Cristoforo Colombo

Il successo della nostra azione

Capitolo 3° - I risultati
martedì 15 agosto 2006.
 

3. I RISULTATI

-  Il successo della nostra azione


Il successo della nostra azione

Quali sono i risultati oggettivi raggiunti dalle bande in alcuni anni di «propaganda armata», quali gli elementi nuovi da essi introdotti nella società italiana?



La creazione di un centro della lotta del proletariato per il potere

La lotta armata condotta dalle bande ha fatto risorgere in Italia, per la classe dominante e per le masse, un centro della lotta del proletariato per il potere.

Nel 1944 con la «svolta di Salerno» il PCI era entrato, in posizione subordinata, in un sistema di alleanze e nello Stato della classe dominante (la collaborazione nell’ambito dei CNL, dopo il 1943, era una collaborazione tra forze combattenti e il PCI vi aveva l’egemonia).

Nel 1947 il PCI era stato estromesso dal governo del paese ed aveva accettato l’estromissione; l’accettazione venne sanzionata e ribadita con le elezioni del 1948.

Da allora in poi, l’azione del PCI si svolse nell’ambito dell’accettazione del proprio ruolo di opposizione politica nel regime, che lo Stato a sua volta riconosceva. La storia del passaggio dalla reciproca accettazione dei distinti ruoli come un dato di fatto alla collaborazione è la storia della politica italiana degli anni 50 e 60.

Dopo la conclusione della Resistenza e a causa dell’assetto politico che si creò in Italia, cessò di esistere un reale centro della lotta del proletariato per il potere, cioè un centro dotato dell’autonomia d’iniziativa necessaria per rendere sistematico e organizzare a livello di lotta politica il potenziale di antagonismo esistente tra le masse. Il PCI agiva nell’ambito di limiti ben definiti, che sia il PCI che lo Stato conoscevano e rispettavano; il PCI e le organizzazioni di massa connesse erano in condizioni di libertà condizionata e vigilata, agivano nell’ambito delle leggi dello Stato e in condizioni di dipendenza e ricattabilità da parte dello Stato. Era una condizione che il gruppo dirigente del PCI aveva accettato, chi per convinzione, chi per calcolo, chi per necessità e di cui tutti, compresa la sinistra più sinistra del PCI era schiava (altro che le velleità di Secchia!). In questa situazione il PCI stesso di conseguenza poneva tutti i limiti che si possono porre istituzionalmente allo sviluppo dell’antagonismo tra le masse, perchè l’antagonismo cresce oltre certi limiti elementari e primitivi solo se trova terreno su cui esercitarsi e verificarsi. La volontà di combattere non cresce oltre un livello elementare se non si traduce in combattimento e in vittorie.

I gruppi politici «rivoluzionari» sorti a partire dai primi anni 60 non vollero o non seppero superare questa condizione. E’ probabile del resto che l’inizio di un nuovo corso richieda, perchè non sia stroncato sul nascere e riesca ad impiantarsi e riprodursi, il concorso di una serie di circostanze oggettive, sia più un’occasione da cogliere che una decisione soggettiva. Detto in altre parole, per la «propaganda armata» occorrono determinate circostanze che assicurino fin dall’inizio il seguito e il contesto necessari per raggiungere il suo risultato.

E’ solo con la nascita delle organizzazioni combattenti e in particolare delle bande nell’ambito del grande movimento di massa a cavallo degli anni 60 e 70 che venne superato il limite accettato dal PCI nel 1947. Il successo e la continuità dell’azione delle bande stabilizzò la nuova situazione: ci fu nuovamente un centro promotore ed organizzatore della lotta del proletariato per il potere.

Negli anni 20 condizione determinante la costituzione del PCd’I fu il suo legame con la Rivoluzione d’Ottobre e l’Internazionale Comunista. Era questo legame che per le masse faceva la qualità del partito e lo poneva ad un altro livello rispetto ai vari gruppi e organismi di sinistra. Non a caso nel PCd’I la continuità del partito fu rappresentata da questo legame, non dalla linea e i gruppi che ruppero con quel legame (Bordiga e C.) finirono nel nulla.

