: “La FIAT affisse nelle bacheche l’elenco di chi sarebbe andato in cassa integrazione. Questo avvenimento provocò la rabbia dei lavoratori, aprì il pericolo di un’entrata di cassaintegrati esasperati negli stabilimenti e consigliò al sindacato che era conveniente decidere il blocco dei cancelli per evitare quel pericolo”.

12.  Nel senso che non ne aveva meno di quanto ne avessero i fautori del Polo progressista. Che poi alcuni di questi (Agnelli, ad es.) non abbiano voluto giocare tutte le carte sul Polo progressista, ciò fa parte della debolezza della borghesia imperialista. Attribuire la vittoria di Berlusconi alle sue TV è falso e fuorviante.

13.  Ma questo è un rischio oggi presente in molti paesi imperialisti ed è indice della crisi politica in atto: si pensi a Perot negli USA, a Tapie in Francia, alle elezioni del 5 novembre del ‘94 negli USA.

 


 

 

La putrefazione del regime DC

(da Rapporti Sociali n. 17/18, autunno 1996)

 

- Prosegue la putrefazione del regime democristiano. È l’aspetto specifico al nostro paese della crisi dei regimi politici dei maggiori paesi e del sistema di relazioni internazionali instaurati dalla borghesia imperialista alla fine della prima crisi generale del capitalismo (1910-1945). Crisi politica che è un aspetto della seconda crisi generale del capitalismo in corso dalla metà degli anni ‘70.

- A partire dalla metà degli anni ‘70, il regime DC ha attraversato prima la fase dei “governi di solidarietà nazionale” (1975-1982), poi la fase dei “governi del CAF” (1982-1992) e infine è entrato nel 1992 nella fase della sua putrefazione che corrisponde all’accelerazione della eliminazione delle conquiste strappate dalle masse popolari nel periodo della costruzione del “capitalismo dal volto umano” (1945-1975) e all’acuirsi dei contrasti tra gruppi imperialisti. Nel ‘96 col governo di Prodi, vecchio boiardo DC, è arrivata in porto l’“operazione Agnelli” di ricambio della DC iniziata alla fine degli anni ‘80. L’“operazione Agnelli” non ha rimosso nessuna della cause reali della crisi politica della borghesia imperialista italiana, quindi non segna l’inizio di una nuova fase di stabilità politica, ma un ulteriore passo avanti della putrefazione del regime DC.

- I problemi della mobilitazione rivoluzionaria e della mobilitazione reazionaria delle masse in questa fase.

 

Con le elezioni del 21 aprile 1996 e l’insediamento il 18 maggio del governo Prodi, già uno dei massimi dirigenti DC del settore economico statale (IRI) nella fase della sua eliminazione, si è conclusa la liquidazione del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), ultima incarnazione (1982-1992) del regime DC con cui la borghesia imperialista ha governato l’Italia a partire dalla conclusione della seconda guerra mondiale. Il CAF venne spodestato dopo che aveva vinto le elezioni del febbraio ‘92 (elezioni che dovevano condurre Andreotti alla presidenza della Repubblica e Craxi alla presidenza del governo). Una consistente coalizione di gruppi imperialisti (italiani e no) capeggiata da Agnelli lo cacciò dal potere per via extraparlamentare (dato che risultava impossibile cacciarlo per via parlamentare), lanciando la magistratura (inchieste Manipulite e Mafia) contro i suoi maggiori esponenti in una cornice di losche manovre (eliminazione di Salvo Lima, di Falcone, ecc.) che si aggiunsero alle tante sulle quali verrà fatta pienamente luce solo quando la classe operaia s’impadronirà del potere rompendo con gli interessi e i gruppi imperialisti, italiani e stranieri, che le hanno condotte e con i loro esecutori e agenti che comprendono la gran parte dell’apparato propriamente statale. L’“operazione Agnelli” mirava a sostituire alla DC una coalizione basata sull’ex PCI, opportunamente trasformato in PDS (l’annuncio dello scioglimento del vecchio PCI fu dato da A. Occhetto alla Bolognina nel 1989) e depurato di alcuni elementi che, altrettanto opportunamente, hanno creato il PRC (Partito della Rifondazione Comunista) che tiene ancorata al regime quella parte del vecchio PCI (struttura di partito ed elettori) che non avrebbe comunque seguito Occhetto e D’Alema nel loro nuovo ruolo. All’“operazione Agnelli” avevano spianato la strada, oltre alla estromissione extraparlamentare del CAF nel ‘92 (nomina a capo del governo di Amato, traditore di Craxi, e a presidente della Repubblica di Scalfaro, un notabile DC buon frequentatore di casa Agnelli), la buona prova data dai governi Amato e Ciampi nella liquidazione delle conquiste dei lavoratori, prova sintetizzata negli accordi a tre (Governo-Confindustria-Coalizione dei sindacati di regime) del 31 luglio ‘92 e del 23 luglio ‘93. Nell’intenzione di Agnelli e dei suoi consiglieri, la costituzione del nuovo governo basato sul PDS doveva concludere la transizione e dare stabilità al nuovo assetto. Le elezioni del 27 marzo ‘94 dovevano consacrare il nuovo governo. II tentativo inciampò invece nel fiasco elettorale del 27 marzo ‘94.(1)

