La Voce 27

La controrivoluzione preventiva

Problemi di strategia
giovedì 1 novembre 2007.
 

L’imperialismo è l’epoca del declino dell’ordinamento sociale capitalista e dell’avvento del socialismo, la fase di transizione al comunismo. I marxisti, Lenin in primo luogo, hanno derivato questa tesi dallo studio del modo di produzione capitalista. È però un fatto che in nessun paese imperialista il movimento comunista è finora riuscito ad instaurare il socialismo. Perché non siamo ancora riusciti a realizzare questo obiettivo benché da quando è incominciata l’epoca imperialista ci siano state due guerre mondiali, tante rivoluzioni di nuova democrazia che hanno costituito i primi paesi socialisti in paesi arretrati, tanti sconvolgimenti dell’ordine mondiale, benché vi sia stato persino il crollo dello Stato borghese in vari paesi imperialisti tra cui l’Italia (1943)?

La risposta articolata e argomentata a questa domanda costituisce uno degli argomenti principali del Manifesto Programma del Partito. In sintesi la risposta è che noi comunisti abbiamo cercato di fare la rivoluzione nei paesi imperialisti, ma non conoscevamo ancora a sufficienza le leggi della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Abbiamo per molti aspetti agito alla cieca. Per questo abbiamo subito delle sconfitte. Una delle condizioni della rivoluzione socialista che non conoscevamo a sufficienza era la natura del regime politico che la borghesia imperialista ha instaurato nei paesi imperialisti per prolungare il suo dominio: il regime della controrivoluzione preventiva. Riportiamo qui di seguito, parafrasandola, la presentazione di questo regime, tratta dal Manifesto Programma del Partito.

 

All’inizio dell’epoca imperialista, la controrivoluzione preventiva divenne il nuovo regime politico dei paesi borghesi più avanzati, dei paesi imperialisti. Essa storicamente (cioè dal punto di vista dell’evoluzione storica, del progresso dell’umanità verso il comunismo) costituisce un grande passo avanti rispetto ai regimi che la borghesia aveva instaurato nei paesi dell’Europa Occidentale dopo la rivoluzione europea del 1848. Con essa la borghesia riconosce implicitamente il ruolo nuovo che le masse popolari hanno assunto nella vita sociale rispetto a quello che avevano nelle società che hanno preceduto le società borghesi: la borghesia non può fare a meno di un certo grado di collaborazione delle masse popolari e il suo Stato è responsabile del benessere delle masse popolari: infatti questo oramai dipende più dall’ordinamento della società che dalla lotta contro la natura. Con la controrivoluzione preventiva tuttavia la borghesia ha costruito una barriera all’instaurazione del socialismo e il movimento comunista non è ancora riuscito a varcarla in alcun paese imperialista.

Gli USA erano il paese dove il modo di produzione capitalista si era sviluppato più liberamente, meno intralciato dalle eredità feudali. Fu lì che contro il fiorente movimento comunista americano la borghesia tra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX mise a punto e collaudò la controrivoluzione preventiva.

In cosa consiste il regime di controrivoluzione preventiva?

