Cristoforo Colombo

    Il movimento rivoluzionario e il movimento di trasformazione della società

Capitolo 1° - Il movimento economico della società
martedì 15 agosto 2006.
 

Pippo Assan

Cristoforo Colombo

-  Capitolo 1° - Il movimento economico della società

Il movimento rivoluzionario e il movimento di trasformazione della società

Porre con i piedi per terra il movimento rivoluzionario o, meglio, riconoscere i piedi su cui cammina, distruggendo l’immagine rovesciata che di esso danno la cultura idealista dell’aristocrazia operaia dei paesi imperialisti e la cultura borghese progressista che come un tutt’uno permeavano il mondo da cui venivamo: questo è il compito che qui ci proponiamo.

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Il movimento rivoluzionario non è tale (salvo che nell’immaginazione dei suoi protagonisti) se non è la parte più cosciente, più organizzata, la più capace di orientare consapevolmente il movimento delle classi oppresse, innanzitutto il movimento della classe operaia, per la trasformazione delle loro condizioni.

E’ rivoluzionario solo in quanto promotore e guida di questo movimento delle classi oppresse. Non esistono individui rivoluzionari per sè, nè gruppi e organismi rivoluzionari per sè.

Il carattere rivoluzionario di individui e organismi si esprime, si verifica, si misura e si realizza nel ruolo rivoluzionario che questi svolgono.

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Viviamo in una società che presenta un alto livello di unificazione e dipendenza reciproca delle sue parti nella produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza e nello sviluppo della sovrastruttura politica, giuridica e culturale che serve alla loro vita.

Il carattere sociale del processo produttivo è stato sviluppato nell’epoca borghese in profondità fino a rendere ogni singolo individuo incapace di sopravvivere al di fuori di molteplici relazioni con altri uomini e in estensione fino ad unificare per la prima volta gli uomini di tutti i paesi in un organismo unico di cui i singoli individui sono diventati parti e membra.

Questa unificazione è stata realizzata dal concorso nel tempo dell’attività di innumerevoli individui ed organismi, concorso che però si è attuato spontaneamente, alle spalle degli individui che venivano trasformati in parti e membra del nuovo organismo sociale della divisione del lavoro. Questa unificazione è stata il risultato di azioni che ognuno di essi svolgeva mosso da tutt’altre cause e avendo in mente tutt’altri obiettivi che la creazione di questo organismo unitario.

Questo è il risultato oramai raggiunto e da esso parte tutto il movimento delle società e degli individui del mondo contemporaneo.

Anche se in generale gli individui continuano a non porre a premessa della propria attività questa condizione e addirittura ad ignorarla, il movimento e la natura di ognuno di essi sono in larga misura determinati e totalmente delimitati dal suo essere di fatto parte e articolazione, per di più inconsapevole, di un organismo sociale. La situazione è questa ed esercita i suoi effetti, anche se l’individuo, e anche tutti gli individui lo ignorano ed uno per uno attribuiscono la loro sorte alle stelle o ai santi: la realtà è più forte delle immaginazioni (2).

Il movimento delle classi oppresse per la trasformazione delle loro condizioni, nella società contemporanea in cui è preclusa oramai anche la migrazione in nuove terre per creare nuove società, è e non può non essere movimento per la trasformazione dell’intera società.

Questo condanna come utopie o mere manovre diversive a sostegno dell’opera di pacificazione sociale perseguita dalla classe dominante e dai suoi Ministeri degli Interni, i propositi e tentativi di società a sé, underground o eletta, di non Stato riscoperti da Metropoli e dai vari Piperno, Scalzone e Negri nel periodo di più duro scontro alla fine degli anni 70. Non a caso furono il ponte del loro passaggio dal campo della rivoluzione al campo della controrivoluzione. Su questa stessa via inclinata e scivolosa si trovano gli attuali sostenitori di concezioni dell’ come alterità ed estraneità alla , autodeterminazione, come volontà di trasgressione, come pratica trasgressiva, come deviazione arbitraria dall’ordine costituito, raffigurato come concepita e governata da una volontà esterna e nemica.

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La trasformazione rivoluzionaria della società è possibile in quanto è una tendenza insita nel movimento materiale della società stessa. Proprio perchè interna alla società, questa tendenza non può non operare e quindi manifestarsi sia nel movimento delle classi oppresse, sia nel movimento delle classi dominanti.

