La Voce 30 - Lettere alla redazione

09.02 - Applicare sistematicamente la regola: “almeno il 10 per cento”

sabato 1 novembre 2008.
 

Cari compagni,

vi scrivo innanzi tutto per farvi i complimenti per il numero 29 di La Voce : esso infatti contiene analisi e indicazioni di lavoro di alto livello, molto utili per avanzare con passo più spedito nella trasformazione da FSRS a Partito e nell’accumulazione delle forze rivoluzionarie.

In questa sede, voglio soffermarmi su un aspetto particolare dell’articolo Il nostro compito principale: la propaganda del socialismo della compagna Rosa L. A pag. 30 lei dice “(...) i membri del Partito, della CP e di CdP, che lavorano in organizzazioni pubbliche, distinguano più nettamente il loro lavoro strettamente di Partito (CP e CdP), dal lavoro che compiono (come membri singoli, come CP e come CdP) nelle organizzazioni pubbliche. Ogni membro del Partito, della CP e di ogni CdP, deve dedicare una parte del suo tempo e delle rispettive risorse ed energie al lavoro strettamente di Partito (funzionamento dell’organismo di Partito, rapporto con il Centro del Partito, formazione, lavoro istituzionale dell’organismo del Partito, distinto da quella parte del lavoro istituzionale svolto tramite e nelle organizzazioni pubbliche). Non farlo, significa avere di fatto rinnegato o rinnegare di fatto la settima discriminante. Che sia anche solo il 10% del proprio lavoro, delle proprie risorse ed energie, ma deve essere nettamente distinto dal resto, benché influisca fortemente sul resto, decida del contenuto del resto. Il rafforzamento del rapporto con il Centro (corrispondenza, contributi alla stampa, note di lettura del MP, dei Comunicati e di La Voce , osservazioni e proposte, fornitura al Centro di informazioni e di documentazione) è l’indice dell’adempimento di questa linea.”

Il motivo per cui voglio soffermarmi su questo aspetto dell’articolo è perché mi riconosco appieno in questa critica, soprattutto per quanto riguarda la continuità e la regolarità del rapporto con il Centro clandestino.

Nella mia attività politica svolta al servizio del Partito tendo infatti a mettere in primo piano il lavoro legale che svolgo all’interno del Piano Generale di Lavoro (PGL) e a tralasciare il rapporto con il Centro. Oscillo tra alti e bassi nel curare la corrispondenza e l’interscambio con esso: in alcuni momenti centralizzo molto materiale e in altri momenti la corrispondenza diventa invece irregolare. Nei fatti mi faccio dirigere dai ritmi dettati dal lavoro legale anziché organizzare i vari compiti che svolgo dando la priorità al rapporto con il Centro.

Quando si fa anche il lavoro legale oltre a quello clandestino, come nel mio caso, esistono più varianti nella propria attività rispetto a quando si vive e si opera nella clandestinità. Un passaggio dell’articolo del compagno Dario B. Perché i comunisti devono studiare , pubblicato sempre sull’ultimo numero della rivista, a mio avviso sintetizza bene la differenza che esiste appunto tra chi vive e opera nella clandestinità e chi invece svolge sia il lavoro clandestino sia il lavoro legale: “(...) i clandestini non sono “tirati per la giacchetta” da mille interventi, telefonate, visite, iniziative, attività di ogni genere come chi lavora pubblicamente.” Questo in effetti è un problema reale, oggettivo. Sarei però ipocrita con me stesso e anche con il Partito se riducessi a questo aspetto le cause che mi portano a non curare con regolarità e sistematicità il mio rapporto con il Centro. In altre parole mi nasconderei dietro ad un dito anziché prendere “di petto” i miei limiti per avanzare nella trasformazione in comunista e contribuire ad un livello superiore alla lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Non ritengo infatti che la causa di questa mia irregolarità nella centralizzazione sia legata principalmente al fatto che sono “tirato per la giacchetta”. Questo, pur essendo un problema reale, non è la causa principale, che è invece di carattere ideologico: da un lato riconosco infatti la necessità e l’importanza strategica della settima discriminante (la natura clandestina del Partito), dall’altro però non traduco in modo coerente questo principio nel lavoro pratico, facendone guida per l’azione. Insomma, la causa principale di questo mio limite è da ricercare nella contraddizione Teoria/Pratica e non nelle “molte cose da fare”. Devo fare uno sforzo per rendere la Teoria effettiva guida per l’azione e conformare la mia azione alla Teoria.

Lo studio dello scritto di Lenin Partito illegale e lavoro legale , indicato nella nota 7 dell’articolo Il nostro compito principale: la propaganda del socialismo , mi è servito molto per comprendere con maggiore chiarezza il legame che unisce il lavoro clandestino con il lavoro legale e quindi per “riordinarmi le idee”: avete fatto veramente bene ad indicarlo. A mio avviso tutti i membri del Partito (sia di “nuova” che di “vecchia” data) dovrebbero studiarlo in maniera approfondita, senza limitarsi a leggerlo, seguendo i preziosi consigli dati, in merito al metodo di studio, da Dario B. nell’articolo Perché i comunisti devono studiare .