E’ il legame con la lotta armata, con la «propaganda armata» ciò che oggi fa sì che le bande siano in condizioni di porsi come centro promotore del nuovo partito comunista e della nuova direzione del movimento delle masse.

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E’ indiscutibile per ogni proletario, d’accordo o no con le bande, che esse sono un’altra cosa dal sistema di potere oggi dominante. La coalizione di tutti i gruppi, gruppetti, partiti e partitini esistenti nel paese, accumunati dalla reciproca tolleranza, dalla comune convivenza nel patto costituzionale (che garantisce la sopravvivenza e le regole del gioco tra di loro) e dalla comune prassi di deplorare quello che si continua a lasciare avvenire e con cui si convive al punto che è impossibile distinguere la deplorazione fatta per accaparrarsi voti dalla deplorazione sincera ancorchè impotente, questa «Santa Alleanza» contro le bande ha creato delle grosse difficoltà a queste a partire dal 1980, ma le ha consacrate come unico punto di riferimento rivoluzionario per le masse del nostro paese.

La stasi, le defezioni, la crisi, la lunghezza del travaglio del parto del partito non hanno ancora eliminato questo risultato raggiunto nella fase della «propaganda armata». Contro la sua volontà e i suoi interessi, la borghesia deve rafforzare continuamente questo nostro ruolo. Addebitando alle bande tutto quanto di antagonista ad essa sorge tra le masse, distribuendo a destra e a manca accuse di banda armata e di associazione sovversiva, rinnova continuamente tra le masse il prestigio delle bande. Gli arresti, le scoperte di sedi, ecc. nel contesto di una giusta linea che assicura la continuità dell’organizzazione e il suo legame con le masse, non hanno mai fermato un’organizzazione rivoluzionaria, anzi in molti casi ne hanno determinato lo sviluppo (come hanno capito anche molti strateghi della controrivoluzione preventiva che però ben poco possono fare al riguardo).

Tra le migliaia di partiti, organismi, associazioni, club, proposte politiche, profezie e bei discorsi di cui pullula la società imperialista, le bande si sono poste e ogni giorno vengono ancora poste come qualcosa di unico e a sé stante, come centro promotore della lotta per il potere del proletariato. Da qui tutto lo sforzo della borghesia e dei suoi alleati per svuotare di valenza politica la lotta armata degli anni 70 e quindi vanificare il risultato.

Da ciò consegue che le bande (e solo loro) sono oggi nelle condizioni per costituire nuovamente un partito comunista.

Ogni altro gruppo che si ponesse questo compito indipendentemente dalle bande, non potrebbe di fatto giovarsi dei risultati della lotta armata degli anni 70, dovrebbe aprirsi una diversa via. E l’inizio, che le bande ebbero nel contesto del grande movimento popolare degli anni 70, dovrebbe giovarsi di altre circostanze che, come tutte le circostanze, gli individui non possono determinare ma solo cogliere quando vi siano.

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La scoperta dell’efficacia e del ruolo della lotta armata come strumento di lotta politica rivoluzionaria

In secondo luogo le bande, impugnando le armi e combattendo per vari anni, hanno scoperto che un’organizzazione comunista poteva mandare a monte progetti (come la «solidarietà nazionale») che mille dimostrazioni di piazza non scalfivano, che poteva determinare un corso degli eventi che era impossibile determinare senza questo strumento e che questo conferiva ad un centro della rivoluzione proletaria ancora debole una capacità di iniziativa politica che in nessun altro modo poteva avere.

Se l’effetto diretto della «propaganda armata» fu quello di creare nuovamente un centro della lotta proletaria per il potere, indirettamente, già nella fase della «propaganda armata», è venuto in luce il ruolo fondamentale della lotta armata proletaria come strumento della lotta per il potere, in una situazione non rivoluzionaria e quando non si hanno neppure le condizioni per una «guerra dispiegata» (23). E’ stato cioè scoperto il ruolo della lotta armata proletaria in quella fase dello sviluppo del movimento che potremmo chiamare fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze borghesi.