L’“operazione Agnelli” aveva troppi avversari. Contro di essa non si battevano solo quegli uomini politici del vecchio regime DC che l’“operazione Agnelli” sacrificava e i titolari di interessi economici cresciuti grazie al CAF e lasciati anch’essi fuori dall’operazione, dalla Fininvest di Berlusconi lanciata dalla Legge Mammì alle imprese di Riina, di Alfieri, ecc., fino a una diffusa rete di interessi di cui il caso Rostagno forse rivelerà nuovi lati. Probabilmente non erano state date adeguate garanzie neanche agli esponenti della strategia della tensione, della guerra sporca contro le BR e di quelle altre operazioni (un esempio è la strage di Ustica) che con i loro legami di complicità e di omertà costituiscono una rete che si estende a gran parte dell’apparato propriamente statale e oltre. Inoltre i contrasti e la diffidenza tra i gruppi imperialisti erano forti, gli appoggi internazionali incerti e divisi. La posizione dei vari potentati dello Stato USA e del Vaticano era di attesa. In una parola: la borghesia imperialista era troppo divisa al suo interno.

D’altra parte il malcontento tra le masse popolari era diffuso e profondo e la nuova coalizione non poteva mettersene alla testa e indirizzarlo con forza contro il vecchio gruppo dirigente del regime. Data l’incertezza diffusa nella borghesia, Occhetto in piena campagna elettorale del ‘94 dovette spendersi più ad assicurare gli uomini della finanza che a denunciare il CAF e le sue malefatte. Peraltro mettersi alla testa del malcontento popolare e indirizzarlo contro il CAF portava inevitabilmente a esporre anche i mandanti del CAF, cioè la borghesia finanziaria, il Vaticano e lo Stato USA, insomma lo stesso ambiente che era diviso tra promotori dell’“operazione Agnelli”, sostenitori più o meno convinti e oppositori, cioè l’ambiente da cui invece la nuova coalizione doveva ottenere il mandato. In una parola, l’egemonia della borghesia imperialista sulle masse popolari era debole.

Il governo Berlusconi costituito dopo le elezioni del 27 marzo ‘94 aveva il suo nucleo duro negli interessi strettamente legati al CAF e colpiti dall’estromissione del CAF dal governo. Esso si affrettò tuttavia a presentarsi come l’inizio di un nuovo assetto politico che sarebbe durato a tempo indeterminato, la seconda repubblica. Per alcuni mesi tutti i gazzettieri del regime (e gli esponenti dei gruppi economicisti che ne subiscono l’influenza) cantarono le lodi o denunciarono le fosche prospettive di una creatura che viveva solo nella propaganda di Berlusconi (una “realtà virtuale”, direbbero nel loro linguaggio), la seconda repubblica appunto.(2)

In realtà l’avvenire del governo Berlusconi era sospeso a un interrogativo. Sarebbe riuscito a tenere a bada le masse popolari, togliendo loro senza suscitare guai quanto restava delle conquiste strappate nel periodo 1945-1975? Sarebbe cioè riuscito a realizzare il programma comune di tutti i gruppi imperialisti? Se il governo Berlusconi fosse riuscito nel proposito di accelerare la liquidazione delle conquiste (le pensioni in primo luogo), la sua sopravvivenza per un certo periodo sarebbe stata assicurata perché i suoi sostenitori nella classe dominante sarebbero aumentati e si sarebbero fatti più convinti d’aver trovato l’uomo giusto e i suoi oppositori avrebbero dovuto cercare altre strade per far valere i propri interessi. Sulla spartizione del settore statale dell’economia e sull’“economia malavitosa” si sarebbe dovuto arrivare ad un accordo sulla base dei nuovi rapporti di forza politica.