I rapporti sociali capitalisti sono tali che la borghesia ha bisogno di un certo grado di collaborazione degli operai, del proletariato e del resto delle masse popolari. Non riesce a sfruttare una massa ostile, fondandosi a lungo principalmente sulla forza e il terrore. Questo è uno dei suoi “tallone d’Achille”, su cui noi comunisti possiamo e dobbiamo far leva. La borghesia ha bisogno degli operai per valorizzare il suo capitale. Anche noi comunisti abbiamo bisogno degli operai: il mondo attuale lo possono cambiare solo le masse popolari guidate dagli operai. Fin dal Manifesto del 1848 noi comunisti siamo coscienti che “facciamo la storia” solo perché siamo la loro avanguardia: il partito comunista non è che lo Stato Maggiore della classe operaia che lotta contro la borghesia. Noi comunisti mobilitiamo e organizziamo gli operai perché prendano il potere: senza di loro noi siamo impotenti. Le migliori teorie, i propositi più generosi, l’attivismo più eroico non modificano la società, se non sono fatti propri dalla massa degli operai, se non assunti dagli operai come guida della loro attività. La volontà e gli sforzi individuali per creare un nuovo mondo sono efficaci se contribuiscono a mobilitare e organizzare gli operai. I comunisti quindi lavorano per accrescere la coscienza e l’organizzazione degli operai e delle masse popolari. Per questo, a differenza dei codisti, noi non andiamo a parlare agli operai di quello di cui già si interessano: andiamo a parlare di quello di cui devono interessarsi per avanzare (mobilitarsi e mobilitare, organizzarsi e organizzare), lottare e vincere - sta a noi trovare i modi di indurre gli operai avanzati ad ascoltarci. A sua volta la borghesia per indurre gli operai e le masse popolari a collaborare con essa, per mantenere o ristabilire la loro collaborazione, per prolungare il suo dominio deve impedire che il nostro lavoro abbia successo.

Nei primi decenni del movimento comunista la borghesia aveva lottato contro i comunisti alla vecchia maniera, grossomodo come il vecchio regime delle monarchie assolute, della nobiltà e del clero aveva lottato contro la borghesia per impedirle di impadronirsi del potere politico. Ma ben presto il movimento comunista rese inefficaci o comunque insufficienti quei metodi. Questo prima che altrove divenne evidente negli USA, un paese dove le eredità feudali erano più deboli. Il movimento comunista sfruttava per l’emancipazione degli operai e, al loro seguito, del resto delle masse popolari dalla borghesia, le nuove condizioni sociali e le istituzioni politiche che la borghesia stessa aveva creato e di cui non poteva fare a meno: le libertà individuali, la cultura e l’istruzione, la libertà di associazione, la partecipazione popolare alla vita politica, il riconosciuto e proclamato diritto universale ad una vita dignitosa e felice. Insomma, tutto quello che nella lotta contro il vecchio regime la borghesia aveva proclamato diritto universale, il movimento comunista grazie alla concezione e alla linea elaborate da Marx ed Engels lo traduceva in strumenti concreti di emancipazione degli operai dalla borghesia: le idee assimilate dalle masse diventavano una forza materiale. La coscienza e l’organizzazione facevano degli operai la forza dirigente della società.

Finché il proletariato era stato debole, la borghesia era stata rivoluzionaria. Aveva lottato per la democrazia contro i rapporti di dipendenza personale (patriarcali, schiavisti, feudali, religiosi, ecc.) su cui si basavano le vecchie società; per la libertà, per la sovranità popolare contro il feudalesimo, l’assolutismo monarchico e l’oscurantismo clericale. Ma l’estensione al proletariato, alle masse dei paesi imperialisti e ai popoli delle colonie dei diritti della democrazia borghese, del riconoscimento formale dell’eguaglianza, dell’eguale diritto di concorrere a determinare l’indirizzo dello Stato e a governare, appena il movimento comunista faceva valere tutto questo praticamente, si scontrava con la necessità, inscritta nei rapporti economici, di mantenere la dittatura della borghesia sulle classi sfruttate e sui popoli oppressi. Finché un paese resta borghese quanto ai rapporti economici (cioè resta basato su relazioni mercantili e sull’iniziativa economica e la proprietà dei capitalisti), lo Stato deve anzitutto difendere e promuovere gli interessi della borghesia. In ogni società capitalista, la dittatura politica della borghesia è economicamente necessaria, benché le forme che essa assume cambino a secondo delle circostanze concrete. D’altronde, se i capitalisti non fanno buoni profitti tutta l’attività economica del paese, finché il suo ordinamento sociale resta borghese e quindi l’iniziativa economica resta appannaggio dei capitalisti, va in rovina e con essa viene sconvolta la vita di tutte le classi. Su queste basi la borghesia poteva far leva per mobilitare al suo servizio anche in campo politico la classe operaia e le altre classi delle masse popolari.

