La Voce 13

CdP Carlo Marx - La resistenza delle masse popolari

I Comitati di Partito all’opera
giovedì 27 marzo 2003.
 

Cari compagni,

aderiamo di buon grado all’invito che avete fatto nel n. 12 della rivista (pag. 7) e vi inviamo un contributo per il nuovo progetto di Manifesto Programma che state preparando. Non è formulato come pezzo da inserire tal quale nel vecchio PMP del ’98 perché non sappiamo come intendete procedere nella nuova formulazione. Siamo convinti che però non vi sarà difficile usare il contributo che vi inviamo. Precisiamo che esso, come contenuto, formula solo in maniera secondo noi più netta concezioni e tesi che sono già state formulate qua e là sulla rivista (ad es. nella Risoluzione della 4° riunione della CP, a pag. 41 e 42 sempre del n. 12).

Il tema del nostro contributo è: quali sono le forme principali della resistenza delle masse popolari di fronte al procedere della crisi generale del capitalismo?

La linea generale del partito comunista che stiamo costruendo è: “unirsi strettamente e senza riserve alla resistenza che le masse popolarti oppongono e opporranno al procedere della seconda crisi generale del capitalismo, comprendere e applicare le leggi secondo cui questa resistenza si sviluppa, appoggiarla, promuoverla, organizzarla e far prevalere in essa la direzione della classe operaia fino a trasformarla in lotta per il socialismo, adottando come metodo principale di lavoro e di direzione la linea di massa” (PMP pag. 58).

Anzitutto è importante mettere la resistenza delle masse popolari al centro della nostra attenzione e quindi l’inchiesta come punto di partenza di ogni nostro lavoro. A ogni obiezione del tipo “ma chi ci insegna a fare inchiesta?”, la risposta è “si impara a farla facendola” e “chi ha fatto più esperienza e sa di più, insegna a chi ha fatto meno esperienza e sa di meno”. Ovviamente però il partito deve organizzare e organizzerà sempre più sistematicamente e professionalmente anche scuole per insegnare a fare inchiesta. Un vero partito comunista è pervaso dal compito di insegnare ai suoi membri a fare cose dal fare le quali la società borghese esclude i membri delle masse popolari; i membri di un vero partito comunista a loro volta devono essere pervasi dallo slancio a imparare a fare quello che non sanno ancora fare.

Per fare inchiesta, bisogna avere presente cosa cerchiamo e perché lo cerchiamo (l’obiettivo dell’inchiesta). Quanto all’obiettivo, esso non è la conoscenza per il piacere di conoscere, ma quello ben indicato nella nostra linea generale che abbiamo appena ricordato. Quanto a quello che cerchiamo, occorre capire cosa intendiamo per “resistenza che le masse popolari oppongono e opporranno al procedere della seconda crisi generale del capitalismo”.

Le masse popolari non sono un aggregato indistinto e uniforme di individui dotati solo di istinti. Sono composte da individui variamente aggregati che lottano come possono (con gli strumenti materiali, organizzativi, morali e intellettuali di cui per il loro percorso storico dispongono) contro le difficoltà che l’ordinamento sociale e la classe dominante impongono ad essi. Il problema è che “se solo le larghe masse sono attive senza che ci sia un forte gruppo dirigente capace di orientare in modo appropriato la loro attività, tale attività non potrà durare a lungo né svilupparsi nella direzione giusta, né raggiungere un alto livello” (Mao).

La seconda crisi generale del capitalismo porta inevitabilmente la classe dominante a cercare di eliminare le conquiste che le masse popolari le hanno strappato nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria. Non solo, essa deve cercare di creare condizioni adeguate alla valorizzazione del capitale che ha accumulato la cui massa è cresciuta oltre ogni misura raggiunta nel passato. In realtà è impossibile valorizzare tutto il capitale accumulato. La borghesia si è chiusa in una trappola: il guaio è che ha chiuso anche le masse popolari nella sua trappola. Queste possono uscirne e cercano di uscirne: questa è la loro resistenza. La trappola in cui la borghesia si è chiusa è costituita dal fatto che essa vuole far durare il modo di produzione capitalista oltre i limiti propri alla sua natura. È schiava delle leggi del modo di produzione di cui è espressione. È, in termini pratici, chiusa in una impresa impossibile che, detto metaforicamente, è nella pratica ciò che un paradosso è nella logica.

