La Voce 18

09 - Bisogna rielaborare le esperienze del passato ed elaborare le esperienze presenti alla luce della teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata

venerdì 5 novembre 2004.
 
Bisogna rielaborare le esperienze del passato ed elaborare le esperienze presenti alla luce della teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata
 
L’articolo Lotta politica e lotte rivendicative di Nicola P. in La Voce n. 14 ha aperto una discussione che, attraverso gli articoli Politica rivoluzionaria di Ernesto V. (La Voce n. 15), Sul secondo fronte della politica rivoluzionaria di Rosa L. (La Voce n. 16) e Bisogna distinguere leggi universali e leggi particolari della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata di Umberto C. (La Voce n. 17), ha dato una visione generale del corso seguito dalla prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale nei singoli paesi e complessivamente a livello mondiale e mostrato la strategia da seguire consapevolmente durante la seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale e in particolare per la prossima rivoluzione socialista nel nostro paese.
Aggiungo alcune considerazioni che credo aiuteranno i lettori della nostra rivista a meglio comprendere il contenuto della discussione e la sua importanza.
Trattando del marxismo, Lenin (Le tre parti costitutive del marxismo) distinse la filosofia del movimento comunista (i principi e le leggi generali tratti dall’insieme delle scienze della natura e delle scienze sociali, astraendo dai contenuti e dalle leggi particolari di ogni scienza: il materialismo dialettico e storico), la dottrina economica del movimento comunista (le contraddizioni e le leggi del modo di produzione capitalista, dal cui seno si sviluppa la lotta per il comunismo) e il socialismo (cioè natura, contraddizioni, leggi e metodi del movimento di trasformazione della società borghese in società comunista, la teoria che guida i comunisti nella loro azione per instaurare il socialismo e marciare verso il comunismo). Il socialismo è quindi una scienza particolare. È il frutto dell’elaborazione dell’esperienza della lotta della classe operaia per prendere la direzione della società attuale e guidare la sua trasformazione in società comunista, per emancipare dalla borghesia se stessa e tutta l’umanità.(1) Come ogni scienza, anche il socialismo non cade dal cielo, non è una conoscenza innata, non è il frutto di qualche genio. È l’elaborazione dell’esperienza della rivoluzione proletaria che i comunisti hanno compiuto fino a trovare relazioni, leggi e principi che la governano. Quindi è una scienza che si è costruita nel corso del tempo, attraverso verifiche, errori e rettifiche, ad opera dei teorici comunisti. I principali elaboratori del pensiero comunista sono stati finora Marx (1818-1883), Engels (1820-1895), Lenin (1870-1924), Stalin (1879-1853), Mao Tse-tung (1893-1976).
Una delle tesi del socialismo è che la rivoluzione socialista, se considerata nel suo corso complessivo, dal suo inizio alla sua vittoria, dalla formazione dei primi nuclei organizzati di comunisti fino all’instaurazione della dittatura del proletariato (ossia all’inizio della fase socialista - della fase della transizione delle masse popolari dal capitalismo al comunismo sotto la direzione della classe operaia) è un fenomeno sociale che, per le contraddizioni che costituiscono la natura del fenomeno, per le relazioni tra esse, per il suo svolgimento e le leggi che lo governano, per i metodi con cui viene condotta, appartiene più al genere della campagna militare o, meglio ancora, della guerra, che al genere della campagna elettorale, più che a quello della lotta tra due partiti nell’ambito dei regimi borghesi, più che a quello della lotta sindacale o della contrattazione commerciale.
Questa è la conclusione che tiriamo dal bilancio dell’esperienza della rivoluzione socialista, dei quasi 160 anni trascorsi dalla pubblicazione del Manifesto del partito comunista (1848). Da questa conclusione tiriamo l’indicazione che i comunisti devono studiare la dottrina militare, l’arte e la scienza militare per dare soluzioni giuste ai problemi della lotta per instaurare il socialismo. Tutti i grandi dirigenti del movimento comunista lo hanno fatto. Il disinteresse di un partito comunista per lo studio dell’arte e della dottrine militari sono un indizio pressoché sicuro che il partito non sta svolgendo in modo giusto il suo ruolo. Questo indipendentemente dal fatto che in quella fase il partito abbia o non abbia sue formazioni armate. La guerra non è solo, e a volte neanche principalmente, una questione di armi. È un particolare rapporto di antagonismo tra gruppi umani: famiglie, tribù, popoli, classi. La lotta per instaurare il socialismo è una guerra tra classi: la classe operaia vuole prendere la direzione del resto delle masse popolari (essa può emancipare se stessa dalla dipendenza dalla borghesia solo emancipando tutta l’umanità), la borghesia cerca in ogni modo e con ogni mezzo di conservare la direzione che ha conquistato anni fa togliendola ai nobili e al clero.