Non necessariamente, e in realtà solo in momenti particolari, questa tendenza si manifesta chiaramente e immediatamente perchè ogni cosa si manifesta con la mediazione del materiale e degli strumenti che trova già esistenti.

Ogni movimento può manifestarsi in fenomeni opposti. L’inquietudine e il malcontento delle masse oppresse per le condizioni precarie di vita si manifesta sia in iniziative rivoluzionarie contro l’ordine costituito sia nel ricercare rifugio e sicurezza in un ordine più ... ordinato (rigurgito di religiosità e di superstizione, Comunione e Liberazione, i movimenti fascisti di massa, ecc.). L’insicurezza delle classi dominanti circa il loro potere si manifesta sia nel fare concessioni sia nel rendere più feroce e oculato il loro potere.

Se ogni tendenza si manifestasse per quello che è, quindi in coerenza aperta e immediata con il risultato che solo può risolverla e dissolverla, se ogni movimento puntasse direttamente al risultato che dissolve la causa del suo stesso essere, non occorrerebbe alcuna scienza della rivoluzione. Un movimento sociale del genere avrebbe già adeguata coscienza di sè e al massimo, per raggiungere l’obiettivo che realizzandosi lo appaga e lo dissolve, necessiterebbe di un sistema organizzato di divisione di compiti al suo interno, non di un’avanguardia ideologica, politica e organizzativa come il partito comunista. In tale movimento l’essenza e la manifestazione, la realtà e l’esistenza coinciderebbero; nei suoi protagonisti coinciderebbero la conoscenza e la sensazione, mentre la scienza della rivoluzione è appunto la comprensione delle cause reali e del contenuto reale delle mille e contradittorie manifestazioni del movimento della società.

Chi vuole comprendere il movimento reale della società deve ricostruire nella sua mente le attraverso cui una cosa viene all’esistenza, diviene e si trasforma.

Chiariamo il concetto con un esempio: ogni nuova sorgente d’acqua si apre il suo percorso verso il mare mediandosi con le caratteristiche del terreno e i fatti casuali attraverso cui si muove; ne segue che, benchè il fiume sia determinato dalla sorgente e non vi sia fiume se non sgorga acqua da una sorgente, la forma assunta dal fiume (il tracciato, la forma dell’alveo) e la natura del fiume (più o meno limaccioso, ecc.) non sono determinate solo dalla sorgente e quindi non possono essere comprese in base alla sola conoscenza delle caratteristiche della sorgente; sono determinate anche dalle caratteristiche sia costitutive che accidentali del terreno e dell’ambiente, cosicchè è impossibile comprendere perchè un fiume abbia assunto quella data forma se non si è in grado di ricostruire la storia del suo formarsi, che è precisamente la storia della mediazione dell’acqua che sgorga dalla sorgente con i vari accidenti da essa incontrati.

Gli opportunisti di sinistra (i dogmatici) affermano l’essenza del processo ma negano le mediazioni tra essa e la realtà circostante che determinano le forme del suo apparire e della sua esistenza. Essi affermano l’eguaglianza tra due cose, l’essenza e una delle sue forme d’esistenza, la realtà e l’esistenza.

Gli opportunisti di destra negano l’essenza del processo in nome delle difformità dalla stessa delle sue forme d’esistenza e della varietà e contraddittorietà delle forme d’esistenza di un unico processo.

La forma assunta dalla società italiana con il Risorgimento è un modo di essere, una forma d’esistenza del modo di produzione capitalista. Chi cerca di capirla e di spiegarla negando questa sua causa (gli opportunisti di destra), dà spiegazioni casuali o a circolo vizioso dei suoi vari aspetti. Chi cerca di capirla e di spiegarla prescindendo dal materiale preesistente e concomitante con cui il modo di produzione capitalista si media dando origine alla società italiana moderna (gli opportunisti di sinistra), si arrampica sui vetri per mostrare la corrispondenza necessaria dei vari aspetti della società italiana all’essenza del modo di produzione capitalista.

Da quanto detto consegue che la conoscenza acquisita dell’essenza di una cosa assolutamente non basta per comprendere una sua forma d’esistenza; gli opportunisti di sinistra nella loro pigrizia mentale pretendono proprio questo.

