17 - Situazione internazionale

giovedì 1 marzo 2007.
 

Situazione internazionale

Comunisti, all’opera!

W il fronte delle classi sfruttate e dei popoli oppressi contro l’alleanza internazionale dei nuovi nazisti e dei loro complici!

 

Dopo aver ucciso e seppellito Arafat, Abu Mazen e Ariel Sharon martedì 8 febbraio si sono riuniti a Sharm el-Sheik per annunciare la pace tra i colonizzatori sionisti e i colonizzati palestinesi. Registi occulti del convegno i gruppi imperialisti USA. Registi ufficiali due loro agenti locali: Mubarak d‘Egitto e Abdallah di Giordania. Abu Mazen ha proclamato che la resistenza palestinese deporrà le armi e accetterà la direzione dello Stato razzista e teocratico eretto dai sionisti. Sharon si è degnato di accogliere benevolmente la resa. Uomini politici di primo piano e reputati commentatori dichiarano solennemente che “ora esistono serie prospettive di pace”. Forse perché è stato ucciso Arafat? Se la causa della guerra era lui, perché Sharon e Abu Mazen non l’hanno ucciso prima invece di tanti inutili “omicidi mirati”? Forse perché Abu Mazen e Sharon l’hanno deciso? Ma se questi due solo ora decidono di mettere fine a una sequela di morti e di sofferenze a cui potevano porre fine prima basta che si decidessero, che fiducia si può avere in simili criminali?

In realtà lo spietato colonialismo sionista resta tutto intero, l’oppressione continua a gravare sul popolo palestinese, il razzismo e l’intolleranza di Israele anche, il ruolo di avamposto imperialista in Medio Oriente è più attivo che mai. Abu Mazen non riuscirà dove la ferocia e gli intrighi dei sionisti non sono riusciti: a imporre alla resistenza palestinese di deporre le armi. Suo compito è palestinizzare la repressione (“che i palestinesi uccidano i palestinesi”). Le carte che Abu Mazen può giocare sono il sostegno dei sionisti d’Israele, dei gruppi imperialisti USA e dell’Unione Europea. Comunque neanche il successo di Abu Mazen basterebbe a fermare i sionisti e gli imperialisti USA. A Sharm el-Sheik nel 2005 non riuscirà il miracolo che non è riuscito nel 1938 a Monaco: gli aggressori si arresterebbero perché gli aggrediti si arrendono! La resistenza degli aggrediti non era la causa dell’aggressione: era l’effetto!

Sionisti e imperialisti USA hanno fretta, perché le cose vanno male per loro. Il tempo lavora a favore della resistenza palestinese. Essa è sempre meno sola a combattere. La resistenza irachena l’affianca già. E i gruppi imperialisti USA non vedono altra soluzione che attaccare la Siria e l’Iran, estendere il teatro della guerra. Ma con la guerra, anche la resistenza si estenderà a nuovi paesi. Per preparare l’aggressione della Siria hanno già destabilizzato il Libano, con l’attentato del 14 febbraio che è costato la vita all’ex capo del governo Rafic Hariri e alla sua scorta. Presto sorgeranno gravi problemi con la Turchia e il Kurdistan. Non basta. La resistenza irachena all’occupazione degli USA e dei loro satelliti sta un po’ alla volta portando all’esplosione altre contraddizioni internazionali.