Già negli anni 70 fu mostrato che il partito del proletariato, intervenendo con la lotta armata in un processo politico di cui ha compreso giustamente i termini, le tendenze, le contraddizioni, le forze motrici e i gruppi in lotta, può entro certi limiti determinare la direzione in cui evolverà la situazione o impedire che, tra le direzioni possibili, essa evolva in quella più sfavorevole al proletariato.

Insomma si è scoperto che era possibile «colpire il cuore dello Stato» ed impedire che le contraddizioni interne alla borghesia trovassero un terreno di soluzione tale da creare una condizione di maggior forza per essa.

Si è scoperto che era possibile disarticolare, rendere inoperante, neutralizzare per un certo tempo una struttura del potere nemico particolarmente efficace, insidiosa e temibile nella sua azione di lungo termine contro le forze rivoluzionarie.

Questo duplice ruolo della lotta armata proletaria venne prima esercitato e solo dopo compreso. Venne cioè scoperto dalle bande al modo in cui Cristoforo Colombo scoprì l’America e ancora non sono state comprese e sfruttate tutte le conseguenze di questa scoperta.

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Tutta la storia delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni nei paesi imperialisti nel corso di questo secolo mostra che il movimento economico e politico della società porta periodicamente per la sua stessa natura a situazioni di crisi acuta, di collasso del processo produttivo e di paralisi dello Stato; ma mostra anche che queste situazioni contengono più soluzioni possibili e che la borghesia ha riunito abbastanza risorse ed esperienza per impedire che si arrivi a condizioni tali per cui la soluzione che si realizza sia quella della presa del potere da parte del proletariato, per prevenire insomma l’accumulazione delle forze rivoluzionarie oltre un limite critico.

E’ la controrivoluzione preventiva come nuova arma della borghesia nella fase storica della sua agonia. Infatti nel corso di questo secolo nei paesi imperialisti dell’Europa Occidentale la regola è che la borghesia ha sempre preso l’iniziativa in campo militare, stroncando in tempo l’accumulazione delle forze rivoluzionarie, salvo poi ritornare alla «legalità» quando il risultato era stato raggiunto.

Nell’Introduzione a Le lotte di classe in Francia scritta nel 1895, Engels, che gli opportunisti a volte portano a sostegno delle proprie tesi, indicava chiaramente che quando i regimi borghesi fossero arrivati al punto da rompere i «patti» su cui si reggeva la democrazia borghese (e assicurava che ci sarebbero arrivati), compito dei partiti proletari sarebbe stato proseguire la loro strada con tutti i mezzi, senza lasciarsi legare le mani dalla legalità borghese e dalla sottomissione allo Stato borghese. C’è qualcuno, persino tra gli opportunisti, che può sostenere che anche uno solo degli Stati borghesi d’Europa non ha dopo di allora «rotto i patti» della democrazia borghese? E’ almeno dall’inizio della 1° Guerra Mondiale che ciò è avvenuto! Non c’è un paese imperialista in cui, nel periodo compreso tra l’inizio del secolo e oggi, la borghesia non sia ricorsa ripetutamente ora a una ora all’altra di queste misure: lo stato d’assedio, lo stato di guerra, le misure d’emergenza, la mobilitazione militare, lo scioglimento delle organizzazioni proletarie, il terrore delle forze armate di Stato o parastatali contro i proletari e le loro organizzazioni, la eliminazione dei dirigenti proletari, la corruzione dei dirigenti proletari, l’infiltrazione delle organizzazioni proletarie, le provocazioni, la creazione di organizzazioni parallele, le operazioni diversive di massa, lo spionaggio, le stragi e i massacri, la intossicazione intenzionale e sistematica dell’opinione pubblica, la creazione pianificata di organizzazioni diversive, i brogli elettorali, la sovversione dei risultati elettorali, il boicottaggio e il ricatto economici.