Di mese in mese, tra l’aprile e il dicembre del ‘94, il governo Berlusconi collezionò invece una serie di colpi che lo condussero rapidamente a ingloriosa fine. Anzitutto una parte dei suoi sostenitori diffidava di Berlusconi e pretese una liquidazione immediata dei procedimenti giudiziari a suo carico. Se l’operazione fosse riuscita, avrebbe anche assicurato Agnelli & C. che il CAF non intendeva impugnare a sua volta le armi della magistratura contro di loro. Ma il tentativo di chiudere l’operazione giudiziaria Mafia, affidata nelle mani di Sgarbi, Maiolo e Pannella, non riuscì neppure a decollare. Il tentativo di chiudere l’operazione giudiziaria Manipulite (Sanatoria Biondi) diede agli avversari di Berlusconi l’occasione di coalizzare il favore popolare e divise i suoi sostenitori. Infatti le componenti nuove del Polo della Libertà, Lega Nord e Alleanza Nazionale, non potevano sacrificare una parte cospicua del proprio seguito elettorale al Nord mettendosi apertamente contro i magistrati di Manipulite a sostegno degli inquisiti. Queste operazioni giudiziarie devono si essere fermate e liquidate per evitare che per forza di cose dilaghino oltre i termini ad esse fissati (le incursioni di magistrati e di poliziotti in casa FIAT e in Mediobanca sono stati brutti segnali), ma non potevano essere fermate dagli inquisiti impersonati da Berlusconi stesso. II vecchio Agnelli e la sua corte dovettero persuadersi ancora di più di avere ragione: ci voleva un governo “nuovo” per l’Italia.(3)

L’assalto del governo Berlusconi al sistema pensionistico, non concordato con la coalizione dei sindacati di regime, convinse definitivamente i membri della classe dominante già avversari di Berlusconi o suoi tiepidi sostenitori e anche qualcuno dei suoi sostenitori. Berlusconi, lungi dal saper tenere a bada le masse, era l’uomo capace di dare alle masse dei capi e dei centri di mobilitazione. Gli stessi sindacalisti “bersagli per bulloni” nelle piazze nel settembre ‘92, nel novembre ‘94 poterono infatti porsi alla testa di un’imponente mobilitazione delle masse che ebbe il suo punto più alto nella manifestazione del 12 novembre a Roma. Dalle manifestazioni del 25 aprile a quella del 12 novembre ‘94 fu evidente che il governo Berlusconi creava condizioni che favorivano l’aggregazione, l’attivismo e la mobilitazione delle masse e la conflittualità nelle fabbriche e nel paese. Esso infatti creava una momentanea confluenza tra i vari strati delle masse malcontente e le organizzazioni sindacali e politiche del regime che per la storia del nostro paese hanno con le masse legami tradizionali e canali di centralizzazione e mobilitazione. Insomma univa le masse nell’opposizione al governo offrendo ad esse capi storici nella persona dei suoi avversari.

II vecchio Agnelli e la sua corte ebbero buon gioco a far valere la loro tesi: “Per fare una politica di destra ci vuole un governo di sinistra”. È vero che nel corso del ‘94 i candidati a questo governo di sinistra si sbracciarono più per far conoscere agli italiani “la sfiducia dei mercati”, cioè dei finanzieri nazionali e internazionali, nel governo Berlusconi che per unire, rafforzare e mobilitare la sfiducia delle masse nello stesso governo. Ma è un fatto che la sfiducia delle masse popolari nel governo Berlusconi era scontata e al momento (data l’assenza di un vero partito comunista e data la storia del nostro paese) non poteva trovare altra rappresentanza politica che nei partiti borghesi della sinistra. Bossi si prestò volentieri all’operazione di eliminare Berlusconi: la stabilità del governo non conveniva neanche a lui.

Il governo Dini venne insediato il 17 gennaio ‘95. Il capo del nuovo governo era un uomo di fiducia degli ambienti finanziari internazionali e nazionali, benché i finanzieri italiani avessero preferito Fazio a lui nel ‘93, quando Ciampi venne trasformato da governatore della Banca d’Italia in capo del governo. Berlusconi lo aveva tolto dal posto di secondo alla Banca d’Italia dove era rimasto e lo aveva fatto suo Ministro del Tesoro, contando cosi di rafforzare le proprie alleanze nel mondo della finanza.

Alla caduta di Berlusconi, il posto di nuovo capo del governo venne attribuito proprio a lui nell’intento di costruire una coalizione più ampia di quella con cui era stato tentato il ricambio nel ‘94. La politica delle larghe intese era l’ovvio ripiego dopo il fiasco del 27 marzo ‘94. A questa politica dovettero il loro posto anche altri esponenti del governo Dini, non ultimo Filippo Mancuso che poi si rivelò un pessimo acquisto, nominato Ministro della Giustizia nel nuovo governo.

