Martin Lutero - Supplemento al n. 3 de La Voce

02 Chi era Massimo D’Antona?

Comunicato
giovedì 16 maggio 2002.
 

[I commenti e i chiarimenti aggiunti dal curatore nel testo sono tra parentesi quadre. La titolazione, i corsivi, i neretti e le note sono del curatore.]

 

[2. Chi era Massimo D’Antona?]

Massimo D’Antona era un esponente di spicco dell’equilibrio politico dominante [EPD] e del progetto affermatosi come centrale nel rispondere agli interessi della BI in tema di governo dell’economia e di governo del conflitto di classe. Egli agiva da cerniera politico-operativa nel rapporto tra Esecutivo e sindacato confederale, è stato formulatore ed interprete della funzione politica del "Patto Sociale", un esponente dell’organismo neocorporativo nel suo rapporto con gli istituti storici della democrazia rappresentativa in Italia [Parlamento, ecc.], un interprete del ruolo antiproletario e controrivoluzionario della corresponsabilizzazione delle parti sociali e innanzitutto del sindacato nelle decisioni in materia di politica economica.

Il contesto creato dall’unificazione europea e il rinnovato interventismo militare teso ad assoggettare i popoli che resistono al dominio imperialista e a imporre l’ordine sociale del capitale rendono oggi ancora più necessari questi ruoli, sia per l’esercizio della funzione economica dello Stato sia per governare le contraddizioni sociali [governo dell’economia e governo del conflitto di classe].

Il "Patto Sociale" opera in specifico

1. per isolare e accerchiare le espressioni di autonomia di classe che non accettano la subordinazione degli interessi proletari agli interessi della BI [gli organismi proletari "irriducibili"],

2. per inglobare quelle componenti che, per superare i filtri che selezionano l’ammissione al tavolo delle trattative nella contrattazione capitale/lavoro o a un ruolo politico sul piano politico generale, mettono in atto un progressivo processo trasformista.

Per l’equilibrio politico dominante [EPD] l’accerchiamento delle prime e l’inglobamento delle seconde costituiscono due termini politici complementari entrambi necessari per assicurare la governabilità.

Il "Patto sociale" è un progetto politico che ha consentito, prima col governo Amato [1992] e poi con quello Ciampi [1993], di trasformare gli indirizzi degli organi statali del governo dell’economia in elemento attivo nelle contraddizioni di classe, grazie al contributo portato dal sindacato confederale che ha fatto leva sul suo radicamento reale e diffuso nel proletariato e ha condotto un’azione soggettiva di ricomposizione forzata del conflitto in termini neocorporativi, in dialettica con le dinamiche politiche in sede parlamentare.

Il sindacato confederale in questi anni ha assunto tutti i caratteri propri di un soggetto politico e si è occupato non più solo della contrattazione capitale-lavoro, ma anche dei nodi politici complessivi oggetto dell’attività dello Stato.

L’Accordo del ’93 [luglio ‘93 - governo Ciampi] fu infatti momento di ratifica di un processo di trasformazione dei soggetti coinvolti nel Patto e momento di assunzione da parte di essi di ruoli coerenti con l’azione di governo dei fattori critici dell’economia e del conflitto sociale e di classe. Ogni soggetto, e cioè Confindustria, Governo e Sindacati confederali, col Patto si impegnava a tenere una condotta in linea sia con gli obiettivi dell’accordo (contenimento dell’inflazione) sia con i contenuti dello stesso. Questi riguardavano sostanzialmente la struttura della contrattazione e le relazioni industriali. Il nodo era la subordinazione del salario all’inflazione programmata: con questa subordinazione il paese venne agganciato al programma di Maastricht.