L’altra conseguenza è che ogni essenza, ogni cosa reale può acquistare varie forme d’esistenza. Dall’essenza di una cosa non segue mai che essa può avere una ed una sola forma d’esistenza, non vi è mai un rapporto univoco tra realtà ed esistenza, tra essenza e fenomeno, tra causa generatrice e risultato del processo. La pretesa che esista un rapporto univoco è detta concezione meccanicistica del movimento.

La crisi della società capitalistica non genera necessariamente la rivoluzione socialista, la fecondazione di un uovo produce sia un aborto che un nuovo individuo, ecc.

La ricostruzione nella mente della catena di mediazioni, catena che è il cammino attraverso cui dall’essenza di un processo si generano le sue varie manifestazioni che cadono sotto i nostri sensi, è sia comprensione del movimento, delle concatenazioni reali tra i fenomeni, sia comprensione dell’essenza del processo. Questa ricostruzione è la formazione della coscienza rivoluzionaria, il suo risultato è la scienza rivoluzionaria.

Le organizzazioni soggettiviste hanno trascurato e trascurano il processo di formazione delle coscienze, non l’hanno posto come un campo specifico del lavoro rivoluzionario, governato da proprie leggi ed attuato con specifici strumenti. Infatti i soggettivisti pongono l’inizio del movimento della società nella volontà e nella coscienza degli uomini, che concepiscono come cause prime, dati originari e primordiali, che non hanno storia e quindi non richiedono alcuna spiegazione della loro esistenza. Negano che la coscienza e la volontà si formano dall’esperienza e attraverso il bilancio dell’esperienza e quindi ignorano il flusso dalla materia ai sensi e dai sensi alla coscienza, che ovviamente avviene egualmente alle loro spalle. Per le organizzazioni soggettiviste la comparsa di nuove forze rivoluzionarie, la formazione di nuovi rivoluzionari è un fatto ed esse si limitano nel migliore dei casi a cercare di organizzare le forze che spontaneamente si pongono sul terreno rivoluzionario.

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L’esigenza reale di trasformazione opera e si manifesta con continuità ed in ogni campo della vita della società. Quando non vediamo questo movimento, quando non comprendiamo le cause delle sue manifestazioni, dobbiamo porci il problema di vedere e di comprendere.

Ogni uomo, ogni gruppo di uomini, ogni società è in movimento; tutto il mondo si muove anche se noi non vediamo il suo movimento. Chi non lo vede ne è trascinato o travolto. Non svolge certo alcun ruolo di guida.

Succede che non vediamo in una cosa il suo movimento, che non vediamo che quella cosa si sta trasformando; se abbiamo una concezione del mondo ed una mentalità soggettiviste, ci poniamo allora il compito di smuoverla, di metterla in movimento. I soggettivisti sono tali appunto perchè pensano di essere loro a determinare il movimento dell’altro.

Se invece abbiamo una concezione del mondo e una mentalità materialista-dialettica, di fronte alla cosa che ci appare immobile, ci poniamo il compito

-  di riuscire a vedere il movimento che essa sta compiendo,

-  di comprendere le cause del suo muoversi, le sue forze motrici,

-  di comprendere i termini intermedi tra le forze motrici e le espressioni che ha il suo movimento,

-  di comprendere le possibili tendenze, i possibili risultati del suo movimento (che in generale sono più di uno).

A questo punto il comunista deve decidere quale esito e quale tendenza è più favorevole al suo obiettivo rivoluzionario, e quindi quale tendenza appoggiare, perchè come causa esterna può svolgere un ruolo. La chioccia se cova un uovo fecondato, che quindi può trasformarsi in pulcino o in massa putrescente, fa sì che si trasformi in pulcino. Ma se cova un sasso o un uovo non fecondato si ritroverà nella condizione del nostro soggettivista.

Non possiamo inventare le forze motrici del movimento di una cosa, né decidere quale esito deve avere il suo movimento; noi possiamo contribuire a farne diventare reale uno piuttosto che un altro tra quelli possibili.

Non possiamo neanche accelerare direttamente il movimento di trasformazione della società perchè tale accelerazione sarà determinata solo dal prevalere della tendenza più utile alla causa della rivoluzione tra quelle insite nel movimento attuale della società. Un’iniziativa che ha successo, convoglia nuove forze in quella direzione e quindi muta il rapporto delle forze e fa precipitare la situazione nel suo senso; l’osserviamo in ogni passaggio del nostro lavoro, in ognuno di noi, nelle nostre strutture.