Da quando il proletariato riuscì a creare partiti che partecipavano con efficacia alla lotta politica borghese, a costruire forti organizzazioni sindacali, a creare una rete di svariate organizzazioni di massa e quindi fu in grado di far valere effettivamente per la massa della popolazione i diritti della democrazia borghese che la borghesia si limitava a proclamare, la borghesia non poté più tollerare la democrazia. Essa divenne per forza di cose il centro di raccolta di tutte le forze reazionarie. Nell’attività delle sue autorità e del suo Stato, la sicurezza del suo ordinamento sociale (ribattezzata “sicurezza nazionale”) prese e doveva prendere il sopravvento sul rispetto dei diritti democratici degli individui e delle associazioni, sulle leggi e sulle costituzioni. Il contrasto tra l’asservimento economico e sociale della massa della popolazione e la democrazia borghese divenne antagonista. La legalità borghese soffocava la borghesia. D’altra parte la borghesia non poteva oramai più escludere le masse popolari dall’attività politica, se non instaurando un regime terroristico, col rischio di scatenare una guerra civile. “Lo Stato sono io”, proclamava Luigi XIV (1638-1715) contro la borghesia che avanzava pretese alla direzione politica. Prima dell’epoca borghese, nell’ambito dei vecchi rapporti di produzione, lo Stato era emanazione del monarca e questi deteneva il potere per volontà di Dio. La borghesia democratica aveva invece affermato che il potere appartiene al popolo, che lo Stato è emanazione, espressione e rappresentante del popolo, che lo Stato ha il compito di provvedere al benessere del popolo: è questo che lo legittima a comandare. Certo erano solo parole, idee. Ma, quando sono assimilate dalle masse, le idee diventano una forza materiale. Più il modo di produzione capitalista si era affermato liberamente sui vecchi modi di produzione, più le masse avevano assimilato queste idee. Ciò era stato un punto di forza per la borghesia nella sua lotta contro il vecchio regime, ma con lo sviluppo del movimento comunista era diventato un punto di debolezza. Riesce infatti la borghesia a gestire il suo Stato nonostante la partecipazione delle masse popolari? Dipende da come le masse popolari partecipano. Riesce la borghesia ad assicurare al popolo il benessere sia pure inteso nel modo ristretto in cui lo intende la cultura borghese? Esso dipende da vari fattori e la borghesia imperialista non li controlla sempre tutti in ogni paese. Tutti questi problemi si ponevano negli USA più acutamente che in ogni altro paese.

Stante la proprietà capitalista delle forze produttive, la collaborazione della massa dei proletari, pur resa necessaria dal carattere collettivo assunto dalle forze produttive e dall’importanza che la vita associata aveva assunto, non poteva realizzarsi nella forma dell’universale consapevole partecipazione alla gestione degli affari sociali: richiedeva quindi un vasto e articolato sistema di manipolazione, di corruzione e di repressione. Ciò è facilmente comprensibile se consideriamo l’ordinamento sociale capitalista nella sua forma pura, che il marxismo ha messo in evidenza. Nel capitalismo il proletario è giuridicamente libero, non -è legato né alla terra né ad alcun padrone. Egli può andare a chiedere lavoro nell’azienda dell’uno o dell’altro capitalista. Però non può essere libero rispetto alla borghesia nel suo insieme. Privo dei mezzi di produzione, egli è obbligato a cercare di vendere la sua forza-lavoro e a subire perciò il giogo dello sfruttamento. La borghesia ha bisogno della libertà del venditore e del compratore di merci, ma d’altra parte deve impedire che i proletari si coalizzino e riducano il loro sfruttamento sia elevando il loro salario al di sopra del valore della loro forza-lavoro sia riducendo il pluslavoro: la differenza tra il tempo effettivo di lavoro e il tempo di lavoro necessario a produrre un valore pari a quello della forza-lavoro. Quindi deve ostacolare la crescita della coscienza e dell’organizzazione della massa dei proletari. Se le è impossibile impedirla in assoluto, deve deviare e periodicamente stroncare e ricacciare indietro le organizzazioni e la coscienza dei proletari. Essa deve periodicamente rompere la sua legalità democratica. Ma questo la contrappone violentemente alle masse popolari. Crea una situazione da guerra civile. Se non basta minacciare la guerra civile, bisogna farla. Questo, oltre che essere dannoso per gli affari, per la borghesia è molto pericoloso. Quando la borghesia contrappone agli operai le armi, prima o poi anche gli operai si armano.