II governo Dini fu di fatto un governo delle larghe intese, che doveva facilitare l’“operazione Agnelli” e in questo ha avuto successo. Il PDS diede ulteriore prova della sua capacità, assieme alla coalizione dei sindacati di regime, di impedire che la resistenza delle masse al procedere della crisi diventasse un serio problema generale di ordine pubblico. Il PRC dimostrò a più riprese e con vari sotterfugi di essere disposto a sostenere l’“operazione Agnelli” pur dichiarandosene fiero oppositore. La prova più chiara di tutto ciò fu il taglio del sistema pensionistico, passato grazie al PDS e all’astensione di metà degli uomini che PRC aveva portato in Parlamento: il ruolo di opposizione del PRC venne salvaguardato dalla loro uscita dal gruppo parlamentare PRC. Un altro successo del governo Dini è quello di avere evitato che la destra prendesse la direzione del malcontento delle masse popolari. Facilitato in ciò sia dalla debolezza dei legami di massa della destra nel nostro paese una volta che si escluda da essa la Chiesa cattolica (il Vaticano), sia dalle esitazioni di tutti i gruppi di destra a imboccare decisamente la strada della mobilitazione reazionaria delle masse. La borghesia italiana ha già fatto un’amara esperienza di mobilitazione reazionaria col fascismo: una mobilitazione reazionaria che si rovesciò in una mobilitazione rivoluzionaria quale mai essa aveva prima conosciuto, con la classe operaia prossima al potere come non lo era mai stata prima, con un pericolo per salvarsi dal quale non le parve troppo grave consegnarsi mani e piedi legati al governo di Washington e al Vaticano.

Ma il governo Dini non poteva essere che un governo di transizione verso un vero governo dalle larghe intese. La coalizione dell’Ulivo che inglobava Dini e stringeva un patto con il PRC doveva essere lo strumento per costituirlo.

Il nuovo governo Prodi ha tuttavia ottenuto un’investitura elettorale risicata. Anche ciò conferma la persistenza della crisi politica. I contrasti tra i gruppi imperialisti e la perdita di prestigio e di autorevolezza della borghesia imperialista tra le masse confluiscono a far sì che questa non sia più in grado di indirizzare il voto popolare. Non le resta da una parte che restringerne gli effetti e l’importanza. Strada sulla quale si è già incamminata con il passaggio dal sistema proporzionale al maggioritario (referendum Segni), con il ruolo di potere politico di ultima istanza attribuito di fatto al Presidente della repubblica (non è un caso che tutti i tentativi di chiamare Scalfaro in causa per il ruolo da lui svolto nel regime DC - scandalo SISDE, ecc. - sono andati a vuoto), con la modifica dei regolamenti delle Camere, con la soppressione del voto segreto dei parlamentari, con la maggiore esposizione dell’immunità parlamentare all’arbitrio della maggioranza, con l’uso e l’abuso dei decreti e della reiterazione dei decreti, con la pista preferenziale per la legge finanziaria, ecc. Seguiranno altri passi. La borghesia deve evitare che il malcontento delle masse si rifletta e trovi udienza, cassa di risonanza e tribuna nelle istituzioni e diventi strumento di ricatto dei gruppi imperialisti all’opposizione contro la maggioranza di governo. Questa sarà una delle linee direttrici delle riforme istituzionali che si preparano. Dall’altra parte la borghesia imperialista farà quanto le sarà possibile per impedire che le masse trovino il portavoce dei loro interessi nel nuovo partito della classe operaia, nel nuovo partito comunista. Se non basteranno l’attacco preventivo su grande scala già in atto alla sua ricostruzione, la denigrazione sistematica dell’operato del movimento comunista internazionale e della lotta popolare contro il fascismo (dal “Triangolo della morte” siamo già arrivati alle Foibe), passerà a misure più dirette.