È applicando proprio questi consigli (in particolare l’indicazione di fare note di lettura e cercare la tesi principale in un articolo) che sono giunto a questa conclusione: la tesi principale dello scritto di Lenin è, a mio avviso, che il lavoro legale e il lavoro clandestino sono i due poli di una contraddizione. Essi si influenzano a vicenda. Dei due poli però dirigente è sempre il secondo, perché è solo attraverso il suo sviluppo che è possibile orientare nel giusto modo anche il lavoro legale che, in definitiva, deve essere funzionale al lavoro clandestino.

Una volta individuata questa tesi, ho cercato, sempre seguendo i consigli di Dario B., di unire il principio generale che essa esprime con il particolare, ossia con la mia esperienza pratica, ponendo particolare attenzione alla questione della centralizzazione, poiché, come detto, costituisce il mio principale limite per quanto riguarda l’attività di Partito.

Facendo questo processo e, quindi, facendo il bilancio dell’esperienza alla luce del principio espresso da Lenin, sono giunto a vedere con maggiore chiarezza una cosa (che prima di questo bilancio in qualche modo solo “intuivo” e intravedevo, senza però fissarla chiaramente nella mia testa): scrivere al Centro, facendo delle relazioni su tutta la mia attività, clandestina e legale, mi è molto utile per riordinare le idee, per fare il punto della situazione, per riflettere su quali aspetti sviluppare per avanzare e quali invece bisogna superare. Non a caso dopo ogni resoconto che faccio al Centro, ho sempre delle nuove idee, spunti. Allo stesso tempo, attraverso le relazioni sull’attività che ho svolto, metto il Centro in condizione di dirigermi poiché gli fornisco le informazioni di cui ha bisogno per fare analisi concreta della situazione concreta. Insomma: “il Centro è come un’industria chimica: riceve dalla periferia materiale grezzo, lo lavora e lo restituisce ad essa ad un livello superiore”. La periferia però deve mettere il Centro nella condizione di lavorare: deve centralizzare.

Ripeto, prima di questo bilancio in qualche modo “intuivo” tutto questo processo. Non ne ero però pienamente cosciente: ed era esattamente questo aspetto che non mi permetteva di mettere al centro della mia attività la centralizzazione e di condurla con regolarità. Adesso mi rendo infatti conto che per condurre un buon lavoro, sia esso legale o clandestino, non basta pianificare tutte le cose da fare se poi manca l’aspetto determinante e cioè la pianificazione del rapporto con il Centro.

Come dice giustamente il compagno Umberto C. nell’articolo Critica, autocritica, trasformazione (CAT) pubblicato su La Voce n. 28, non basta però riconoscere l’errore e ricercarne la causa (anche se questo è molto, molto importante). Bisogna anche pianificare un lavoro di rettifica, di trasformazione: altrimenti la nostra resta una “dichiarazione di intenti”, delle belle parole e propositi che alla lunga diventano frustranti.

La linea che ho elaborato, con l’aiuto del Centro, per superare questo mio limite nella centralizzazione è la seguente:

- prendere nota sistematicamente delle cose da centralizzare al Centro (siano esse informazioni o documenti);

- nell’arco temporale di due settimane dedicare al lavoro di stesura del rapporto per il Centro dieci ore (ho infatti calcolato che questo è il tempo che in media mi occorre per realizzare un buon resoconto), suddivise in due, tre giorni;

- mantenere il seguente ritmo di centralizzazione: un rapporto ogni 15 giorni, che deve trattare tutta l’attività che svolgo, rispettando la divisione per argomenti che mi ha indicato il Centro (lavoro nell’associazione x, lavoro clandestino, ecc.). Ovviamente ciò non toglie che in caso di urgenze o novità importanti che necessitano di essere trattare con una certa rapidità si realizzi anche un rapporto specifico sulla questione, scrivendo prima della scadenza dei 15 giorni che però deve essere sempre e comunque mantenuta (nel senso: il rapporto urgente su un aspetto particolare - lavoro straordinario - non sostituisce la relazione complessiva su tutta l’attività - lavoro ordinario).

Adesso non mi resta che continuare ad applicare questa linea con impegno e serietà, per prendere realmente “di petto” i miei limiti e avanzare nella trasformazione in comunista, grazie alla direzione del Centro. 

Mi auguro che questo mio contributo possa essere utile anche agli altri compagni che si trovano ad affrontare questi miei problemi e vogliono avanzare nella trasformazione in comunisti.

Viva il (n)PCI!Viva la CAT!

Faremo dell’Italia un nuovo paese socialista!

Alessandro di Trieste