La classe operaia può concludere questa guerra tra classi con l’eliminazione della borghesia, mentre la borghesia non può concluderla con l’eliminazione della classe operaia. Essa vive sfruttando la classe operaia, non ne può fare a meno, la rigenera continuamente. Può solo imporre delle tregue infliggendo pesanti sconfitte alle forze organizzate della classe operaia. Le sconfitte possono essere dovute alla forza della borghesia o a errori delle forze organizzate della classe operaia. Vi è l’andamento della guerra a livello dei singoli paesi e l’andamento della guerra a livello mondiale. I due movimenti sono distinti, ma si influenzano reciprocamente.
La guerra popolare rivoluzionaria è la scienza di questa particolare guerra. Essa è stata compiutamente elaborata da Mao Tse-tung riferendosi però al caso particolare della Cina. Sta a noi oggi elaborarla sia per quanto riguarda il nostro paese come comunisti italiani, sia a livello mondiale come membri del movimento comunista internazionale. Come ogni scienza essa è frutto dell’elaborazione dell’esperienza passata e si arricchisce man mano che l’esperienza e il bilancio dell’esperienza avanzano. La sua verifica sta sia nel fatto che alla sua luce risultano chiare le connessioni tra tutti gli elementi dell’esperienza passata che prima sembravano casuali e sconnessi, sia nel fatto che grazie ad essa possiamo guidare con maggiore successo la nostra pratica.
Sulla scorta di tutta l’esperienza passata elaborata alla luce della concezione comunista e dell’analisi della situazione attuale condotta con il materialismo dialettico, noi oggi sappiamo che la classe operaia instaurerà il proprio Stato, la dittatura del proletariato, conducendo fino alla vittoria una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.
Diamo uno sguardo all’esperienza passata.
Una volta che ebbero chiarito, rispetto agli anarchici e ai vari altri tipi di riformatori sociali, che per emanciparsi dalla soggezione alla borghesia nella vita civile (nei traffici, nei contrasti e nelle relazioni della vita di ogni giorno) la classe operaia doveva prendere la direzione politica della società, ai comunisti si pose la domanda: come avrebbe fatto la classe operaia a impadronirsi del potere politico (a instaurare il proprio Stato)?(2)
A questa domanda nel movimento comunista internazionale dirigenti e partiti diedero diverse e divergenti risposte. Nel movimento comunista si succedettero ripetute lotte tra due linee e divisioni dell’uno in due. Il movimento comunista ha dato via via risposte più vere man mano che sono progrediti l’esperienza e il bilancio dell’esperienza.
Marx ed Engels fino al tempo della Comune di Parigi (1871) risposero che la classe operaia si sarebbe impadronita del potere o avrebbe instaurato il suo Stato (la distinzione tra le due tesi divenne chiara solo grazie all’esperienza della Comune di Parigi e venne esposta da Marx in La guerra civile in Francia e nella Critica al programma di Gotha) nel corso di un’insurrezione popolare: i comunisti avrebbero preso il potere come esponenti più avanzati della rivolta popolare.