Quanto al programma effettivo che il governo Prodi cercherà di attuare verso le masse, in campo economico esso è chiaramente tracciato: spremere dalle masse più possibile (“eliminazione rapida delle conquiste strappate dalle masse popolari nel periodo 1945-1975”, l’abbiamo chiamata), cercare mezzi e sotterfugi per far fronte allo squilibrio finanziario che è la forma assunta dalla crisi economica,(4) gettare nel calderone della crisi quanto resta del settore statale dell’economia (privatizzazioni STET, ENEL, ENI, aziende municipalizzate, patrimonio edilizio pubblico, ecc.). In campo più strettamente politico l’acuirsi delle contraddizioni e la crisi culturale si tradurranno in misure politiche oppressive e repressive. Tutte le velleità riformatrici del governo Prodi si tradurranno in un accumulo di leggi e norme che l’Amministrazione Pubblica, che resta servilmente succube ai ricchi e ai potenti come il governo resta servilmente succube al governo di Washington, trasformerà in ulteriori vessazioni per la gente comune. Nuovi divieti e obblighi, nuovi controlli e nuova repressione si aggiungeranno a quelli già esistenti. Ogni riforma del governo Prodi in realtà si tradurrà in nuove pene e aumento dell’interferenza della polizia e degli organi statali contro una parte o l’altra delle masse popolari. Come la lotta alla “criminalità organizzata” si è tradotta in vessazioni e angherie contro la massa della popolazione, in procedure e certificati antimafia , nella drastica riduzione dell’attività produttiva e nella esposizione al fuoco e alle auto delle scorte e delle pattuglie: insomma in uno stato d’assedio non dichiarato per la gente comune di intere regioni. II nuovo capo della Procura di Napoli, Stefano Trapani, non ha già proposto di abbassare da 14 a 12 anni il limite per poter mandare in galera i ragazzi? Non c’è stata né è nei programmi del governo Prodi alcuna epurazione dello Stato; quindi tutti gli interessi, tutto il malaffare, tutte le trame, tutta la delinquenza e la guerra civile strisciante tra gruppi imperialisti continuerà a trovare nello Stato portavoce, protettori e agenti. Ogni nuova legge si tradurrà unicamente o principalmente in nuove angherie contro le masse, senza intralciare più che tanto traffici e collusioni: si tratta della libera circolazione dei capitali e del libero mercato!(5) Il federalismo fiscale nella misura in cui sarà attuato si tradurrà in un aumento della rapina fiscale attuata dai comuni e dalle regioni anziché dall’amministrazione centrale. Resta da vedere quanto questo governo contribuirà ad approfondire le divisioni e le contrapposizioni tra le masse e quindi ad aprire la strada alla mobilitazione reazionaria delle masse. Ogni “riforma” della televisione, della scuola e in campo culturale fatta dal governo Prodi dovrà sottostare al bisogno di riempire le redazioni e le cattedre di amici comperati e venduti, perché deve impedire che chi parla a migliaia e a milioni di persone dia voce o faccia eco al malcontento e alla sete di giustizia diffusi tra le masse popolari. La televisione (non importa se pubblica o di Berlusconi) continuerà ad essere quell’impasto di miliardi e di abusi sessuali su cui le inchieste Boncompagni, Baudo e Merola hanno aperto qualche spiraglio destinato a chiudersi presto per chi accetterà la nuova spartizione.

Quanto ai gruppi imperialisti, il governo Prodi sta facendo un serio sforzo per comporre i dissidi con Berlusconi. Non solo cerca di porre fine alla “persecuzione giudiziaria” contro Berlusconi & Co come già abbiamo illustrato, ma con la proposta di legge Maccanico (della stessa famiglia politica e massonica di Mammì) ha già promosso la conferma dell’impero Mediaset, che lo stesso governo di propria autorità ha già ammesso alla quotazione in Borsa, con grande sollievo per le casse del cavaliere Berlusconi che potrà rastrellare risparmi e capitali da aggiungere ai prestiti ottenuti dalle banche. L’impero creato con i soldi della Mafia in connivenza con Craxi è salvo. Ma le privatizzazioni STET, ENEL, ENI, ecc. sono un boccone tale da portare alla rissa generale. Chi avrà in mano il governo, potrà mirare a operazioni rispetto alle quali apparirà poca cosa quella dell’Alfa Romeo conclusa da Agnelli con Craxi (con Prodi presidente dell’IRI). Già oggi il governo Prodi ha sì assopito, al prezzo sopra indicato, la contrapposizione tra Polo e Ulivo, ma i due schieramenti si stanno entrambi disgregando in una mischia generale.

Nell’attuazione di questo programma il governo Prodi si scontrerà con la resistenza delle masse popolari e con la guerra in atto tra i gruppi imperialisti. Ciò rende questo governo fragile. La sua durata è sospesa a un filo. Se Berlusconi aveva proclamato la seconda repubblica, Prodi ha proclamato il governo quinquennale: l’appetito e i desideri sono più grandi della realtà.

La storia del governo Prodi e il suo approdo avranno un ruolo decisivo circa le sorti future del PRC. Il governo Prodi è nato, fin dalla fase elettorale, con l’appoggio determinante del PRC. Quale è il ruolo del PRC nella maggioranza governativa?