Il paradosso è un ragionamento, apparentemente inconfutabile se resti nella sua logica, che porta a conclusioni in chiaro contrasto con la realtà. Consideriamone uno celebre. Achille pieveloce parte alla rincorsa di una tartaruga che si trascina dieci metri davanti a lui. Riuscirà a raggiungerla? Impossibile. Consideriamo infatti attentamente come si svolgono le cose. In un attimo Achille compie i dieci metri che lo separavano dalla tartaruga. Ma durante quell’attimo la tartaruga è avanzata di un trattino, quindi Achille non l’ha raggiunta. Mentre Achille supera quel trattino, la tartaruga a sua volta avanza di un altro trattino, inferiore al primo ma certo non nullo. E così via all’infinito. Achille quindi si avvicinerà sempre di più alla tartaruga, ma non riuscirà mai a raggiungerla.

Cosa vuol fare la borghesia nella pratica? Consideriamo come esempio pratico la questione delle pensioni. Vista al modo in cui ragiona il capitalista, risulta che il sistema pensionistico pubblico non può durare. La vita degli uomini si allunga e la percentuale di anziani sulla popolazione complessiva aumenta. Perciò i lavoratori attivi dovranno mantenere un numero crescente di anziani. Una quota crescente del loro salario dovrà quindi essere destinata a contributi previdenziali. Se portate questa tendenza al limite, avete che i lavoratori attivi dovranno lavorare solo per mantenere i pensionati e lavoreranno sempre di meno, perché, secondo la mentalità dei capitalisti che essi come classe dominante riverberano su tutta la società, ogni individuo lavora solo se guadagna soldi e tanto più quanti più soldi guadagna. Una situazione assurda, ma è il ragionamento che è assurdo, è un paradosso come il ragionamento che dimostra che Achille pieveloce non riuscirà mai a raggiungere la tartaruga. Perché la realtà, tanto semplice che ognuno la capisce, è che già oggi la quantità di beni e di servizi che gli uomini di fatto producono è, a causa dell’ordinamento sociale in cui sono costretti (disoccupazione, parassiti, speculazioni, persone che non lavorano, sistemi di lavoro arretrati, lavori inutili e dannosi), enormemente inferiore a quella che potrebbero produrre. È parimenti ragionevole ritenere che la quantità di beni e servizi che gli uomini potranno produrre nel futuro può crescere illimitatamente, grazie all’aumento della produttività del lavoro. Conclusione pratica: è assurdo prospettare un futuro di penuria, è solo un imbroglio per penalizzare da subito gli anziani (meno pensioni) e i lavoratori attivi (mettere i propri soldi nelle mani dei finanzieri). Che il ragionamento sulle pensioni fatto dai capitalisti sia un paradosso che i capitalisti avanzano per imbrogliare, lo si capisce anche se si pensa che a maggior ragione da esso, se rispecchiasse la realtà, dovrebbero ricavare la conclusione che il capitalismo non può durare. Infatti anche la quantità di capitale cresce illimitatamente perché di generazione in generazione si accumula capitale. Ora, il capitale deve essere “remunerato” con un profitto. Ne viene che una quota crescente del prodotto del lavoro dovrebbe essere destinata alla remunerazione del capitale. Se portate questa tendenza al limite, arrivate a una conclusione analoga a quella vista sopra: i lavoratori dovranno lavorare solo per remunerare il capitale e quindi, come sopra visto, lavoreranno sempre di meno. Tanto poco i capitalisti accettano questa conclusione, che oggi cercano addirittura di far dipendere anche la pensione degli anziani dalla “remunerazione” del capitale (fondi pensione), anziché dai contributi previdenziali che i lavoratori attivi versano espressamente per le pensioni.