F. Engels fece esplicitamente autocritica di questa risposta nel 1895, nella Presentazione della riedizione dell’opuscolo di Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Egli sostenne che la classe operaia sarebbe riuscita a instaurare il suo potere solo dopo un periodo di accumulazione delle forze rivoluzionarie in seno alla società borghese. Egli indicava quest’accumulazione di forze rivoluzionarie nell’opera svolta dalla seconda Internazionale, e in particolare nell’attività della Socialdemocrazia Tedesca (SDT), il partito modello della seconda Internazionale. Questa partecipava alla lotta politica borghese, promuoveva l’organizzazione di ampi sindacati di categoria e di molte altre organizzazioni di massa (culturali, sportive, cooperative, ecc.), svolgeva un’attiva opera di reclutamento di operai e di formazione ideologica, politica e al lavoro politico organizzato. La sua forza parlamentare cresceva di elezione in elezione. Questa era l’accumulazione delle forze rivoluzionarie. Engels aveva chiaro che la conquista del potere per via parlamentare era impossibile. La borghesia avrebbe mandato all’aria parlamento ed elezioni quando si fosse trovata alle strette. Egli però rimandava la conquista del potere ad una imprecisata risposta della classe operaia a questa rottura della sua propria legalità che la borghesia avrebbe prima o poi compiuto. F. Engels tuttavia rifiutò più volte la linea della “legalità a tutti i costi”, non solo in relazione al comportamento e all’azione pratica, ma anche in relazione alla propaganda del partito. Nel 1891 (quando la SDT aveva in corso l’elaborazione del Programma di Erfurt) Engels pubblicò di sua iniziativa la Critica del programma di Gotha che Marx aveva scritto nel 1875, ma che i dirigenti della SDT, a cui Marx l’aveva diretta, avevano tenuto segreta per scrupoli legalitari, per non incorrere nei rigori della legge dello Stato tedesco.
Non a caso la domanda di come avrebbe fatto la classe operaia a impadronirsi del potere politico (a instaurare il proprio Stato) si pose ai comunisti in forma più pressante e diffusa all’inizio del secolo XX, agli albori dell’epoca imperialista del capitalismo, che è l’epoca della decadenza della società borghese e dell’ascesa della rivoluzione socialista. Il movimento comunista aveva bisogno di una risposta più chiara, più vera, più avanzata.
I dirigenti e i partiti che all’inizio del secolo XX non si posero questa domanda, erano dirigenti e partiti arretrati, velleitari, superficiali. Eludevano i problemi attuali, pressanti, decisivi del movimento comunista: andavano per farfalle mentre la carestia era alle porte. Così fu complessivamente per la seconda Internazionale, salvo che per il Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR) guidato da Lenin. Quando con lo scoppio della prima Guerra Mondiale (1914) si crearono le condizioni in cui le forze che avevano accumulato dovevano essere impegnate in una fase più avanzata della guerra, oggi diremmo dovevano passare dalla fase della difensiva strategica alla fase dell’equilibrio strategico, quasi tutti i partiti che componevano la seconda Internazionale si rivelarono non all’altezza della situazione. Ripiegarono. Avevano accumulato forze senza tener conto del passaggio alla fase successiva della guerra, senza una visione strategica abbastanza giusta. Si trattava di forze inadeguate al passaggio alla fase successiva. In quasi tutti i paesi la destra finì al servizio della borghesia. La sinistra dovette essa pure ripiegare e ricominciare dalla fase dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie. In molti paesi e complessivamente a livello mondiale il movimento comunista, la classe operaia e le masse popolari pagarono cara la superficialità dei dirigenti e dei partiti della seconda Internazionale.
Alcuni dirigenti tuttavia si erano posti apertamente la domanda e avevano cercato di dare ad essa delle risposte attingendo all’esperienza.
I riformisti e i revisionisti, Eduard Bernstein (1850-1932) e altri, la destra della seconda Internazionale, rispondevano che la classe operaia si sarebbe impadronita dello Stato borghese partecipando col suo partito alla lotta politica borghese, come un partito tra gli altri del sistema politico borghese, e lo avrebbe fatto funzionare a favore proprio e del resto delle masse popolari. Essi negavano che la democrazia borghese fosse un regime su misura della borghesia, sostenevano che era democrazia per tutti. Tanto più rifiutavano di vedere che la democrazia borghese aveva in realtà cessato di esistere e lasciato il posto al militarismo (come si diceva allora), alla controrivoluzione preventiva diciamo noi oggi. La loro risposta sulla via da seguire per la conquista del potere rispecchiava sostanzialmente l’attività che la maggior parte dei partiti della seconda Internazionale effettivamente conducevano, in particolare la linea che la SDT seguiva nella pratica.
Proprio perché negava la trasformazione avvenuta nel regime politico della borghesia, anche Karl Kautsky (1854-1938), che pure si opponeva al revisionismo di Bernstein, sosteneva (vedasi il suo scritto La via al potere del 1909) che la SDT si sarebbe impadronita del potere per via elettorale e parlamentare, “se la borghesia non rompeva la sua legalità”. Egli nel 1909 poneva questa riserva, tanto l’eventualità era probabile, ma non avanzava proposte per il caso che la borghesia rompesse la sua legalità, come effettivamente avvenne nel 1914 dovunque i socialisti rifiutarono di collaborare ai suoi ordini.
