La Voce n. 22
marzo 2006 - anno VIII

L’invasione cinese

sabato 25 marzo 2006.
 

L’invasione cinese

Da tempo il capitalismo non è più in grado di convincere la massa della popolazione con le buone ragioni delle sue iniziative e dei suoi risultati. Le pretese dei capitalisti rendono ogni giorno più difficile la vita ai lavoratori e alle loro famiglie: contributi, tickets, imposte e multe in ogni campo; riduzione dei salari con aumenti dei prezzi e lavori peggio retribuiti; eliminazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro; eliminazione delle conquiste. Per vincere la resistenza dei lavoratori, i padroni e i loro portavoce (le pubbliche autorità) agitano spauracchi. Le delocalizzazioni ne erano uno; ma mettono in cattiva luce i padroni. Meglio le direttive europee e la concorrenza cinese.

Le direttive europee smantellano le conquiste dei lavoratori, eliminano le istituzioni che i lavoratori sono riusciti a imporre ai padroni per la propria protezione. Ma tutto il mondo sa che le direttive europee non cadono dal cielo. Le promuovono, formulano e approvano ancora i padroni. La Commissione Europea è una loro commissione di lavoro. La struttura e la burocrazia europee sono creature dei padroni. Negli anni 50 le hanno messe in piedi per combatte l’URSS e il movimento comunista. Oggi le usano contro i lavoratori e per la competizione e la collaborazione con la borghesia imperialista USA.

La concorrenza cinese invece verrebbe dall’altro mondo. Ma è vero che i padroni di casa nostra non c’entrano niente e sono anch’essi vittime della concorrenza cinese?

Anche gli ingenui si chiedono: perché i nostri padroni fanno passare le frontiere alle merci cinesi (e di altri paesi oppressi), mentre per fermare alle frontiere i lavoratori degli stessi paesi oppressi sono disposti persino ad annegarli (Lampedusa) e a sparargli (Centa).

Una risposta molto sintetica ma vera è che con le merci cinese (e degli altri paesi oppressi) fanno profitti se entrano; con i lavoratori cinesi (e degli altri paesi oppressi) fanno profitti tenendo sotto ricatto quelli che riescono a superare lo sbarramento.

Esaminiamo un po’ in dettaglio il caso della Cina, che è diventato lo spauracchio principale.

Fino al 1976 la Cina era un paese ancora molto povero, ma che preoccupava molto i padroni di tutto il mondo. Il livello di vita della popolazione era ancora molto basso, ma dal 1949, data di vittoria della rivoluzione, progrediva a grandi passi e, soprattutto, era tutta la popolazione cinese che progrediva. Nel campo dell’istruzione, della salute e dell’organizzazione della popolazione era all’avanguardia. Aveva resistito alle aggressioni, al boicottaggio e alle ostilità dei paesi imperialisti e dei revisionisti sovietici e dava il suo aiuto ai popoli e alle classi oppresse di tutto il mondo. Era un paese socialista. Per i popoli dei paesi oppressi la Cina era un modello e un faro.

La borghesia imperialista (il Vaticano e la borghesia italiana hanno svolto la loro parte) ha fatto tutto quanto poteva per far degenerare la Cina fino alla situazione attuale. La caratteristica della situazione attuale della Cina è che delle conquiste del socialismo alcune sono cancellate, altre (l’abolizione della rendita fondiaria, l’alto livello d’istruzione, ecc.) sono usate dalla borghesia imperialista e dalla nuova borghesia cinese per lo sfruttamento dei lavoratori cinesi. Questo, per intensità, crudeltà e barbarie, assomiglia da vicino a quello che subivano prima della ondata della rivoluzione proletaria. La natura del sistema imperialista è poi tale che l’ingresso della Cina in questo sistema di relazioni accentua la sua precarietà e aggrava i rischi di guerra.