Con la controrivoluzione preventiva, la borghesia cerca di evitare di arrivare a quel punto. Un efficace regime di controrivoluzione preventiva impedisce che l’oppressione della borghesia sul proletariato e sul resto delle masse popolari e la loro opposizione sfocino nella guerra civile. Nella controrivoluzione preventiva la borghesia combina cinque linee di intervento (cinque pilastri che congiuntamente reggono ogni regime di controrivoluzione preventiva).

1. Mantenere l’arretratezza politica e in generale culturale delle masse popolari. A questo fine diffondere attivamente tra le masse una cultura d’evasione dalla realtà; promuovere teorie, movimenti e occupazioni che distolgono l’attenzione e l’attività delle masse dagli antagonismi di classe e le concentrano su futilità (diversione); fare confusione e intossicazione con teorie reazionarie e notizie false. Insomma impedire la crescita della coscienza politica con un apposito articolato sistema di operazioni culturali. In questo campo la borghesia rivalutò e ricuperò il ruolo delle religioni e delle chiese, in primo luogo quello della Chiesa Cattolica, ma non poté limitarsi ad esse, perché una parte delle masse inevitabilmente sfuggiva alla loro presa.

2. Soddisfare le richieste di miglioramento che le masse popolari avanzano con più forza; dare a ognuno la speranza di poter avere una vita dignitosa e alimentare questa speranza con qualche risultato pratico; avvolgere ogni lavoratore in una rete di vincoli finanziari (mutui, rate, ipoteche, bollette, imposte, affitti, ecc.) che lo mettono ad ogni momento nel rischio di perdere individualmente tutto o comunque molto del suo stato sociale se non riesce a rispettare le scadenze fissategli. Se nelle lotte rivendicative contro la borghesia le masse popolari conquistavano tempo e denaro, la borghesia doveva indirizzarle a usarli per la soddisfazione dei loro “bisogni animali”: doveva quindi moltiplicare e ha moltiplicato i mezzi e le forme di soddisfazione.(1)

3. Sviluppare canali di partecipazione delle masse popolari alla lotta politica della borghesia in posizione subordinata, al seguito dei suoi partiti e dei suoi esponenti. La partecipazione delle masse popolari alla lotta politica della borghesia è un ingrediente indispensabile della controrivoluzione preventiva. La divisione dei poteri, le assemblee rappresentative, le elezioni politiche e la lotta tra vari partiti (il pluripartitismo) sono aspetti essenziali dei regimi di controrivoluzione preventiva. La borghesia deve far percepire alle masse come loro lo Stato che in realtà è della borghesia imperialista. Tutti quelli che vogliono partecipare alla vita politica, devono poter partecipare. La borghesia però pone, e deve porre, la tacita condizione che stiano al gioco e alle regole della classe dominante: non vadano oltre il suo ordinamento sociale. Nonostante questa tacita condizione, la borghesia è comunque da subito costretta a dividere più nettamente la sua attività politica in due campi. Uno pubblico, a cui le masse popolari sono ammesse (il “teatrino della politica borghese”). Un altro segreto, riservato agli addetti ai lavori. Rispettare tacitamente questa divisione e adeguarsi ad essa diventa un requisito indispensabile di ogni uomo politico “responsabile”. Ogni tacita regola è però ovviamente un punto debole del nuovo meccanismo di potere.