Proprio per questo la «scoperta» delle bande è la continuazione e lo sviluppo dei germi della nuova strategia, adeguata alle condizioni della fase imperialista, che sia i partiti comunisti che il movimento delle masse vennero sviluppando negli anni 20 e 30 di questo secolo. Nella storia dell’epoca, in special modo in Italia, durante la guerra civile 1919-1922 e dopo, e in Germania la tendenza a porre stabilmente l’attività combattente tra le proprie forme di lotta, è evidente sia nei partiti comunisti che nel movimento delle masse.

La lotta armata come strumento per «colpire il cuore dello Stato», quindi come strumento per mantenere aperte e intervenire attivamente nelle contraddizioni della borghesia e come strumento per neutralizzare temporaneamente strutture della controrivoluzione, restituisce al proletariato l’iniziativa politica nella situazione propria delle società imperialiste, lo fa uscire da una situazione di attesa e di ostaggio nelle mani della borghesia. Nella fase imperialista, tutte le organizzazioni proletarie che nei periodi «pacifici» hanno voluto contenere la propria azione nell’ambito della legalità borghese o limitarsi alla difensiva, sono state o soffocate o travolte al sopravvenire di un periodo non pacifico, di fronte al quale si sono trovate impotenti.

La storia delle società imperialiste mostra che quando una società si avvia alla paralisi, il vecchio regime non cade da sè: succede che una parte della classe dominante si coalizza nel compito supremo di conservare alla propria classe il predominio che viene eroso dalla paralisi avanzante; sottopone con mezzi straordinari ad una nuova disciplina se stessa ed il resto della classe dominante; sacrifica quanto necessario della proprietà e della libertà di iniziativa degli altri gruppi; avoca a sè tutti i diritti di proprietà e di iniziativa; prende tutte le necessarie misure per soffocare ed eliminare quanto si oppone al suo obiettivo.

L’epoca dell’imperialismo è stata l’epoca delle esecuzioni degli avversari politici, dei colpi di mano e degli stermini di massa non solo nei paesi dipendenti, ma anche nel cuore della «civilissima Europa».

La lotta armata del proletariato è lo strumento necessario per impedire che nel corso delle crisi economiche e politiche delle società imperialiste prevalga questa evoluzione, per impedire il successo della parte della borghesia che di volta in volta si assume il compito «rivoluzionario» di salvare il potere della propria classe e schiacciare il proletariato.

La lotta armata proletaria avrà probabilmente il duplice ruolo sopra indicato finchè l’evoluzione della situazione, determinatasi proprio perchè il proletariato ha impedito lo sbocco controrivoluzionario e modificato le condizioni a suo favore, consentirà di passare o all’«ultima e decisiva battaglia per il potere» (la rivoluzione, l’insurrezione) o alla guerra dispiegata. Non siamo oggi in grado di prevedere quale dei due eventi si verificherà, perchè ciò dipende da circostanze oggi imprevedibili.

L’esplicazione di questo duplice ruolo della lotta armata nella lotta del proletariato per il potere comporta che il partito abbia una comprensione giusta e dettagliata dei processi politici in corso e quindi, a differenza di quanto pensano i militaristi, comporta il predominio netto e assoluto del politico sul militare nel partito e nel movimento proletario. L’azione militare serve e deve essere solo in funzione di obiettivi politici.

Per sfruttare le grandi possibilità offerte dalla scoperta della lotta armata nel suo duplice ruolo, occorre che impariamo a «suonare il piano con dieci dita», che facciamo un salto avanti nella comprensione del movimento politico, che ci allontaniamo mille miglia dalla prassi di quelli che danno il titolo di «cuore dello Stato» ad ogni bersaglio che colpiscono. La giustezza degli obiettivi della nostra iniziativa militare discende dalla giustezza della nostra analisi della situazione politica e gli effetti pratici conseguenti al successo della nostra iniziativa militare sono una verifica della giustezza della nostra analisi politica.