L’attuale classe dirigente della Cina è costituita 1. da quella parte del vecchio partito comunista cinese che per anni, in particolare lungo il decennio 1966-1976 della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, ha lottato per indirizzare la Cina verso il capitalismo, 2. da rampolli dall’emigrazione reazionaria o borghese del 1949 che in questi anni hanno rimesso piede in Cina al seguito dei loro capitali, 3. dai borghesi che si sono sviluppati negli ultimi 30 anni. La destra del Partito Comunista Cinese (PCC), che si installò al potere con il colpo di mano del 1976, aggregò le sue forze attorno a una analisi e a un programma. In sintesi il discorso del suo più autorevole capo Teng Hsiao-ping (1904-1997), fu il seguente.

“Il movimento comunista ha molto aiutato la Cina a scuotersi di dosso l’imperialismo e il feudalesimo, ma ora è in decadenza in tutto il mondo. Non sappiamo se e quando rinascerà. Se noi manteniamo le sorti della Cina legate a quelle del movimento comunista, la sorte della Cina è segnata. La Cina economicamente è ancora molto arretrata. Non è in grado di sostenere, sostanzialmente da sola, senza significativi appoggi dal resto del mondo, la pressione della borghesia imperialista e dei revisionisti sovietici. Dobbiamo rinunciare a sostenere il movimento comunista internazionale e a svolgere il ruolo di retroterra mondiale della rivoluzione proletaria. Dobbiamo concentrare le nostre forze sullo sviluppo economico del nostro paese e farne un paese forte, ricco e rispettato. Altrimenti la Cina ritornerà al livello a cui era prima della rivoluzione. Noi tutti saremo rovesciati e la Cina diventerà nuovamente un paese semicoloniale. L’esperienza dei revisionisti sovietici insegna che a questo fine dobbiamo assicurare alti profitti e una ragionevole libertà d’iniziativa ai capitalisti stranieri e della diaspora cinese perché investano massicciamente in Cina, sollecitare i cinesi più intraprendenti, avidi e individualisti a creare essi stessi nuove aziende (“arricchitevi!” fu una delle parole d’ordine lanciate da Teng ai “giovani leoni” e ai “capitani coraggiosi” cinesi), sciogliere le comuni e le cooperative nelle campagne e abbandonare i contadini alla piccola produzione famigliare con libertà di commercio, ridurre le aziende pubbliche e indurre, con regolamenti e con la concorrenza interna ed estera, le superstiti a funzionare come aziende capitaliste: devono produrre profitti. Queste aziende pubbliche e la piccola produzione nelle campagne ci permetteranno comunque di dosare, nel tempo e da una zona a un’altra, il cambiamento delle condizioni economiche, politiche e culturali della popolazione, in modo che la resistenza, i disordini e la repressione non superino limiti tollerabili. Intanto si formerà una forte minoranza (una classe media) che godrà i benefici della nostra linea e legherà la sua sorte allo sviluppo economico e al rafforzamento internazionale della Cina. Solo quando la Cina sarà più ricca e più forte sarà possibile migliorare le condizioni generali della popolazione cinese”.

Era un discorso che andava bene non solo a chi aspirava ad arricchirsi personalmente, ma anche a tutti quelli che avevano poche o nessuna fiducia nella creatività e nell’iniziativa rivoluzionaria delle masse popolari, in Cina e nel mondo. Per chi ha una concezione borghese del mondo e la vista corta, quel discorso è convincente.

Che cosa c’è di realistico in esso? Cosa ha prodotto e cosa sta producendo?

Lasciamo perdere la promessa di migliorare le condizioni generali della popolazione cinese nel futuro. Essa vale come valeva un tempo la promessa del paradiso da parte dei preti. Da quando le masse popolari non sono più rassegnate e senza voce (cioè da quando è iniziato il movimento comunista), la borghesia promette un futuro paradiso in terra ogni volta che vuole imporre sacrifici oggi.