4. Mantenere le masse popolari e in particolare gli operai in uno stato di impotenza, evitare che si organizzino (senza organizzazione, un proletario è privo di ogni forza sociale, non ha alcuna capacità di influire sull’orientamento e sull’andamento della vita sociale); fornire alle masse organizzazioni dirette da uomini di fiducia della borghesia, da uomini venali, corrompibili, ambiziosi, individualisti; impedire che gli operai formino organizzazioni autonome dalla borghesia nella loro struttura e nel loro orientamento.

5. Reprimere il più selettivamente possibile i comunisti. Impedire ad ogni costo che i comunisti abbiano successo: quindi che moltiplichino la loro forza organizzandosi in partito; che elaborino e assimilino una concezione del mondo, un metodo di conoscenza e di lavoro e una strategia giusti, che svolgano un’attività efficace; che reclutino, che affermino la loro egemonia nella classe operaia. Corrompere e cooptare i comunisti, spezzare ed eliminare quelli che non si lasciano corrompere e cooptare.

Con la controrivoluzione preventiva la borghesia cerca insomma di impedire che si creino le condizioni soggettive della rivoluzione socialista: un certo livello di coscienza e un certo grado di organizzazione della classe operaia e delle masse popolari, autonome dalla borghesia. O almeno impedire che la coscienza e l’organizzazione della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari crescano oltre un certo livello. Con la controrivoluzione preventiva la borghesia entra quindi in gara con i comunisti, contende loro il terreno della coscienza e dell’organizzazione delle masse, usando tutta la potenza della società che essa dirige. Finché la borghesia sopravanza i comunisti, la sua dominazione si mantiene e il suo ordinamento politico è salvaguardato.

Quale dei due contendenti vincerà? Sta ai comunisti sfruttare la superiorità della loro concezione del mondo e del loro metodo di lavoro, la loro identificazione con gli interessi strategici e complessivi delle masse, i punti deboli della controrivoluzione preventiva e della borghesia in generale. Quindi da questo lato, il successo della controrivoluzione preventiva non è affatto a priori garantito. Tutte le politiche e le misure che la borghesia mette in opera, sono armi a doppio taglio. La sua politica culturale truffaldina toglie credibilità a ogni autorità e a ogni “verità eterna” e contemporaneamente produce strumenti di comunicazione e di aggregazione. Le sue organizzazioni “gialle” possono esserle rivoltate contro, in particolare quando i loro risultati non corrispondono alle promesse. La repressione e la lotta contro la repressione suscitano solidarietà e introducono alla lotta politica. La partecipazione delle masse alla lotta politica più diventa autonoma, più obbliga la borghesia a creare sceneggiate politiche, a nascondere la vera politica: insomma rende più difficile alla borghesia gestire il suo Stato. Il benessere che la borghesia può accordare alle masse dipende dall’andamento dei suoi affari e dalla rassegnazione dei popoli oppressi allo sfruttamento. In definitiva sta a noi comunisti imparare a usare le politiche e le misure della controrivoluzione preventiva a vantaggio della causa dell’emancipazione degli operai e delle masse popolari dalla borghesia.

La controrivoluzione preventiva richiede che i comunisti vi facciano fronte con principi, metodi e iniziative appropriati, diversi da quelli adeguati a una situazione in cui lo Stato, oltre ad esserlo, si presenta anche come un corpo estraneo, ostile e contrapposto alle masse popolari. Con la controrivoluzione preventiva la borghesia è finora riuscita a impedire la vittoria del movimento comunista nei paesi imperialisti principalmente perché il movimento comunista non era ideologicamente abbastanza avanzato per farci fonte. In particolare vi è riuscita negli USA, perché il movimento comunista americano non è ancora riuscito ad elaborare una concezione del mondo, un metodo di lavoro e una strategia adeguati a superare quel regime e perché l’imperialismo americano ha per un lungo periodo succhiato risorse d’ogni genere dal resto del mondo. La controrivoluzione preventiva è lungi tuttavia dal garantire alla borghesia la sconfitta del movimento comunista e l’integrazione delle masse nel suo regime, come varie correnti disfattiste o militariste hanno sostenuto e sostengono. Essa ha solo segnato una nuova forma e una nuova fase, più avanzate e decisive, della lotta tra il proletariato e la borghesia.