Contro Bernstein e Kautsky, si collocava Rosa Luxemburg (1871-1919), autorevole dirigente della SDT.
Già nel 1900, nel suo intervento al congresso di Parigi della seconda Internazionale, Luxemburg disse: “All’inizio del movimento socialista, si supponeva in genere che sarebbe stata un’ampia crisi economica a segnare l’inizio della fine, la grande disfatta del capitalismo. Ora questa supposizione appare molto meno probabile. Diventa sempre più probabile che sarà al contrario una vasta crisi politica mondiale che suonerà l’ultima ora del capitalismo”. Come si vede, Rosa Luxemburg era convinta che la fine del capitalismo sarebbe stata un avvenimento unico mondiale. Nonostante l’evidente sviluppo diseguale economico, politico e culturale dei vari paesi, Luxemburg dava già per compiuta l’unificazione mondiale (la “mondializzazione” diremmo oggi) che il sistema imperialista per la prima volta creava. Escludeva quindi che la classe operaia avrebbe instaurato inizialmente il socialismo in uno o più paesi e che la rivoluzione socialista avrebbe trionfato in tutto il mondo solo attraverso la crescita graduale del numero di paesi in cui essa trionfava.
Più tardi, tenendo conto dell’esperienza della prima rivoluzione russa (1905-1907) a cui aveva partecipato anche personalmente, Rosa Luxemburg rielaborò la sua risposta. Essa sostenne (vedasi il suo scritto Sciopero di massa, partito e sindacati del 1906) che la classe operaia si sarebbe impadronita del potere con uno sciopero politico generale di massa (cioè non compiuto solo dalla parte organizzata del proletariato, ma in cui questa parte avrebbe trascinato una gran parte delle masse popolari). Essa cercava di tener conto dell’esperienza, ma la vedeva alla luce del modo di pensare degli anarco-sindacalisti. Essa si rendeva ben conto che la SDT era incapace di portare la classe operaia alla conquista del potere, ma risolveva il problema appellandosi alla iniziativa spontanea delle masse, anziché risolverlo con la lotta per creare un partito all’altezza dei suoi compiti, che accumulasse forze rivoluzionarie adeguate a passare alla fase successiva della guerra. Essa sosteneva che “gli scioperi di massa, le lotte politiche di massa ... [possono risultare solo da] ... una vera e risoluta azione di classe rivoluzionaria, che sia in grado di guadagnare e trascinare nella propria scia i grandi settori di masse proletarie non organizzate, ma rivoluzionarie per disposizione e condizione”. Posta di fronte alla questione da dove mai scaturivano questa “disposizione e condizione” rivoluzionarie delle masse non organizzate, essa rispondeva che erano “il semplice risultato della diretta azione rivoluzionaria delle masse”. In chiaro: la rivoluzione la facevano le masse rivoluzionarie e queste diventavano rivoluzionarie perché facevano la rivoluzione. Il gatto si mordeva la coda. Se avesse ammesso che la “vera e risoluta azione di classe rivoluzionaria” che trascina sulla sua scia grandi masse non organizzate non poteva venire dalle stesse masse non organizzate, ma la compie la parte organizzata del proletariato e delle masse popolari, essa avrebbe dovuto mettere in questione la SDT e dare ragione a Lenin sul ruolo decisivo svolto dal partito comunista. E avrebbe anche dovuto riconoscere che la preparazione della parte organizzata del proletariato e delle masse popolari era diversa da paese a paese e che quindi, non fosse che per questo, anche la conquista del potere non sarebbe stata simultanea in tutti i paesi.