1. Ottenere dal governo dichiarazioni e frasi consolatorie rispetto alle sofferenze dei lavoratori e delle masse popolari, promesse di interventi per risolvere il problema dei lavoratori, in primo luogo l’occupazione, iniziative diversive. Esemplare è la pressione esercitata dal PRC sul governo a giugno con il voto contrario nelle Commissioni parlamentari: si è tradotta in frasi d’impegno a favore dell’occupazione inserite dal governo nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF - approvato dalle Camere il 27 giugno) e nell’impegno a convocare a fine settembre una Conferenza Nazionale sull’Occupazione. Stante la recessione in arrivo, la Conferenza sarà di grande aiuto ai lavoratori, non c’è da dubitarne!

2. Ottenere dal governo misure pratiche che ridurranno, dopo trattative, interventi e minacce del PRC, la rapina ai danni dei lavoratori dal 100 annunciato a 80 o 50 (come già oggi avviene nelle aziende: i padroni che vogliono rapinare 50 annunciano 100 che riducono a 80 o 50 cedendo alle “pressanti richieste” dei sindacati di regime).

Comunque questo ruolo del PRC non mancherà di suscitare contrasti al suo interno e contrasti tra PRC e PDS e sindacati di regime.

Quanto alla Lega Nord, il governo Prodi le lascia il ruolo invidiabile di unico partito di opposizione. Parti crescenti della classe dominante guardano con attenzione alla Lega Nord (e agli altri tentativi eversivi dell’attuale ordinamento sulla cui sopravvivenza nutrono dubbi crescenti).(6)

La classe operaia e i suoi portavoce, i comunisti, hanno quindi già perso la partita? No, è solo che i tempi delle decisioni si stringono. Solo una lotta senza quartiere contro il governo Prodi con l’obiettivo del socialismo possono portare la classe operaia e i comunisti alla vittoria in una guerra che si approfondisce giorno dopo giorno. Dopodomani dirigerà chi avrà davvero posto termine al regime DC oramai in decomposizione. Il “meno peggio” porta invece ogni giorno di più al peggio. Ogni sacrificio che passa apre la strada ad altri sacrifici e a una maggiore disperazione e corruzione, favorisce la mobilitazione reazionaria.(7) Ma ogni lotta di difesa può invece essere vinta se si creano abbastanza problemi al governo. Un governo che trova 4.000 miliardi per il Giubileo e le migliaia di miliardi buttati per compensare quelli “sfumati” nel Banco di Napoli, può trovare i miliardi necessari per tappare ogni singolo buco creato dalle “leggi del mercato”. In questi mesi il governo francese ha trovato addirittura 30.000 miliardi di lire per compensare quelli fatti “svanire nel nulla” da un’altra banca, il Credit Lyonnais. Tanto poco sono ferree le leggi del mercato! (8)

La difesa delle conquiste dei lavoratori divide sempre più nettamente le forze politiche in tre gruppi. Chi è per l’abolizione o la riduzione (il fronte che va dal PDS fino ad AN). Chi vorrebbe salvare e magari anche ampliare le conquiste dei lavoratori, ma vuole anche mantenere il dominio dei capitalisti o, almeno, non fa nulla per eliminarlo (uno schieramento che comprende il PRC e i gruppi economicisti). Chi è per una difesa conseguente delle conquiste dei lavoratori quindi per la ricostruzione del partito comunista e per il socialismo. Infatti la difesa delle conquiste dei lavoratori, la difesa dei posti di lavoro esistenti e la conquista di nuovi, la conquista del diritto a vivere e a godere dei frutti del proprio lavoro possono affermarsi stabilmente solo se si ha il coraggio e la forza di trasformare il mondo di oggi, di buttare a mare l’attuale classe dominante e instaurare l’ordinamento per il quale si sono già battute generazioni di lavoratori, il socialismo.

 

NOTE

1.  Per un’illustrazione più dettagliata del l’“operazione Agnelli” e del fiasco del 27 marzo ‘94 rinviamo all’articolo il fiasco del 27 marzo 1994 in Rapporti Sociali n. 16.

 