A fronte del fallimento o dell’insufficienza della controrivoluzione preventiva, la borghesia imperialista dispone del ricorso alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Già essa trasforma normalmente ogni contraddizione tra sé e le masse, in contraddizioni tra parti delle masse: se chiude un’azienda, mette i lavoratori di una zona contro quelli di un’altra, ogni gruppo a difesa della sua azienda; analogamente quando licenzia, quando produce emarginati, quando produce delinquenti; ecc. Quando il suo Stato non è in grado di provvedere al benessere delle masse popolari, la borghesia deve mobilitare le masse a provvedervi a spese di un’altra parte delle masse o aggredendo, opprimendo, rapinando e saccheggiando altri paesi, popoli e nazioni: la mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Ma anche la mobilitazione reazionaria delle masse popolari è un’arma a doppio taglio. Se non raggiunge il suo obiettivo, se i paesi, popoli e nazioni aggrediti resistono efficacemente, la mobilitazione reazionaria può trasformarsi in mobilitazione rivoluzionaria.

 

 

Note

 

1. Nei paesi imperialisti, nel corso del XX secolo il movimento comunista ha strappato alla borghesia una riduzione importante dell’orario di lavoro: grossomodo dalle 12 - 18 ore giornaliere di inizio secolo alle 40 ore settimanali più ferie. Molteplici trasformazioni (dalle lavatrici, alla ristorazione, al prêt-à-porter, all’uso diffuso di macchine utensili e operatrici, all’uso domestico del gas e dell’elettricità, ecc.) hanno enormemente ridotto il tempo che la massa della popolazione doveva dedicare alle attività elementari del vivere (nutrimento, riscaldamento, vestiti, abitazione, igiene personale). Storicamente è la premessa materiale necessaria perché i lavoratori accedano in massa a una morale superiore a quella propria della condizione storica di “massa di manovra” delle classi dominanti e alle attività tipicamente umane, ossia alle attività della conoscenza e della creazione, che distinguono la specie umana dalle altre specie animali. Lo poteva essere anche praticamente, empiricamente, se la prima ondata della rivoluzione proletaria fosse arrivata ad instaurare il socialismo anche nei paesi imperialisti. Ma il movimento di emancipazione delle masse popolari dal tradizionale millenario stato servile si sviluppa gradualmente e sulla base dell’esperienza, superando gli ostacoli interni ed esterni che incontra. La borghesia ha tratto il suo vantaggio da questo. Operando in parte consapevolmente e in parte spontaneamente, per tenere le masse popolari dei paesi imperialisti lontano dalle attività specificamente umane ha riempito il loro “tempo libero” con l’estensione delle attività tipicamente animali: mangiare, bere, far sesso, riposarsi, oziare, svagarsi. Ha moltiplicato per le masse popolari le attività d’evasione e di divagazione e ha dato alla fantasia campi di applicazione avulsi dalla trasformazione della realtà. Nonostante il grande innalzamento del livello di coscienza e di organizzazione generato nelle masse popolari durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, anche nei paesi imperialisti per le masse popolari le attività tipicamente umane sono rimaste un fatto elitario: raggiungerle continua a richiedere un eccezionale sforzo individuale, cosa che mostra tutta la sua importanza nella costruzione del partito comunista, determinandone i tempi. La borghesia è così riuscita a rallentare (e in qualche misura anche a far regredire) il processo di emancipazione delle classi sfruttate e dei popoli oppressi e ad impedire che trasformassero il mondo secondo le potenzialità materiali ed intellettuali che l’umanità oramai possiede. Ma in questo modo ha anche accresciuto il contrasto tra le attitudini, la condotta, i comportamenti e le abitudini degli individui (dai comportamenti e abitudini ecologicamente compatibili, alle condizioni sanitarie, al ruolo nella produzione) e il ruolo che ad essi è richiesto perché la società moderna possa in qualche modo funzionare, riprodursi e svilupparsi. La devastazione dell’ambiente, l’inquinamento del suolo, dell’aria e dell’acqua, le malattie fisiche e mentali, i conflitti tra popoli e Stati, ecc. pongono problemi di fronte ai quali la borghesia è ridotta a lanciare allarmi terroristici e gridare alla sovrappopolazione del pianeta. Non potendo tollerare che le masse popolari assurgessero a una nuova vita caratterizzata da una disciplina consapevole e autogestita, essa si trova quindi ora di fronte all’ardua impresa di imporre loro una disciplina ancora del vecchio tipo servile, ma nelle nuove ben diverse condizioni. Berlinguer e altri revisionisti tristi ne erano ben consapevoli: austerità, rigore, ecc. sono diventate le loro parole d’ordine, avendo rinnegato le parole d’ordine dell’emancipazione, della rivoluzione, del socialismo e della formazione dell’“uomo nuovo”. Per la borghesia questa difficoltà si combina con le difficoltà che deve affrontare per far fronte alla crescente resistenza che le masse popolari di tutti i paesi oppongono al procedere della crisi generale del capitalismo e alla guerra di sterminio non dichiarata e per far fronte all’attività rivoluzionaria che è la parte più avanzata, per coscienza e per organizzazione, di quella resistenza. Sugli aspetti della realtà illustrati in questa nota, si rimanda anche al n. 0 di Rapporti Sociali della prima serie ( Don Chisciotte ), pagg. 16 e 17.