La borghesia imperialista del mondo intero ha accolto con entusiasmo il programma di Teng e ne ha appoggiato la realizzazione. Ma continua a chiedere una maggiore libertà di iniziativa. Da ingorda, vorrebbe una Cina semicoloniale. I capitalisti di tutto il mondo (compresi quelli italiani) hanno installato aziende in Cina, più che in tutto il resto dei paesi oppressi. Anch’essi sono a sfruttamento illimitato, ma sopravvivono innumerevoli anticaglie feudali, i lavoratori non sono altrettanto istruiti e l’ordine pubblico è più precario. Le esportazioni di merci dalla Cina nel mondo nel 2005 hanno raggiunto l’ammontare di circa 600 miliardi di dollari: più della metà veniva da aziende straniere installate in Cina o da aziende cinesi che lavorano su commissioni straniere. La borghesia imperialista partecipa allo sfruttamento brutale dei lavoratori cinesi. Lo sfruttamento dei lavoratori cinesi è diventato la sua “nuova frontiera”. Non solo lucra sulle sue aziende in Cina, ma lucra 1. sulle esportazioni in Cina, sulle forniture: circa 500 miliardi di dollari nel 2005, ma ripartite molto inegualmente quanto al paese d’origine (gli USA hanno esportato in Cina per 200 miliardi di dollari meno di quello che hanno importato); 2. sulla commercializzazione delle merci provenienti dalla Cina: in Europa e negli USA vengono vendute da 5 a 10 volte più care di quello che vengono pagate alla fonte.

È una enorme miniera d’oro che la nuova borghesia cinese ha messo a disposizione dei capitalisti di tutto il mondo. Essa però si riserva l’amministrazione generale. Circa 200 milioni di cinesi (il 15% della popolazione) ricavano benefici, ricchezza e privilegi. Il resto della popolazione o è direttamente sfruttata (il numero dei lavoratori cinesi sfruttati direttamente dai capitalisti supera il numero complessivo di tutta la popolazione attiva USA) o funziona da retroterra e fonte inesauribile di nuove vittime man mano che le vecchie si esauriscono. Circa 800 milioni di cinesi vivono di piccola produzione nelle campagne, in condizioni tali che il numero di quelli che cercano lavoro presso i capitalisti supera sempre il numero di quelli che lo trovano.

Oggi quello che è sorprendente, “d’avanguardia”, in Cina non è la quantità delle esportazioni. Con il 20% della popolazione mondiale, oggi la Cina partecipa solo per il 5% al commercio (import + export) mondiale, esporta meno degli USA (5% della popolazione mondiale) e meno anche della Germania (1.3% della popolazione mondiale). Non è neppure la quantità complessiva della produzione. Per quel che significa il PIL per una paese come la Cina, esso è valutato per il 2004 a 2000 miliardi di dollari, appena superiore a quello della Francia e dell’Inghilterra. Ma ben inferiore a quello degli USA (11.000 miliardi) e del Giappone (4.500 miliardi). Inferiore persino a quello della Germania. Ciò per cui la Cina è all’avanguardia è lo sfruttamento dei lavoratori. La borghesia imperialista, grazie ai servizi della nuova borghesia cinese, ha messo sotto sfruttamento una massa illimitata e rinnovabile di lavoratori cinesi, si avvale di quella parte dell’eredità del socialismo cinese che le serve (l’alto livello dei lavoratori) e mette tutto ciò contro i lavoratori europei e USA. Se oggi la borghesia imperialista getta sul mercato USA ed europeo merci cinesi per un valore di 10 e vende in Cina merci europee e USA per un valore di 7, la differenza in termini di posti di lavoro non è di 3, ma almeno di 13. Perché le merci cinesi con un valore di 10 sostituiscono merci europee e USA per almeno un valore di 20.