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Nella lotta del proletariato dei paesi imperialisti per il potere, il duplice ruolo della lotta armata nella fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze borghesi, ruolo scoperto dall’azione delle bande, vale ovviamente per tutti i paesi imperialisti perchè non è legato a particolarità nazionali del nostro paese. Questo diventa quindi uno dei criteri con cui determinare i nostri collegamenti internazionali, tenendo presente che l’inizio, come sopra detto, è legato ad occasioni e situazioni politiche dei vari paesi.

Accanto a questo duplice ruolo della lotta armata nella fase di accumulo delle forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze borghesi, restano i ruoli che già si conoscevano (eliminazione di spie e traditori, finanziamento ed equipaggiamento, in alcuni casi punizione esemplare di nemici del popolo ed altre operazioni propagandistiche).

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L’accelerazione del declino dei revisionisti

In terzo luogo le bande impugnando le armi hanno costretto i revisionisti a rivelare il loro vero volto di questurini ben più di quanto vi erano riusciti mille opuscoli.

Impugnando le armi li hanno costretti a schierarsi in modo che altrimenti avrebbero vantaggiosamente evitato (da Minucci costretto a schierarsi contro gli operai FIAT «fondo del barile raschiato», alla FULC costretta ad abbandonare la denuncia delle «fabbriche della morte»). Essa ha impedito che i revisionisti potessero ancora cavalcare le lotte rivendicative delle masse, imbrigliando e vanificando in esse le energie creative delle masse. Tali lotte e il contenere in esse il movimento popolare erano la forza e la funzione dei revisionisti. Da quando la classe dominante non può più trarre giovamento da questa loro opera, i revisionisti sono diventati ferrivecchi inutili anche per la borghesia che non se ne può più servire e hanno perso anche il suo sostegno.

Questo indebolisce ulteriormente l’azione di contenimento e diversione delle energie rivoluzionarie del proletariato che risultava dalla loro esistenza e attività. Fino a qualche anno fa chi iniziava a muoversi, andava a iscriversi al PCI e lì per un tempo più o meno lungo si acquietava, sforzandosi di esprimere nelle forme del PCI quello che lo aveva mosso e lo muoveva. Ma ora che le sezioni chiudono, che l’articolata e variegata struttura si ischeletrisce e quel che ne resta diventa elitaria, ora che la denuncia delle condizioni dell’oppressione di classe e l’attività di organizzazione delle rivendicazioni e delle proteste cessano (soffocate, oltre che dalla mancanza di risultati, dal timore prodotto dalla costatazione che «se si denuncia la fabbrica della morte, poi è inevitabile che qualcuno faccia fare a Taliercio la fine che ha fatto»), quella via di espressione deviata della rivolta si chiude e ogni proletario che oggi si sveglia alla rivolta deve cercare altre vie.

Oggi i revisionisti rifuggono dalle lotte rivendicative e dalle proteste nel cui ambito contenevano l’energia di tanti proletari, valorizzandola ed esaurendola. Negli anni 70 è stato dimostrato che le lotte rivendicative, che sembravano essere solo un efficace diversivo dalla lotta rivoluzionaria per il potere, sono invece state levatrici di coscienza politica e di ribellione, il terreno su cui è rinata la lotta politica rivoluzionaria. La parte maggiore delle risorse dei revisionisti e dei sindacati di regime oggi è spesa, sempre più diffusamente e ossessivamente, per riuscire a controllare i lavoratori. Contenere, controllare, riassorbire i COBAS, reprimerli nella misura a ciò necessaria, introdurre codici di autoregolamentazione, mantenere il monopolio della rappresentanza e della contrattazione, moderare le richieste e renderle compatibili: questa è la loro occupazione principale. E’ poca cosa che da alcuni anni i revisionisti debbano costantemente guardarsi le spalle da iniziative di base e preoccuparsi di sedare le lotte anzichè porsi come promotori e organizzatori di esse?