In quelle circostanze, il governo (tecnico-istituzionale) aveva già una sua maggioranza programmatica che ne sosteneva le scelte; la Confindustria era il soggetto all’offensiva e assumendo un ruolo politico non faceva altro che continuare il suo attacco e le sue forzature; il sindacato era il soggetto che, per collocarsi sul terreno generale della negoziazione corporativa e svolgervi il proprio ruolo politico, doveva operare le maggiori forzature al suo interno e soprattutto nel corpo del proletariato. Lo confermarono la forte opposizione e la dura protesta anticonfederale all’Accordo del ’92 che si ebbe nell’autunno di quell’anno ["autunno dei bulloni"]. Il Patto per la politica dei redditi del ’92 fu il passaggio centrale che apriva la strada al più organico Patto del luglio del ’93. Contro di esso i Nuclei Comunisti Combattenti [NCC] hanno attuato l’attacco alla sede nazionale della Confindustria (Roma, 10 ottobre 1992). Con questo attacco essi proponevano la ricostruzione delle forze rivoluzionarie sulla base della ripresa dell’iniziativa rivoluzionaria.

Il progetto neocorporativo si è oggi qualificato come progetto dirigente. Si è oramai costituita una struttura (una sede) stabile ed articolata della politica neocorporativa che ha i compiti di

1. consolidare le forme di dominio della borghesia nel rapporto con il proletariato;

2. sostenere il carattere complessivo e generale dell’intervento dell’Esecutivo sulle materie di ordine economico-sociale, componendo gli interessi delle parti sociali in modo corporativo;

3. articolare una capillare diffusione della dinamica negoziale centralizzata, in funzione della competitività generale, per poter sfruttare i differenti vantaggi competitivi locali ma con allineamento sugli indirizzi centralizzati;

4. fornire maggiore garanzia di prevenzione e di controllo del conflitto sociale;

5. inglobare nella struttura, con il suo allargamento, i soggetti sociali non ancora presenti e socialmente rappresentativi, se necessario tramite regole e formule che li spingano a mettersi in riga.

Tutto ciò è teso a rendere più spedite, più facili, più efficaci e più coerenti le decisioni delle istituzioni e i negoziati tra le parti sociali.

Il progetto neocorporativo oggi si completa con l’elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica [13 maggio 99] e con il conferimento ad Amato del Ministero del Tesoro [fine maggio 99]. I due individui hanno svolto un ruolo storico nell’affermazione della politica neocorporativa e perciò rappresentano punti di unità politico-istituzionale su cui maggioranza e opposizione, pur con contraddizioni, possono convergere.

All’interno di questo quadro si è collocato l’incarico conferito a Massimo D’Antona, dapprima come esponente dell’Esecutivo nella definizione generale del "Patto per l’occupazione e lo sviluppo", poi come responsabile della sua sede stabile, il Comitato Consultivo sulla Legislazione del Lavoro.

Il Comitato ha la funzione di attuare le politiche neocorporative approvate con il Patto nel dicembre del 1998. Esso ha cioè la funzione

1. di istituire una consultazione permanente tra Esecutivo e parti sociali;

2. di occuparsi dell’adeguamento della legislazione italiana alle direttive europee;

3. di semplificare la legislazione e delegificare [abolire la regolamentazione per legge di alcune materie, affidandole alla "libera contrattazione delle parti"];

4. di rivedere le norme sul contratto di formazione-lavoro;

5. di potenziare l’apprendistato.

Il Comitato perciò tende a svolgere una funzione di pressione sul Parlamento, per accelerare l’attuazione del Patto e sostiene l’Esecutivo nell’esercizio delle deleghe su ammortizzatori sociali, incentivi e collocamento. Il compito del Comitato è tutt’altro che semplice date le contraddizioni sociali che la crisi, e in particolare il ciclo recessivo, generano. Perciò l’incarico di responsabile del Comitato definisce in un ruolo complessivo la funzione politico-operativa svolta da Massimo D’Antona sui principali problemi da risolvere per rafforzare e rendere capillare l’assetto neocorporativo e cioè 1. le regole della contrattazione, 2. le regole della rappresentanza, 3. le regole dello sciopero.