Anche senza tener conto delle sofferenze e dei costi che i lavoratori europei e USA pagano per la trasformazione che la borghesia impone loro, è chiaro che la borghesia crea un terreno favorevole alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari in Europa e negli USA; un terreno per la futura guerra. La mobilitazione dei lavoratori europei e USA contro i “cinesi” può partire quando necessario. Le malefatte dei capitalisti sono già presentate come l’effetto insopportabile della “invasione cinese”. Mentre ogni misura di protezionismo commerciale europeo o USA sarà presentato in Cina come un intollerabile attentato alla nazione cinese. Ed effettivamente farebbe crollare il castello che la nuova borghesia cinese vuole costruire e il benessere di 200 milioni di cinesi della “classe media”.

La nuova borghesia cinese probabilmente è convinta di poter reggere la situazione ancora per molto tempo e difendere il suo posto tra la borghesia imperialista. Le incognite oggi sono varie e davanti a noi sono ancora aperte più strade. Quale sarà effettivamente percorsa, dipenderà da tanti fattori, tra i quali i tempi della rinascita del movimento comunista. Ma è chiaro che, se non interviene la rivoluzione socialista almeno in alcuni dei più importanti paesi imperialisti, quelle strade sfociano tutte su una nuova guerra mondiale. E la Cina vi avrà una parte importante.

La nuova borghesia cinese è estremamente debole. Per non lasciarsi ingannare dalla manipolazione dell’opinione pubblica fatta dalla propaganda borghese, bisogna pensare a quanto forte appariva la Unione Sovietica di Breznev negli anni 70. Consideriamo la situazione reale della nuova borghesia cinese.

1. Essa deve far fronte alla resistenza degli operai e dei contadini. Essa li deve ricacciare ancora indietro sul piano economico e dei diritti sociali. Il benessere dei 200 milioni di beneficiari del corso attuale non riguarda né gli operai né i contadini, ma è per loro una provocazione. Non è più la povertà comune della Cina socialista a cui tutti insieme si lavorava con tutte le forze per porre rimedio. Ora è una povertà senza speranza, spesso peggiore, fino alla fame, e per arricchire i ricchi. La nuova borghesia cinese ha al suo interno la contraddizione che le borghesie USA ed europea hanno al di là delle frontiere dei loro paesi. Per le borghesie USA ed europea si tratta di difendere le loro vecchie frontiere dall’immigrazione dei poveri che i loro capitali e i loro profitti producono al di là delle loro frontiere e di ricattare e schiacciare i lavoratori stranieri, a cui non è riconosciuta la libera circolazione che la borghesia ha invece conferito alle merci e ai capitali. Per la borghesia cinese la stessa contraddizione è tutta interna i confini del suo Stato e per di più si tratta di operai e contadini che hanno ancora vive le lezioni della rivoluzione e del maoismo.

2. Il suo piano di sviluppo borghese riposa in modo sostanziale sulle esportazioni (30% del PIL) e sugli investimenti di capitale dall’estero. È un’economia mercantile e compradora. Quindi dipende ancora dalla borghesia USA ed europea. È una specie di gigantesca zona franca. La borghesia cinese accumula riserve valutarie, valutate oggi a 800 miliardi di dollari. Ma la borghesia imperialista USA ha già mostrato nel 1971 (blocco della convertibilità del dollaro in oro) che quando ne va dei suoi interessi non tiene in alcun conto gli accordi valutari e usa a suo profitto il sistema monetario internazionale. Essere debitori è meglio che essere creditori, se si ha la forza militare sufficiente per dissuadere il creditore dall’impiegare la forza. Ma essere creditore di un debitore militarmente più forte è una posizione difficile. Quanto poi alle esportazioni, la borghesia USA ha già mostrato contro il Giappone alla fine degli anni 80 cosa fa quando reputa che le convenga.

3. Anche solo per questo la nuova borghesia cinese deve armarsi. Essa però deve far fronte anche ad altri problemi esterni. Per poter vendere e comperare anche quando la borghesia USA (ed europea) vuole limitare, controllare, discriminare, ecc. essa dovrà non solo essere in grado di proteggere se stessa da pressioni e aggressioni. Dovrà anche essere in grado di proteggere e garantire i propri clienti e fornitori di ogni parte del mondo dai ricatti dalle pressioni, dalle operazioni di destabilizzazione politica e dalle aggressioni della borghesia USA (ed europea).