Chiusa la digressione, resta che i capitalisti devono eliminare le conquiste e stringere ancora di più, sempre di più, la morsa attorno ai lavoratori per ricavare profitti per il loro capitale che è cresciuto oltre ogni misura raggiunta nel passato. Le masse popolari quindi lottano contro questo corso delle cose come possono. Ogni settore delle masse popolari lotta secondo le esperienze, il grado di coscienza, le forme di organizzazione e di solidarietà che eredita dalla storia. Ciò in positivo. In negativo lotta sulla base delle divisioni, dei pregiudizi, dell’arretratezza e delle condizioni di asservimento personale, economico, morale e intellettuale alla classe dominante che eredita dal passato. Un aspetto generale è che le masse popolari sono divise (per esperienza di lotta, per livello di sviluppo morale e intellettuale raggiunto, per condizioni economiche e organizzative, per padrone da cui dipendono, per classi, per mestiere, per zone, per sesso, per nazione, per lingua, per cultura, per religione, per razza, ecc.) e che la classe dominante ha tutto l’interesse e ha mille strumenti per mantenere e accentuare queste divisioni. Una legge generale è che la borghesia imperialista trasforma capillarmente e costantemente la contraddizione tra sé e le masse popolari in contrasti tra settori delle masse popolari: molto più facile cavarsela per lei. Se ad esempio deve licenziare operai dell’industria automobilistica (contraddizione tra borghesia e classe operaia), ecco che mette in gara gli uni contro gli altri operai tedeschi, italiani o spagnoli da una parte e dall’altra operai polacchi, cechi, rumeni, brasiliani o cinesi. Se ad esempio deve abbassare i salari e rendere più precarie le condizioni di lavoro (contraddizione tra borghesia e classe operaia), ecco che mette in gara gli uni contro gli altri gli operai del paese da una parte e dall’altra gli operai immigrati. Un’altra legge generale è che ogni settore delle masse popolari lotta per difendere le conquiste e lotta per migliorare le proprie condizioni: quindi difesa e attacco sono già spontaneamente presenti nella lotta delle masse popolari.

Noi comunisti, per mettere in pratica la nostra linea e raggiungere così il nostro obiettivo, dobbiamo settore per settore e fase per fase capire come si sviluppa la sua resistenza al procedere della crisi generale del capitalismo. Questa è il punto di partenza per definire la linea che dobbiamo seguire in quel settore in quella fase per realizzare il nostro obiettivo.

Per procedere nell’inchiesta, a noi pare che occorre considerare cinque grandi forme della resistenza che sono tra loro ben distinte. Tanto che è necessario che il partito elabori e attui (e in qualche misura già lo stiamo facendo) tattiche diverse per attuare la sua linea generale.

Le cinque grandi forme della resistenza da distinguere a nostro parere sono le seguenti.

1. Rinascita del movimento comunista.

2. Lotte sindacali e rivendicative e manifestazioni di protesta.

3. Organizzazioni della società civile: associazionismo e volontariato.

4. Resistenza individuale: carrierismo e delinquenza.

5. Mobilitazione reazionaria.

Vogliamo caratterizzare ognuna di queste grandi forme della resistenza.

1. L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ha lasciato in certi settori delle masse popolari e in particolare della classe operaia la volontà di costruire nuovamente il partito comunista, di ristabilire il socialismo e di estenderlo ad altri paesi. Questa forma di resistenza è più evidente negli ex paesi socialisti, dove milioni di uomini e donne hanno ancora una esperienza diretta di quello che erano i paesi socialisti e, anche se hanno per lo più conosciuto società socialiste imbastardite dai revisionisti moderni, di fronte al baratro di infamie, di vergogne e di criminalità in cui li ha precipitati il capitalismo “puro e duro”, aspirano a ritornare al socialismo. Come aveva annunciato Eric Honecker, quando questo vecchio militante antinazista si trovò dopo la “caduta del muro” nuovamente sottoposto al tribunale degli eredi dei suoi vecchi persecutori, “anche se noi abbiamo certamente commesso degli errori, a contatto con la società capitalista molti dei nostri concittadini si renderanno conto di aver avuto un’infanzia più serena di quella dei loro coetanei vissuti al di qua del muro, molte donne si renderanno conto che avevano raggiunto un ruolo nella società che le loro coetanee di qua dal muro non hanno mai conosciuto, molti lavoratori si renderanno conto che vivevano in condizioni di sicurezza e di dignità che i loro coetanei di qua dal muro non hanno mai conosciuto”. La concezione che molti in questi settori hanno del socialismo è inquinata da decine di anni di corruzione e di ipocrisia dei revisionisti moderni che guidarono i paesi socialisti al crollo. Per questo oggi non sono alla testa della rinascita del movimento comunista, come la loro esperienza organizzativa e il loro sviluppo morale e intellettuale renderebbero possibile. Ma essi dispongono di un enorme patrimonio di esperienze che noi non abbiamo mai avuto. Inoltre la restaurazione del capitalismo in questi paesi non è ancora completata: essa deve ancora distruggere le condizioni in cui sia pure miserabilmente milioni di uomini e donne sopravvivono.