2.  Non risulta che qualcuno dei vari gruppi economicisti, rivoluzionari e di sinistra che dal 1993 al 1995 hanno seguito i gazzettieri borghesi e hanno parlato e sparlato in giornali, riviste, conferenze e convegni di seconda repubblica, abbia a tutt’oggi riconosciuto apertamente il proprio errore di incomprensione del percorso reale del movimento politico del nostro paese e, il ché è più importante, abbia analizzato cosa li ha indotti in errore. Lenin diceva che riconoscere apertamente i propri errori e trarne insegnamento è una delle caratteristiche che distinguono un partito rivoluzionario e gli danno forza e prestigio. La storia del movimento comunista del nostro paese ha confermato ampiamente, in negativo, la tesi di Lenin. II gruppo dirigente revisionista del PCI non ha mai riconosciuto di avere sbagliato a pronosticare, dal 1945 al 1958, l’imminente crisi del capitalismo e di avere nuovamente sbagliato, dopo il 1958, a dichiarare che il capitalismo aveva definitivamente superato la sua storica malattia delle crisi. Sono ben pochi gli esponenti di gruppi marxisti-leninisti che hanno riconosciuto di avere sbagliato a disconoscere le conquiste che le masse popolari dirette dalla classe operaia venivano conquistando nel periodo 1945-1975 e quindi di aver travisato la natura della fase 1945-1975. Riconoscere di fronte alla classe operaia i propri errori e condurre un’analisi esauriente delle cause per cui si è caduti in errore, rafforza un partito rivoluzionario e alimenta la fiducia della classe operaia in esso. Sorvolare sui propri errori, nasconderli e offendersi quando qualcuno li ricorda, porta a vivacchiare opportunisticamente e a degenerare. Non è grave aver sbagliato: sbagliando si impara e spesso non c’è altra strada per imparare. È grave trascurare i propri errori e nasconderli, come bottegai che nascondono i difetti della propria mercanzia.

 

3.  Il governo Prodi si è accinto alla liquidazione dell’attacco giudiziario al CAF, che oramai ha raggiunto i suoi obiettivi, con ben diversa maestria. Di Pietro ha avuto un ministero fruttuoso di clientele e si è convinto che diventerà il prossimo capo del governo. Coiro, capo della Procura di Roma, è stato incastrato come si deve. Borelli, Vigna, Caselli verranno promossi e rimossi, se stanno al gioco; in caso contrario Napolitano provvederà a ridurre, togliere od opportunamente modificare le scorte per riportare il personale “ai compiti istituzionali” (e dio sa se ne occorre) e si mobiliteranno pentiti vecchi e nuovi perché dicano e rettifichino.

 

4.  Negli anni ‘80 la crisi generale del capitalismo trovò una momentanea valvola di sfogo nella “finanziarizzazione dell’economia”, cioè nella crescita sempre più rapida del capitale finanziario accanto al capitale produttivo di merci e come alternativa alla concorrenza distruttiva tra capitali per investirsi nella produzione di merci. Questo ha portato le dimensioni del capitale finanziario a livelli enormi. All’OCSE sostengono che il PIL complessivo dei 27 paesi membri (tutti i maggiori paesi imperialisti) nel 2000 sarà appena un terzo della massa di capitale finanziario circolante nelle Borse. Meno del 10% delle transazioni valutarie che avvengono quotidianamente nelle Borse corrisponde a transazioni commerciali (sono cioè fatte per pagare l’acquisto di merci: beni e servizi). La Banca d’Italia ha stimato che a fine dicembre ‘95 la ricchezza finanziaria degli italiani (titoli, azioni, depositi, moneta, ecc.) ammontava a 3 milioni di miliardi di fronte a un PIL stimato a 2 milioni di miliardi. Potremmo ammucchiare altri dati per confermare e illustrare il concetto. Da un certo punto in poi il capitale finanziario si è trasformato da valvola di sfogo alla crisi in forma specifica della crisi stessa. Questa ha assunto in tutti i paesi e a livello mondiale la forma dello squilibrio finanziario. Questo consiste esattamente nel fatto che è diventato impossibile remunerare con interessi tutta la massa di capitale finanziario accumulata. La non remunerazione di parti del capitale finanziario è diventata un fatto cronico che colpisce ora una parte ora l’altra delle varie frazioni del capitale (vedasi Equilibrio finanziario e risanamento finanziario in Rapporti Sociali n. 17/18 pag. 30).

 