 


Manchette


Finché è dato per scontato (“pensiero unico”) che la globalizzazione è inevitabile, che le aziende esistono per produrre profitti, che le aziende funzionano bene solo se c’è un padrone, che l’economia è il campo d’esercizio dell’iniziativa individuale dei capitalisti, che l’iniziativa economica e la proprietà dei capitalisti sono la garanzia della libertà di tutti, che gli individui sono per natura cattivi e asociali eccezion fatta per i capitalisti e gli altri membri dell’elite, ecc., cioè finché l’unica concezione della società e del mondo che ha corso è quella borghese, la sinistra si distingue dalla destra solo perché vuole una globalizzazione senza “troppe” sofferenze, che le aziende tengano conto “anche” dei lavoratori, che l’iniziativa individuale dei capitalisti sia regolata da leggi moderatrici, ecc. Insomma affida i lavoratori al buon cuore dei capitalisti e vuole che i capitalisti siano buoni: cosa che non sempre l’andamento degli affari consente ai capitalisti, anche se individualmente fossero dei filantropi.

Quando a simile concezione borghese della società, un’organizzazione capace di farsi udire e di fare scuola contrappone apertamente e chiaramente la concezione comunista (la globalizzazione attuale è solo la libertà dei capitalisti di scorazzare per tutto il mondo, trafficare dovunque, saccheggiare ogni risorsa e sfruttare ogni attività: libertà che i capitalisti si sono nuovamente presi quando (a causa di errori che non ha corretto tempestivamente e di limiti che non ha superato a tempo) il movimento comunista si è indebolito; le aziende possono e devono diventare istituzioni sociali, enti destinati a produrre i beni e i servizi di cui si vuole disporre; il comportamento degli individui varia a secondo delle condizioni sociali in cui vivono; nel futuro la libera iniziativa degli individui si esplicherà al servizio della società, nella politica, nella cultura e nelle altre attività umane; ecc.), allora le forze in campo non sono più attirate da un solo polo (la destra borghese), smettono di aderire più o meno strettamente, più o meno cinicamente alla sua concezione. Incominciano ad essere attirate da due poli opposti. Ogni forza in campo si posiziona tra l’uno e l’altro. Gli equilibri incominciano a cambiare.