Anche da noi la necessità di avere un partito comunista è sentita a livello di massa. Almeno dal periodo della Resistenza, il comunismo è stato un’esperienza popolare. Milioni di uomini e di donne delle masse popolari hanno fatto esperienza di partecipazione diretta all’attività politica nell’ambito del vecchio partito comunista e di organizzazioni da esso dirette. L’aspirazione a trasformare la società e a instaurare il socialismo è stata per anni ampiamente diffusa tra le masse popolari che l’hanno ritenuta un obiettivo del tutto realizzabile. Alcuni milioni di uomini e donne votano per il PRC, migliaia militano nella FSRS. Un’alta percentuale di lavoratori è iscritta a organizzazioni sindacali e l’organizzazione sindacale più numerosa è la CGIL, il sindacato di regime più direttamente derivato dal vecchio movimento comunista. Nonostante la corruzione e corrosione del vecchio movimento comunista ad opera dei revisionisti moderni, esso ha lasciato segni ancora imponenti nella “costituzione materiale” del nostro paese. Le FSRS sono parte di questa eredità. La lotta armata degli anni ’70 e le OCC di oggi fanno a loro modo parte di questa eredità. Le deviazioni che più volte abbiamo denunciato (il neorevisionismo, l’economicismo e il militarismo) nascono sul terreno di questa eredità. Sono il pessimismo e il disfattismo che portano a considerare le deviazioni e non il terreno su cui nascono: sarebbe come considerare i rami di un albero e non il tronco principale da cui derivano. Tutto questo in positivo costituisce una potente traccia del futuro che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha inciso nella nostra società. In negativo, sono incrostazioni da cui dobbiamo liberarci perché ci intralciano come una cattiva ma radicata idea di una cosa ostacola la vera conoscenza di essa, come i pregiudizi ostacolano la scienza. È del tutto sbagliato ritenere che la spontaneità delle masse di un paese che ha partecipato profondamente alla prima ondata della rivoluzione proletaria sia, nel bene e nel male, eguale alla spontaneità delle masse precedente ad essa. La spontaneità delle masse popolari del nostro paese oggi contiene quanto è sedimentato in esse dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria.

A questi settori delle masse popolari appartengono le FSRS, le OCC e i lavoratori avanzati della prima categoria. Su di essi l’influenza ideologica della borghesia opera soprattutto attraverso la confusione, la mistificazione e il camuffamento (trotzkismo, bordighismo, ecc.) per alimentare deviazioni, impedire la crescita della coscienza politica e dell’organizzazione comuniste, neutralizzare, isterilire e separare dal corpo vivo del movimento comunista che va rinascendo. Sono settori delle masse a cui noi comunisti dobbiamo dare un giusto orientamento e una salda organizzazione a partire dai loro ideali comunisti, dalla loro volontà di ricostruire il partito comunista e instaurare il socialismo. Il Fronte Popolare e la politica da fronte sono aspetti del lavoro che bisogna fare verso questi settori più organizzati delle masse popolari.

2. “I lavoratori “di una data categoria in un dato luogo lottano contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente”, la loro resistenza resta confinata alle lotte sindacali e rivendicative, intrisa di illusioni riformiste e di deviazioni spontaneiste e avventuriste; in vari casi la resistenza si sviluppa sotto la direzione di organizzazioni asservite alla borghesia imperialista, di sindacati di regime e di residue organizzazioni di massa del vecchio movimento socialista e comunista oramai succubi della borghesia o addirittura manovrate da essa” ( La Voce n. 12).