5.  Si svolge in questi giorni (agosto ‘96) a Stoccolma la Conferenza Internazionale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, indetta dall’UNICEF. L’esplosione dello scandalo relativo al traffico e al massacro di bambini in Belgio (l’affare Marc Doutroux venuto a galla a causa dell’acuirsi dello scontro tra gruppi imperialisti, anche se per ora nessun ministro è ancora stato suicidato) dà maggior risalto al fatto. Ebbene, cosa propongono gli intervenuti, portavoce delle classi dominanti di quasi tutti i paesi del mondo? Aumentare le pene, aumentare i controlli, aumentare le polizie. Il governo della California ha preceduto tutti decretando la castrazione per i pedofili non in grado di comperare un buon avvocato e un compiacente magistrato. Insomma una serie crescente di pene e controlli che si eleverà continuamente perché essa stessa tutela la causa del male che pretende combattere. Gli USA costituiscono un esempio da manuale: più di un milione e mezzo di detenuti (più di sei detenuti ogni mille abitanti) e alcuni altri milioni di persone sottoposte ad altre limitazioni della libertà personale e una criminalità crescente che richiama pene e controlli più severi e più capillari contro la massa della popolazione. Il balzo avanti che hanno avuto la malavita e ogni genere di violenza nei paesi del vecchio campo socialista dopo il “glorioso ‘89”, il crollo del revisionismo moderno e il tuffo nel capitalismo, fa ben intuire da dove proviene il male che i capitalisti vogliono combattere con pene e castighi. È il caso di dire che ai piromani è affidato il compito di vigile del fuoco! Tutte le misure contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, se effettivamente adottate e attuate, saranno gestite dalle stesse classi dominanti di oggi, a tutela degli interessi che già le polizie tutelano: quelli dei trafficanti e dei violentatori di bambini, degli affari insomma. Nulla che attacchi alla base le cause del fenomeno: lo sfruttamento dei lavoratori, la precarietà della vita di milioni di famiglie povere che anzi sono, loro, additate come responsabili delle disgrazie dei figli, il dominio universale del denaro e del mercato, la libera circolazione dei capitali, la crisi culturale generata dalla crisi economica, il parassitismo di alcuni milioni di persone che vivono alle spalle degli altri senza lavorare, l’arbitrio padronale nel distribuire disoccupazione e miseria a chi non è “compiacente” e “comprensivo”. Meglio milioni di bambini violentati, storpiati e uccisi, che intaccare la sacralità del denaro, del capitale, del mercato. La limitatezza del tema della conferenza è di per sé significativa: perché contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, e non anche contro lo sfruttamento sessuale degli adulti (uomini e donne)? Perché contro lo sfruttamento sessuale e non contro lo sfruttamento tout court, benché in altra sede la stessa UNICEF abbia valutato a 70 milioni il numero dei bambini ridotti in schiavitù attualmente nel mondo? I comunisti hanno scritto semplicemente sulle loro bandiere “Abolizione di ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, “Nessuna libertà di sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, “Chi non lavora non mangia”, “Da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo le sue necessità”.

 

6.  L’onorevole Cito si è già distinto alla testa di contadini e agrari della zona di Battipaglia cui il governo Prodi (erede della patata bollente lasciatagli dai predecessori) vuole estorcere contributi arretrati. L’ex senatore Mensorio di Nola ha avuto il torto di suicidarsi o di lasciarsi suicidare: in caso contrario non gli sarebbero mancati appoggi.

 

7.  È esemplare e attuale (all’inizio di settembre ‘96) il caso dell’Olivetti. Di ristrutturazione in ristrutturazione sta arrivando alla liquidazione con le conseguenze immaginabili su decine di migliaia di famiglie. Dal canto suo invece l’ing. De Benedetti ha messo a segno un colpo quale non è mai riuscito né a Riina né a Berlusconi e di fronte al quale quello giocato dallo stesso De Benedetti al Banco Ambrosiano di Calvi è poca cosa (ma le operazioni di De Benedetti non sono “economia malavitosa”!). Alla fine del 1995 ha venduto, con un aumento di capitale guarda caso autorizzato dal Ministero del Tesoro (Dini), circa 2 miliardi di azioni Olivetti a 1.000 - 1.200 lire l’una, rastrellando 2.207 miliardi di lire (nel 1993 aveva rastrellato altri 950 miliardi, con la compiacenza del governo Ciampi che autorizzò l’operazione oltre che assegnargli il settore dei telefonini). Ora se vuole ricompera quelle azioni a 500 - 600 lire l’una, ma forse ha già altri affari in testa! Sembra che gli acquirenti del grosso delle azioni Olivetti (e quindi i principali derubati) siano stati Fondi Pensioni domiciliati a Londra, cioè società finanziarie con cui i capitalisti rastrellano e usano come capitale finanziario i risparmi conferiti da lavoratori in attesa di pensioni integrative. È un serio insegnamento sulla sorte che attende i risparmi dei lavoratori italiani che lo stesso Dini, con il taglio del sistema pensionistico, ha spinto verso la pensione integrativa! Forse al confronto anche gli sprechi e le ruberie dell’INPS appariranno poca cosa. Certamente quello di De Benedetti è stato un buon lavoro per aumentare presso gli investitori esteri la fiducia nell’“azienda Italia” per la quale gli stessi governi, protettori e soci di De Benedetti, chiedono sacrifici ai lavoratori. Chiaro perché a De Benedetti non andava bene il concorrente Berlusconi installato a Palazzo Chigi?

 

8.  A proposito del carattere soggettivo assunto dal denaro nell’ambito del capitalismo monopolistico di Stato, con la costituzione di un sistema monetario mondiale su base fiduciaria, si veda Rapporti Sociali n. 4, pag. 22 e 23.