I gruppi imperialisti USA non riescono a venire a capo della resistenza irachena. Dopo dieci anni di martellamento aereo sono passati all’occupazione territoriale. Non è bastata. In novembre hanno ridotto Falluja come Guernica, come Dresda, come Hiroshima. Una grande città che aveva 400.000 abitanti è stata rasa al suolo dall’aviazione e poi dinamitata dalla fanteria imperialista, secondo il modello di guerra messo a punto dai sionisti in Palestina. A distanza di tre mesi dal massacro, vietano ancora alla stampa internazionale di avvicinarsi ai sopravvissuti: Florence Aubenas e Giuliana Sgrena ci avevano provato e stanno pagando. Ma neanche tanto dispiegamento di barbara ferocia e la campagna di menzogne orchestrata ad uso delle masse popolari dei paesi imperialisti li hanno resi padroni del terreno. Il 30 gennaio sono andati a votare quegli iracheni a cui i capi religiosi e i notabili locali hanno ordinato di andare a votare e i risultati complicano la situazione degli occupanti. Ora non possono più nominare come “rappresentante democratico del popolo iracheno” il collaborazionista più di fiducia. Sia i notabili e il clero sciita sia i notabili kurdi creano agli occupanti altrettanti problemi con i vicini iraniani e turchi. Gli imperialisti e i loro consiglieri sionisti da una parte cercano affannosamente di irachenizzare la repressione (“che siano gli iracheni a uccidere gli iracheni per conto nostro”) e dall’altra non vedono altra via d’uscita che allargare la guerra all’Iran e alla Siria. Su questo terreno pretendono la collaborazione degli alleati della NATO, in primo luogo di Germania e Francia, almeno per finanziare la guerra, per addestrare truppe fantoccio e per fare pressioni su Iran e Siria. Rice, Rumsfeld e Bush sono venuti in Europa a costruire la coalizione di cui hanno bisogno.

L’occupazione dell’Iraq viene quindi a intrecciarsi ancora più strettamente con i contrasti tra gruppi imperialisti USA e franco-tedeschi e con la crisi economica e politica che attanaglia anche i due maggiori paesi europei. Qui i cambi di maggioranza governativa, che si profilano in entrambi i paesi, non risolveranno alcun problema. L’unico rabbercio, sia pur provvisorio, che la borghesia imperialista franco-tedesca può cercare è fare i conti con i gruppi imperialisti USA. Sono questi che, per stabilizzare il loro potere negli USA, succhiano risorse da tutto il mondo e aggravano la crisi economica e politica europea. L’unica valvola di sfogo comune di tutti i gruppi imperialisti in campo economico sono infatti i massicci investimenti in Cina e negli ex paesi socialisti. Qui saccheggiano senza restrizioni ogni risorsa e riescono a far lavorare operai specializzati ad un costo decine di volte inferiore a quello che pagano gli operai dei paesi imperialisti. Sfruttano fino all’esaurimento le risorse non rinnovabili materiali, intellettuali e morali accumulate durante il periodo socialista. L’alto livello d’istruzione e di preparazione professionale, di salute e igiene pubblica, le sane abitudini di vita e la grande capacità di lavoro, la fiducia nel progresso e l’abnegazione personale per raggiungerlo, l’eliminazione della rendita fondiaria, l’ambiente ben conservato sono tutti frutti del socialismo. Oggi i gruppi imperialisti di tutto il mondo li stanno esaurendo grazie alla collaborazione della nuova classe dirigente. Una classe formata da tre componenti una più raccomandabile dell’altra: 1. gli esponenti più cinici dei vecchi gruppi dirigenti revisionisti, 2. i caporioni delle reti criminali cresciute alla loro ombra durante il periodo della restaurazione graduale e pacifica del capitalismo, 3. gli avventurieri fascisti cresciuti nell’emigrazione rifugiatasi all’estero per sfuggire alla rivoluzione, ritornati pieni d’arroganza in patria dopo il crollo del 1990 e la controriforma di Teng Hsiao-ping. Questa gigantesca corsa a sfruttare fino all’esaurimento le risorse dei vecchi paesi socialisti, sta però producendo un cataclisma nei paesi imperialisti: delocalizzazione e deindustrializzazione che con la rinascita del movimento comunista alimentano la rivoluzione, senza la rinascita del movimento comunista producono emarginazione e disgregazione sociale, il caos.