Lenin traeva anche lui dall’esperienza della prima rivoluzione russa il bilancio espresso dalle frasi della Luxemburg che ho citato, ma sosteneva appunto che la “vera e risoluta azione di classe rivoluzionaria” che trascina sulla sua scia grandi masse non organizzate la compie la parte organizzata del proletariato e delle masse popolari, che quindi deve essere formata in modo da essere capace di svolgerla. L’accumulazione delle forze rivoluzionarie consiste appunto nella raccolta e formazione di questa parte organizzata del proletariato e delle masse popolari. Esse, quando sopravvengono determinate condizioni, sono in grado di trascinare il resto delle masse popolari in un’azione rivoluzionaria che instaura il nuovo potere. L’accumulazione delle forze rivoluzionarie consiste insomma nella costruzione già nella società borghese del partito comunista adeguato ai compiti rivoluzionari e delle sue organizzazioni di massa. Lenin tuttavia trattò questa come una legge particolare del movimento rivoluzionario russo, non comprese subito che questa legge era una legge universale. Solo dopo il 1914, a seguito del tradimento di una parte della seconda Internazionale e dell’impotenza dell’altra, incominciò a rendersi conto che si trattava di una legge universale (vedasi Il fallimento della seconda Internazionale del 1914 e A proposito dell’opuscolo di Junius [cioè di Rosa Luxemburg], del 1916).
Quanto alla Russia, Lenin sostenne che la classe operaia dell’impero russo avrebbe preso il potere creando un governo rivoluzionario operaio-contadino come sintesi degli organismi dirigenti dell’insurrezione delle masse popolari, in primo luogo degli operai e dei contadini, contro il regime zarista. Ma egli padroneggiava talmente la dialettica materialista che imparò via via dall’esperienza rivoluzionaria. Egli trovò soluzioni adeguate alla natura della rivoluzione russa sia dopo la rivoluzione di febbraio e la fase dell’equilibrio strategico sia dopo, quando si rese conto che dall’occidente il proletariato non sarebbe venuto in aiuto alla rivoluzione russa ma che d’altra parte la crisi politica impediva alla borghesia di portare un aiuto decisivo alla controrivoluzione russa e quindi vi erano le condizioni per un’offensiva rivoluzionaria limitata al territorio russo. Stalin lo seguì su questa strada, il socialismo venne instaurato nel primo paese e nel corso di 35 anni circa riunì una massa enorme di esperienza di problemi e di soluzioni dei problemi che si ponevano.
Con la vittoria in Russia però a livello mondiale la rivoluzione era passata nella fase dell’equilibrio strategico. Essa disponeva di una base territoriale e di proprie forze armate. Nel mondo le forze della rivoluzione e della controrivoluzione si fronteggiavano e nessuna delle due era in grado di distruggere l’altra. Questo periodo si protrasse fino alla fine della seconda Guerra Mondiale. Durante questo periodo, grazie all’opera compiuta dalla prima Internazionale Comunista e ai suoi partiti, le forze della rivoluzione si accrebbero fino a conquistare la superiorità. Nel novembre del 1957, alla fine della prima Conferenza di Mosca che riunì 76 partiti comunisti di altrettanti paesi, di cui 12 al potere, Mao Tse-tung tirò il bilancio della costituzione del campo socialista, del crollo del sistema coloniale e delle rivoluzioni ancora in corso in vari paesi coloniali, della forza raggiunta dai partiti comunisti di vari paesi imperialisti e dichiarò: “Ora il vento dell’ovest non prevale più sul vento dell’est, ma è quello dell’est che prevale su quello dell’ovest” (vedi Agli studenti cinesi a Mosca, nel vol. 15 di Opere di Mao Tse-tung). Vi erano le condizioni perché il movimento comunista a livello mondiale passasse all’offensiva.
I revisionisti avevano però già preso il potere nel Partito comunista dell’Unione Sovietica e in altri partiti comunisti e non ne vollero sapere. Nonostante la lotta condotta da vari partiti comunisti, tra cui in primo luogo il Partito comunista cinese, il movimento comunista a livello mondiale incominciò a rallentare la sua progressione e poi iniziò a decadere. A conferma che se non si compiono i passi avanti possibili e necessari, si retrocede. Come accadde anche in Italia dopo la vittoria della Resistenza.
Oggi siamo nuovamente, sia pure a un livello superiore, nella fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie. Il livello superiore consiste, tra l’altro, nel fatto che noi conduciamo l’accumulazione delle forze ricchi della scienza accumulata dal bilancio dell’esperienza passata e potendo trarre ulteriori insegnamenti da quella esperienza. Cosa di cui si privano quelli che si dissociano dal movimento comunista, che se ne rendano o no conto.