Questo li indebolisce, come già oggi è chiaro persino nonostante l’assenza del movimento rivoluzionario sul terreno delle lotte rivendicative e dell’orientamento della protesta delle masse. Questo apre un terreno importante d’azione per il movimento rivoluzionario. Coltivare questo terreno è una questione di resistenza e di vita del partito, oltre che un aspetto necessario del suo carattere di classe.

L’azione combattente delle bande, combinandosi con la fine del progetto di costruire una società del benessere, ha decretato la fine del ruolo che i revisionisti avevano svolto nel regime.

E’ probabile che l’esecuzione di questa sentenza comporti anche il ridimensionamento elettorale del PCI, i cui voti sono ancora in buona parte «voti di speranza in una società diversa» e quindi destinati a venir meno assieme alla speranza e a rifluire, almeno provvisoriamente, in voti di clientela, voti di intimidazione, voti di superstizione e d’ignoranza (24).

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La creazione di una nuova leva di rivoluzionari

L’azione delle bande ha innescato la formazione di una nuova leva di rivoluzionari che si tempra nell’attuale situazione, che si verifica, che passa il suo esame ora, con molte bocciature è vero, ma con una selezione che è indispensabile e che produce compagni che crescono autocriticandosi e riorganizzandosi al livello della nuova situazione. Il limite posto in luce dall’esame non è colpa dell’esame. E’ un’ottima cosa che, essendoci il limite, l’esame lo faccia venire alla luce. L’esperienza della lotta armata, come ha istupidito ed abbattuto alcuni, ha educato e temprato altri. Le bande sono rimaste l’unico meccanismo che il proletariato ha a sua disposizione per selezionare nuovi quadri dirigenti di classe, cioè per riconquistare la sua indipendenza ed autonomia politica.

Un compagno che oggi impara ad usare la stampa clandestina, a farla circolare, a nasconderla, a beffare la polizia ufficiale e quella ausiliaria del PCI e dei gruppi, vale più di mille ciarlatani preparati dalla FGCI e dal PCI.

Così è per il compagno che riesce a portare un’assemblea di lavoratori a perseguire la propria rivendicazione nonostante la volontà dei ras sindacali; il compagno che riesce a condurre la lotta contro l’opportunismo di gruppi e gruppuscoli ed a propagandare i principi della lotta politica rivoluzionaria in forma opportunamente mascherata; il compagno che sa maneggiare le armi; il compagno che impara a mantenere un rapporto di partito nella più assoluta clandestinità: tutti «tipi» di compagni di cui il nuovo corso ha avviato la formazione.

La formazione degli uomini è certamente il lavoro più difficile ma anche il più prezioso. Dedicare a questo lavoro le energie necessarie fa parte dell’autocritica attuale della bande che, quasi come il resto delle organizzazioni combattenti, si sono per anni limitate a unire e inquadrare gli uomini che spontaneamente si ponevano sul terreno rivoluzionario, crescendo quindi di quanto la situazione spontaneamente produceva e subendo le conseguenze quando il movimento delle masse è entrato in una fase di riflusso.

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Un limite alla demoralizzazione tra le masse

La nascita e l’attività delle bande hanno fatto sì che il riflusso del movimento di massa e la sua sconfitta sul piano dei suoi obiettivi rivendicativi non si risolvessero in una completa e prolungata demoralizzazione.

La lotta degli anni 70 non è stata inutile perchè ha prodotto un’esperienza che continua e si sviluppa nelle bande. Le sconfitte degli anni 80 non sono definitive, nel senso in cui una sconfitta del proletariato in quest’epoca può essere definitiva, nel senso cioè di una rottura nel trasferimento e nella crescita dell’esperienza (una sconfitta definitiva fu quella della Resistenza antifascista), perchè il germe che allora si è formato è ancora vivo. Ben lo sanno gli strateghi dell’«antiterrorismo» e i loro nuovi accoliti della «soluzione politica». Questo è un potente strumento di sostegno e di forza per tutto il movimento delle masse che dispiegherà tutta la sua efficacia se e quando le bande completeranno l’attuale, lungo e doloroso travaglio della gestazione del partito.