Si tratta di settori di lavoratori su cui la borghesia mantiene una certa direzione pratica attraverso l’aristocrazia operaia, ma deve continuamente camuffare i propri interessi travestendoli da interessi dei lavoratori. È una direzione relativamente debole. Le organizzazioni sindacali sono già di per se stesse una scuola di comunismo nella misura in cui non sono solo uffici parastatali per le pratiche e le querele professionali, ma sono “operai che si associano per far valere le loro esigenze”: dobbiamo sviluppare questo aspetto in tutti i campi: ideologico (concezione del mondo, orientamento), politico (parole d’ordine, iniziative), organizzativo (democrazia dei lavoratori).

I lavoratori comunisti devono partecipare all’attività sindacale e rivendicativa per imparare, dare un indirizzo e rafforzare la nostra presenza organizzativa nei sindacati e nelle altre organizzazioni di categoria dei lavoratori fino a prenderne la direzione. In questo lavoro concreto dobbiamo far leva sul contrasto tra gli interessi immediati dei lavoratori e la gestione privata e pubblica della società da parte della borghesia imperialista. Quanto alla aristocrazia operaia che dirige i sindacati di regime, essa è legata da mille fili alla borghesia imperialista, ma non può neanche contrapporsi apertamente alla massa dei lavoratori. Dobbiamo far leva su questa contraddizione a cui non può sfuggire e che la dilania per epurarla e costringerla a lavorare “per chi la paga”. Non è vero che i lavoratori comunisti non riusciranno a impadronirsi dei sindacati di regime: non ci riusciranno finché lottano in ordine sparso e senza unirsi nel partito comunista.

A questa forma della resistenza corrispondono i lavoratori avanzati della seconda categoria.

3. Organizzazioni della società civile: associazionismo, volontariato.

È un campo in cui abbiamo poca esperienza, ma è un terreno per noi favorevole. I gruppi operanti in questo campo compiono nella società borghese quello che erano in Unione Sovietica i “sabati comunisti” illustrati da Lenin nello scritto La grande iniziativa (luglio 1919). Sono la dimostrazione pratica che i capitalisti non inquinano completamente neanche la società attuale con la loro mentalità preistorica e barbarica (“lavoro solo se mi arricchisco”), che già la società attuale per stare in qualche modo in piedi deve ricorrere a forme di attività non capitaliste. Esprimono l’atteggiamento verso il lavoro che nella società comunista sarà l’atteggiamento predominante, benché lo esprimano in una maniera intrisa di spirito borghese e in cui si mescola il tanfo della filantropia, delle opere pie, del paternalismo, della carità ipocrita dei ricchi verso gli schiavi che essi stessi tengono in miseria. Noi comunisti dobbiamo sviluppare l’aspetto di scuola di comunismo che queste organizzazioni contengono e combattere l’aspetto di complemento pietoso, rimedio, pezza allo sfruttamento e all’oppressione che la borghesia fa loro svolgere.

A questa forma della resistenza corrispondono i lavoratori avanzati della terza categoria.

4. “I singoli proletari ed elementi delle masse popolari “lottano uno ad uno contro la borghesia”. La loro resistenza sfocia e si disperde nel ribellismo individualista, nell’abbrutimento individuale, in tentativi di salvarsi individualmente e aprirsi individualmente una strada, in comportamenti genericamente antisociali di individui e di piccoli gruppi, in aggressioni e vandalismi senza distinzione di classe, in criminalità generica anarchica e individualista che imita il comportamento dei capitalisti, in attività sovversive di individui e di piccoli gruppi slegati tra loro” ( La Voce n. 12).

