Valorizziamo il contributo di Antonio Gramsci alla causa del comunismo

Onoriamo i nostri eroi
martedì 22 agosto 2006.
 

Onoriamo i nostri eroi

Valorizziamo il contributo di Antonio Gramsci alla causa del comunismo

Il 27 aprile cade l’anniversario della morte di Antonio Gramsci (1891-1937). Gramsci fu il primo e unico grande dirigente che ha cercato di fare del vecchio PCI il partito rivoluzionario della classe operaia (PMP pag. 75). Egli non ebbe un ruolo preminente nella fondazione del partito nel 1921. Dal punto di vista programmatico, promotore principale del partito fu l’Internazionale Comunista. Dal punto di vista organizzativo, il partito nacque per aggregazione delle correnti più avanzate del vecchio partito socialista, che però dovevano ancora “bolscevizzarsi”. Ma a partire dal 1924, a soli 33 anni, Gramsci per incarico dell’Internazionale Comunista assunse la direzione del partito e lo guidò al congresso di Lione (gennaio 1926). Le Tesi di Lione sono sua opera e hanno tracciato il percorso del partito durante la resistenza clandestina al fascismo.

Nel novembre ‘26, per espressa e insistente volontà del re, Gramsci fu arrestato dal regime fascista in flagrante violazione delle leggi allora vigenti e nel giugno del ‘28 fu condannato dal Tribunale speciale a più di 20 anni di prigione per associazione sovversiva (partito comunista): attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe. Benché già ammalato, Gramsci non si perse d’animo. Sostenuto in vario modo dal partito nonostante le divergenze, rifiutò sempre di presentare a Mussolini la domanda di grazia che il regime lo sollecitava a fare. Aveva solo 37 anni, era sicuro che il fascismo non sarebbe durato a lungo e sapeva che il partito non poteva essere diretto dal carcere. Sapeva però anche che il partito, nato per impulso dell’IC, mancava ancora della sua necessaria base teorica nazionale, cioè “corrispondente ai fatti economici, industriali ed agricoli che reggevano il paese e che è sempre nello stesso tempo anche la più coerente con le vere idee internazionali” (Engels). Era questa mancanza che permetteva che il bordighismo e altre concezioni non comuniste avessero tanta influenza nel partito. Gli era inoltre chiaro che “nella rivoluzione proletaria mondiale la classe operaia di ogni paese assolve un ruolo conforme alle sue particolarità storiche nazionali” (Lenin). Quindi dal 1929 si dedicò con accanimento, fin quando la malattia non gli tolse ogni forza, cioè fino al 1935, a definire quella comprensione della società italiana, della sua storia, delle sue contraddizioni e dei suoi rapporti con il resto del mondo che è indispensabile che il partito comunista possieda per dirigere la generale mobilitazione delle masse popolari italiane contro la borghesia imperialista nell’ambito della rivoluzione proletaria mondiale.

Monumento di questa sua eroica impresa sono i 32 Quaderni del carcere. Essi sono un patrimonio da cui il nuovo partito comunista non può prescindere, nonostante l’errore in essi presente che consiste nell’assegnare alle idee rivoluzionarie un ruolo nella mobilitazione delle masse superiore a quello dell’esperienza diretta che le masse fanno della lotta di classe (idealismo). Così come la sua resistenza al fascismo è stata e sarà un modello per tutti i comunisti, nonostante l’errore politico compiuto verso la fine del 1930 nell’avanzare la tesi della Costituente, cioè di una fase di passaggo tra il fascissmo e il socialismo. Questi errori hanno permesso a Togliatti e alla destra del vecchio PCI di stravolgere l’intera opera di Gramsci e di usarla per la loro sporca opera di corruzione del partito. Nonostante gli errori indicati, noi dobbiamo e dovremo sempre far tesoro del lavoro di Gramsci e opporci al travisamento di Togliatti, onorare la sua memoria e opporci a chi pone questo grande martire del movimento comunista italiano sullo stesso piano dei suoi dissociati (Bordiga).

Gramsci fu intenzionalmente ucciso da Mussolini che dispose personalmente che fosse privato dell’assistenza sanitaria di cui aveva bisogno e a cui le stesse leggi fasciste gli davano diritto, fino a quando fu sicuro che oramai era immobilizzato a letto e che la morte era vicina. Solo allora, nel 1933, Mussolini permise che gli fosse concesso il trasferimento in ospedale, poi (25 ottobre 34) la libertà condizionata, a cui Gramsci aveva da tempo diritto ai termini dell’art. 176 del Codice Penale e infine, il 21 aprile ‘37, la libertà per fine pena. Gramsci morì “di malattia” il 27 aprile ‘37.

Umberto C.


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