Sostenere la guerra popolare rivoluzionaria in Nepal, in India, in Perù, nelle Filippine e in Turchia; sostenere la rivoluzione in Colombia e negli altri paesi; sostenere la resistenza irachena, palestinese e degli altri paesi arabi e musulmani; sabotare lo sforzo bellico degli aggressori: sono diritti e doveri delle classi oppresse dei paesi imperialisti. Ma non basta. La guerra in Medio Oriente come la rivoluzione in corso negli altri paesi non è una lotta di cui gli operai e le masse popolari del nostro paese sono spettatori e tutt’al più parteggiano per i combattenti e ammirano il loro eroismo. È importante comprendere e insegnare agli operai e alle masse popolari del nostro paese che le rivoluzioni dei paesi oppressi e la resistenza dei popoli arabi e musulmani sono una faccenda nostra e mobilitarsi in conseguenza per le proprie faccende. Infatti non si tratta solo di solidarietà internazionalista con i popoli oppressi. Si tratta innanzi tutto di un capitolo della nostra storia sociale e politica. L’aggressione contro cui i popoli arabi e musulmani combattono, lo sfruttamento feroce contro cui i popoli oppressi si ribellano sono un risultato dei contrasti di classe e dei contrasti tra i gruppi imperialisti dei nostri paesi; sono l’indice della acutezza a cui sta arrivando la crisi economica e politica dei paesi imperialisti; sono la prova della maturità della seconda ondata della rivoluzione proletaria nei nostri paesi, della situazione rivoluzionaria che stiamo vivendo. Quanto nei paesi imperialisti siano acuti i contrasti di classe e gli altri contrasti d’interesse che tuttavia qui non si dispiegano ancora in aperta violenza a causa della debolezza intellettuale e morale della direzione del proletariato e della relativa forza degli ordinamenti della borghesia, lo si vede chiaramente nei paesi oppressi dove essi mostrano tutta la loro forza nel selvaggio furore di distruzione che la relativa debolezza degli ordinamenti non riesce a soffocare completamente. Alcuni qui da noi vanno cercando nelle cronache locali la prova della situazione rivoluzionaria in cui viviamo: dove mai è questa situazione rivoluzionaria di cui parlate? Ebbene, quel che cercano sta davanti ai loro occhi, in grande evidenza. Basta solo che guardino oltre il loro naso! L’aggressione che i gruppi imperialisti stanno portando in tutto il mondo, lo sfruttamento feroce con cui mietono vittime nei paesi oppressi e negli ex paesi socialisti sono un riflesso della forza della situazione rivoluzionaria che si è creata nei paesi imperialisti. E a loro volta alimentano la liquidazione delle conquiste che le masse popolari dei nostri paesi avevano strappato durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. La causa di tutto questo furore distruttivo dei gruppi imperialisti non va cercata nella cattiveria e nei vizi personali dei capi che essi nominano come condottieri della loro guerra di sterminio. Sarebbe confondere gli strumenti con la causa. Sarebbe scendere al livello di imbecillità o di ciarlataneria di un Bill Clinton che a Davos, confrontato con il numero degli affamati che sembrano non morire mai, declama: “Eppure basterebbero 90 miliardi di dollari per comperare tutto il cibo che serve in un anno!”. Come se dovesse risolvere il problema di dare da mangiare a una torma molesta di cagnolini, come se la fame di cui sta parlando non fosse un ingranaggio del meccanismo di cui anche la sua opulenza è un ingranaggio! Non cercate più qua e là la prova che la situazione è rivoluzionaria, piuttosto agite come essa comporta!

Certo sarebbe un errore pensare che quando una rivoluzione è, per le condizioni dello sviluppo economico e sociale, del tutto matura, le classi rivoluzionarie hanno sempre la forza sufficiente per compierla, che ogni situazione rivoluzionaria sfocia in una rivoluzione. La società umana non è costruita in modo così razionale e “comodo” per gli elementi d’avanguardia. La rivoluzione può essere matura e la forza dei suoi protagonisti può non essere sufficiente per realizzarla: se nei paesi imperialisti i comunisti non costituiscono partiti all’altezza della situazione, la rivoluzione socialista qui non si sviluppa. Allora la società imputridisce e il suo stato di putrefazione a volte si protrae per decenni. È indubbio che la rivoluzione socialista è matura in Europa e negli USA. Ma hanno le classi rivoluzionarie la forza per compierla? Lo deciderà la lotta! Certo è anche che, se nei nostri paesi la controriforma in corso non suscitasse una resistenza abbastanza forte e dovesse prevalere per un lungo periodo (e questo evento dipende dalla lotta politica che sapremo condurre, è una questione che dipende dalla capacità, abilità e determinazione di tutti noi rivoluzionari), la rivoluzione si affermerà altrove, nei paesi oppressi, come è già successo nella prima parte dell’epoca imperialista e arriverà sulle nostre sponde come prolungamento degli eventi che là avranno il loro centro, come uno tsunami sociale.

Al lavoro quindi, compagni!

Anna M.