Quindi noi acceleriamo il movimento di domani solo se abbiamo successo nel far trionfare oggi, nel movimento della società, la tendenza più favorevole alla rivoluzione.

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I soggettivisti accusano i materialisti-dialettici di sostenere che bisogna lasciare andare le cose per il loro verso, di riflettere la mentalità di quelli che si trascinano alla coda degli avvenimenti, di essere attendisti e codisti.

In effetti attendisti e codisti possono mascherarsi anche dietro la nostra tesi che ogni cosa è mossa da cause interne, che il mondo e il suo movimento esistono indipendentemente dal soggetto che li pensa e agisce. Ma i materialisti-dialettici sostengono anche che ogni movimento contiene in sè più di una tendenza e che può avere più di un esito; quello che si affermerà non può che essere uno di quelli oggettivamente contenuti nel movimento. Solo chi lavora perchè si affermi uno degli esiti possibili, contribuisce consapevolmente alla sua affermazione. Chi invece lavora per esiti posti dalla sua fantasia, disperde energie.

Ci distinguiamo dagli attendisti e dai codisti perchè non siamo contemplatori o interpreti della società che cambia, ma usiamo, per far trionfare la nostra causa, la comprensione delle tendenze, molteplici e contradittorie, insite nel movimento della società, di cui siamo parte. Le cose possono evolvere in più direzioni: ma in direzioni tutte poste e date oggettivamente, sono quelle e non altre; l’esito di un movimento non è mai univoco e scontato. La nostra attività è tesa a far prevalere, tra le tendenze oggettive, quella che corrisponde ai nostri obiettivi. Ciò è tutt’altra cosa che trascinarsi alla coda degli avvenimenti e dei movimenti, tutt’altro che attendere che le cose si compiano per loro conto. Così potrebbe forse agire chi fosse convinto che le cose possono andare solo in un modo (3).

Il nostro obiettivo attuale non è rendere i soggettivisti condiscendenti nei nostri confronti, accodandoci alle loro fantasticherie e andando con loro a sbattere la testa contro un muro, con la scusa che anch’essi sono nel campo della rivoluzione e che erano nostri compagni di lotta fino a ieri.

Proprio perchè eravamo compagni fino a ieri, quindi partecipi degli stessi errori, e assieme siamo , oggi dobbiamo romperere, se vogliamo uscirne, proprio con quello che essi si ostinano a essere e a conservare.

Non possiamo confonderci e/o subordinarci a loro. Ogni volta che nel percorso della nostra attività rivoluzionaria occorre fare delle scelte di una qualche importanza, dobbiamo rifiutare di sottostare ai soggettivisti, a costo di rompere con loro.

Il soggettivismo porta le forze rivoluzionarie alla sconfitta; le nostre concessioni ai soggettivisti rovinerebbero noi e loro.

E’ il successo del nostro lavoro nella trasformazione delle condizioni in senso favorevole alla rivoluzione che cambierà anche quei soggettivisti che non passeranno dalla parte del nemico (4).

Oggi per le sorti della rivoluzione dobbiamo rompere con i soggettivisti; il processo pratico di lotta politica che abbiamo alle spalle ci ha imposto questa rottura, che deve avvenire in modo materialistico, cioè non con una disputa sul soggettivismo e sul materialismo dialettico, ma attraverso uno scontro sul progetto politico, sul come procedere e sulla via da imboccare, basato sul bilancio dell’esperienza e quindi tale da fare uscire noi e chi sarà con noi sia dal pantano del soggettivismo sia dalla crisi politica attuale. Le rotture degli anni scorsi infatti ci insegnano una cosa: gli organismi che si sono formati hanno ritrovato al loro interno in gran parte gli stessi problemi su cui ci si era divisi. Cosa che succede quando i punti di scontro non sono stati chiariti a sufficienza nel bilancio delle esperienze comuni ed il chiarimento non è arrivato abbastanza in profondità da definire chiaramente due strade inconciliabili per il futuro e quindi determinare su quei punti schieramenti netti e definiti.

Dobbiamo sostenere oggi lo scontro che non abbiamo sostenuto ieri.


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