Per armarsi la nuova borghesia cinese dispone delle risorse fornite da un PIL di 2000 miliardi di dollari (nel 2004). Una cifra irrisoria visti i nemici cui deve far fronte e il PIL su cui essi possono contare (a parte che possono contare anche sulla superiorità militare di cui già dispongono). Certo essa può contare sulle divisioni tra la borghesia. In particolare può contare sul contrasto tra la borghesia imperialista USA e il resto dei gruppi imperialisti.

È evidente quanto la Cina sia fragile come paese capitalista, in particolare economicamente e militarmente. Certo le sue dimensioni sono tali che l’ingresso di un colosso simile crea scompiglio nel sistema imperialista mondiale, per quanto malfermo sulle sue gambe esso sia. Nel sistema imperialista mondiale la Cina poi non è entrata per forza propria. Ve l’hanno tirata e ancora oggi ve la tengono, ognuno per motivi e calcoli suoi, i vecchi gruppi imperialisti. Quando qualcuno di essi cercherà di cacciarla, questi si troverà contro sia quelli che hanno ancora interesse a tenervela sia la nuova borghesia cinese che a quel punto non potrà che difendere con le unghie e con i denti la sua posizione.

La linea socialista basava la sua forza e la sua sicurezza sulla mobilitazione e la vigilanza della sua popolazione e sull’amicizia e gli interessi delle masse popolari degli altri paesi. Anche le masse popolari dei paesi imperialisti contribuirono a loro modo alla sua difesa. Le masse popolari dei paesi imperialisti hanno una forza sufficiente a limitare la libertà d’azione della borghesia imperialista anche quando ancora non hanno la forza per imporre con la forza le proprie ragioni. Pur assediando la Repubblica Popolare Cinese (RPC) da ogni lato, neanche i gruppi imperialisti USA, pur impegnati duramente in Corea, in Vietnam e a Taiwan, osarono mai sfidare le masse popolari del loro stesso paese e usare le armi nucleari contro la RPC. La Cina capitalista non può più contare su quella forza. Il sistema di relazioni internazionali dell’imperialismo contrappone i suoi interessi a quelli di altri paesi. La sua classe dominante, il giorno in cui i suoi interessi saranno lesi nelle relazioni internazionali, non avrà altra via che cercare di fare ricorso a sua volta alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari cinesi. È significativo che già oggi, di fronte, alla rinascita del militarismo giapponese, essa non può, data la sua natura, fare alcun ricorso alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari giapponesi e deve fare ricorso solo alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari cinesi. Mentre persino nei momenti più bui della occupazione giapponese, la rivoluzione cinese non smise mai di tener ferma la distinzione tra le masse popolari giapponesi e la classe che le dominava e sfruttava.

La borghesia imperialista italiana agita di fronte alle masse popolari del nostro paese lo spauracchio del “pericolo giallo”, della “invasione cinese”. In realtà il pericolo per le masse popolari del nostro paese viene dalla borghesia imperialista italiana e dal sistema di relazioni internazionali imperialiste a cui essa lega il nostro paese. Essa non è responsabile solo di delocalizzare aziende in Cina e di portare in Italia merci cinesi. Essa è responsabile di sacrificarci ai suoi privilegi e al suo arcaico sistema della proprietà privata. È questo sistema che divide i popoli e li contrappone, come contrappone classi e individui. È contro questo sistema che noi comunisti dobbiamo mobilitare le masse popolari che la borghesia imperialista cerca di mobilitare contro “l’invasione cinese”. Instaurando il socialismo, al mondo c’è posto per tutti, salvo che per chi vuole sfruttare gli altri. In un ordinamento sociale comunista, gli avanzamenti di un paese aprono la strada anche agli altri paesi perché avanzino anch’essi!

Anna M.