Questo è il settore della resistenza delle masse popolari in cui la direzione ideologica della borghesia è relativamente forte. La ribellione individualista alla condizione di miseria in cui l’attuale ordinamento della società relega milioni di uomini e donne contiene però due aspetti: la ribellione e l’individualismo. Ovunque troviamo il modo di dividerli e contrapporli, raggiungiamo il nostro obiettivo. Abbiamo punti su cui far leva: dei molti aspiranti, pochi hanno successo. Di fronte alla massa degli aspiranti, che il suo ordinamento sociale genera e continuamente rigenera, la borghesia non può fare altro che moltiplicare poliziotti, magistrati, prigioni, corpi di polizia di ogni specie, pubblica e privata, telecamere e altre misure di controllo e di protezione per la sua proprietà. La forza del movimento comunista è un fattore essenziale per esercitare direzione in questo campo: tutti i tentativi di partire da questo campo prima di essere già forti, sono stati e saranno fallimentari, per la natura del campo e la correlazione tra classi che esiste nella società imperialista. Tuttavia è importante valorizzare la tendenza a passare dalla ribellione individualista alla guerra sociale, ad assumere connotati di ribellione all’ordinamento sociale, ad acquistare una certa coscienza di classe. Tra i proletari prigionieri e tra i giovani questa tendenza si manifesta con una certa forza.

A questa forma della resistenza corrispondono i lavoratori avanzati della quarta categoria. Ma non solo. Vi corrispondono anche arrampicatori sociali, carrieristi, speculatori e criminali, finché non hanno successo. Quelli che hanno successo passano nel campo della borghesia imperialista.

5. “In altri casi i lavoratori, anziché lottare contro i rapporti borghesi di produzione e la classe che a forza ne impone la conservazione, lottano contro altri lavoratori. Di fatto succede che la borghesia imperialista trasforma la contraddizione tra sé e le masse popolari in mille contraddizioni tra parti e settori delle masse popolari e la resistenza delle masse popolari al procedere della crisi del capitalismo si sviluppa sotto la direzione di forze apertamente reazionarie, fasciste e razziste” ( La Voce n. 12).

Questo è il settore della resistenza delle masse popolari in cui la direzione della borghesia imperialista non è solo ideologica, ma anche organizzativa, pratica, militare, attiva. È il campo della mobilitazione reazionaria delle masse. È il campo degli sgherri della borghesia, dei poliziotti, delle guardie pubbliche e private, ufficiali e segrete, dei militari di carriera, dei proletari e lavoratori più abbrutiti e asserviti, di quelli che la borghesia mobilita contro gli altri lavoratori, in nome della difesa dell’ordine, della proprietà, della religione, della razza, della nazione, della tradizione, ecc. ecc., facendo leva sulle divisioni ereditate storicamente e trasformandole in contrapposizioni antagoniste. La borghesia tuttavia deve mascherare i contrasti di classe sotto il mantello dell’unità di razza, nazione, religione, ecc. Ma mascherare non è sopprimere. Noi comunisti possiamo sviluppare la nostra influenza in questo campo nella misura in cui abbiamo stabilito dei rapporti di forza a noi favorevoli, facendo leva sugli antagonismi di classe che la borghesia non può eliminare e che si manifestano in mille aspetti nella vita e nell’attività quotidiana di questo campo, in particolare quando subisce sconfitte.

A questa forma della resistenza corrispondono i lavoratori avanzati della terza categoria. Ma soprattutto corrispondono proletari e lavoratori autonomi che costituiscono, promuovono e organizzano corpi militari e paramilitari, squadre fasciste, razziste, ecc.: gli eserciti della guerra di classe condotta agli ordini della borghesia imperialista.

Di fronte a ogni settore delle masse popolari, dobbiamo chiarirci a quale di queste cinque grandi forme della resistenza appartiene l’attività che svolge e adattare la nostra attività via via meglio alle caratteristiche del settore. Si tratta di una analisi della resistenza a grandi linee. Man mano che avanziamo nel lavoro certamente riusciremo ad avere una comprensione migliore, più dettagliata e più giusta della realtà. (...)

 

La redazione di La Voce ritiene importante che ogni CdP sviluppi analisi dettagliate della resistenza nei singoli settori in cui svolge la sua attività e che sperimenti linee di intervento e di lavoro corrispondenti. Tutte queste attività in questa fase devono però avere come obiettivo principale la ricostruzione del partito comunista: creare un terreno favorevole alla ricostruzione, raccogliere forze e risorse per la ricostruzione, accumulare esperienza e costruire relazioni per il futuro partito. Bisogna evitare di cadere nell’illusione di ottenere nell’immediato grandi risultati in termini di mobilitazione delle masse popolari sotto la direzione del partito. Osare lanciarsi in avanti con obiettivi chiari e corrispondenti alla fase!