In particolare è per noi oggi chiaro il ruolo insostituibile del partito comunista. Per questo ci opponiamo fermamente a ogni progetto di rivoluzione senza partito perché è condannato alla sconfitta.
È per noi oggi chiaro il ruolo insostituibile della mobilitazione delle masse popolari. Per questo ci opponiamo fermamente a ogni progetto di rivoluzione senza la mobilitazione delle masse popolari.
È per noi oggi chiaro che la rivoluzione sarà un processo di lunga durata e che attraverserà varie tappe. Per questo ci opponiamo fermamente a ogni progetto di conquista del potere a breve termine e nello stesso tempo durante ogni fase conduciamo le cose in modo da essere pronti e capaci di passare alla fase successiva appena si presenteranno le condizioni necessarie e facciamo quanto sta in noi per creare quelle condizioni. La scoperta delle leggi universali della guerra popolare rivoluzionaria è un compito di tutto il movimento comunista internazionale. A noi in più compete la scoperta delle leggi particolari della guerra popolare rivoluzionaria per il nostro paese e la conduzione pratica passo dopo passo e fase dopo fase, di questa guerra gloriosa, fino all’instaurazione del socialismo.
Tonia N.
 
Note
1. Vi è una differenza di principio e politicamente determinante tra “miglioramento delle condizioni materiali, morali e intellettuali delle masse popolari” e “emancipazione delle masse popolari, in primo luogo della classe operaia, dalla soggezione alla borghesia e in generale a classi sfruttatrici con estinzione quindi della divisione dell’umanità in classi”. I revisionisti dopo la seconda Guerra Mondiale nel nostro paese hanno gradualmente trasformato il movimento comunista da movimento che lottava per l’emancipazione della classe operaia dalla borghesia in un movimento che lottava per il miglioramento delle condizioni materiali, morali e intellettuali delle masse popolari.
Il bambino di una famiglia agiata gode in generale di ottime condizioni di vita, così pure lo schiavo di un padrone magnanimo e filantropo. Ma né l’uno né l’altro sono emancipati. Sia l’uno che l’altro dipendono rispettivamente dai genitori e dal padrone. L’esempio chiarisce la differenza qualitativa tra miglioramento delle condizioni di vita ed emancipazione.
Relativamente all’URSS ad un certo punto Trotsky obiettò che gli operai vivevano peggio dei commercianti, dei kulaki, ecc. Contro questa concezione insorsero Lenin e Stalin. Essi fecero notare che la questione chiave era che gli operai sovietici avevano il potere e, stante la situazione, decidevano di sottomettere ai propri obiettivi, alla propria direzione alcune classi e strati della popolazione assegnando loro condizioni di vita e redditi privilegiati. A proposito di questa questione anche Gramsci attaccò direttamente Trotsky. Gli scritti di Lenin degli anni 1918-1923 sono pieni di considerazioni relative a questa questione.
Kruscev e i suoi complici ripresero la concezione di Trotsky: l’importante non era l’emancipazione, ma le condizioni di vita. E si è visto dove sono finite le condizioni di vita dei lavoratori dell’URSS.
 
2. Queste due formulazioni (“impadronirsi del potere politico”, “instaurare il proprio Stato”) implicano differenze profonde. La prima, formulata più esplicitamente e precisamente, diventa “impadronirsi dello Stato borghese e servirsene ai propri fini”. La seconda, formulata più esplicitamente e precisamente, diventa “instaurare un proprio Stato al posto dello Stato borghese, spazzando via dal terreno lo Stato borghese”. Questa differenza venne ben esplicitata e risolta, a favore della seconda risposta, da Lenin teoricamente (in Stato e rivoluzione del 1917) e dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria sul piano pratico, dell’esperienza empirica. Lo Stato borghese, anche se la classe operaia potesse per qualsiasi accidente e combinazione di eventi impadronirsene, non è adatto a funzionare come strumento dell’emancipazione delle masse popolari dall’oppressione di classe e dell’estinzione della divisione della popolazione in classi. Così come il potere imperiale, papale o feudale non era in grado di funzionare come strumento dell’espansione e del consolidamento dei traffici mercantili, della libertà individuale e dell’uguaglianza borghesi. Questo benché la differenza fosse minore, perché in tutti questi casi si trattava dell’organismo con cui una minoranza opprimeva una maggioranza della popolazione nell’ambito di una società divisa in classi.