Progetto di Manifesto Programma - Capitolo I

1.6. La seconda crisi generale del capitalismo e la nuova ondata della rivoluzione proletaria

martedì 29 agosto 2006.
 

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1.6. La seconda crisi generale del capitalismo e la nuova ondata della rivoluzione proletaria

Nei trent’anni (1945-1975) trascorsi dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale la borghesia imperialista ha infatti di nuovo esaurito i margini di accumulazione che si era creata con gli sconvolgimenti e le distruzioni delle due guerre mondiali. Dagli anni settanta il mondo capitalista è entrato in una nuova crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. L’accumulazione del capitale non può più proseguire nell’ambito degli ordinamenti interni ed internazionali esistenti, di conseguenza il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza dell’intera società è sconvolto ora in un punto ora in un altro in misura via via più profonda e sempre più diffusamente.

Apparentemente i capitalisti sono alle prese ora con l’inflazione e la stagnazione, ora con l’oscillazione violenta dei cambi tra le monete, qui con l’ingigantirsi dei debiti pubblici, là con la difficoltà di trovare mercati per le merci prodotte, un momento con la crisi e il boom delle Borse e un altro momento con 1a sofferenza dei debiti esteri e la disoccupazione di massa. Essi e i loro portavoce non possono comprendere la causa unitaria dei problemi che li assillano. Ma la sovrapproduzione di capitale produce i suoi effetti anche se i capitalisti non la riconoscono e anche se gli intellettuali che riflettono l’esperienza di quelli (sia pure alcuni proclamandosi marxisti e perfino marxisti-leninisti e marxisti-leninisti-maoisti) non ne hanno coscienza alcuna. I contrasti economici tra i gruppi imperialisti diventano nuovamente antagonisti: la torta da dividere non aumenta quanto necessario per valorizzare tutto il capitale accumulato e ogni gruppo può crescere solo eliminandone un altro.

In tutti i paesi imperialisti i contrasti economici tra la borghesia imperialista e le masse popolari stanno diventando nuovamente antagonisti. In tutti i paesi imperialisti la borghesia sta eliminando una dopo l’altra le conquiste che le masse lavoratrici avevano strappato o abrogandole (scala mobile, stabilità del posto di lavoro, ecc.) o lasciando andare in malora le istituzioni in cui esse si attuavano (scuola di massa, istituti previdenziali, sistemi sanitari, industrie pubbliche, edilizia pubblica, servizi pubblici, ecc.). Il capitalismo dal volto umano ha fatto il suo tempo. In tutti i paesi imperialisti la borghesia viene via via abolendo quei regolamenti, norme, prassi ed istituzioni che nel periodo di espansione hanno mitigato o neutralizzato gli effetti più destabilizzanti e traumatici del movimento dei singoli capitali e le punte estreme dei cicli economici. Ora, nell’ambito della crisi, ogni frazione di capitale trova che quelle istituzioni sono un impedimento inaccettabile alla libertà dei suoi movimenti per conquistarsi spazio vitale. La deregulation, la privatizzazione delle imprese economiche statali e in generale pubbliche, ecc. sono all’ordine del giorno in ogni paese imperialista. La parola d’ordine della borghesia è in ogni paese "flessibilità", cioè libertà per i capitalisti di sfruttare senza limiti i lavoratori.

Ciò rende instabile in ogni paese imperialista il regime politico, rende ogni paese meno governabile con gli ordinamenti che fino ad ieri avevano funzionato. I tentativi di sostituire pacificamente questi ordinamenti con altri, che in Italia si riassumono nella riforma della Costituzione, vanno regolarmente in fumo. In realtà non si tratta di cambiare regole, ma di decidere quali capitali vanno sacrificati perché altri possano valorizzarsi e nessun capitalista è disposto a sacrificarsi. Tra capitalisti solo la guerra può decidere. Infatti nelle relazioni tra i gruppi borghesi la parola non è più principalmente all’accordo e alla spartizione, ma è principalmente alla lotta, all’eliminazione e alle armi. Tentativi di ridurre l’espressione politica dei contrasti proprio perché questi crescono, espansione del ricorso delle classi dirigenti a procedure criminali ed a milizie extralegali e private, creazione di barriere elettorali, accrescimento delle competenze dei governi e degli apparati amministrativi a spese delle assemblee elettive, restrizione delle autonomie locali, limitazione per legge degli scioperi e delle proteste, ecc. sono all’ordine del giorno in ogni paese imperialista. Ogni Stato imperialista per ostacolare la crescita dell’instabilità del regime politico nel proprio paese deve sempre più ricorrere a misure che accrescono l’instabilità di altri Stati: dall’abolizione nel 1971 della convertibilità del dollaro in oro e del sistema monetario di Bretton Woods, alla politica degli alti tassi d’interesse e dell’espansione del debito pubblico seguita dal governo federale USA negli anni ’80, alle misure protezionistiche e di incentivazione delle esportazioni commerciali sempre più spesso adottate da ogni Stato, alla guerra che si profila tra i sistemi monetari del dollaro e dell’euro. "Mondializzazione" è diventata la bandiera che copre e giustifica le brigantesche aggressioni degli Stati e dei gruppi imperialisti in ogni angolo del mondo, la nuova "politica delle cannoniere".

La crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale ha dato luogo alla seconda crisi generale del capitalismo: una crisi economica che trapassa in crisi politica e culturale. Una crisi mondiale, una crisi di lunga durata.

La maggior parte dei paesi semicoloniali è diventata dapprima un mercato dove i gruppi imperialisti hanno riversato le merci che la sovrapproduzione di capitale rendeva eccedenti; poi un campo in cui gli stessi gruppi hanno impiegato come capitale di prestito i capitali che nei paesi imperialisti non potevano essere impiegati come capitale produttivo che a un tasso di profitto decrescente o che, se impiegati come capitale produttivo, avrebbero addirittura ridotto la massa del profitto; infine un terreno che i gruppi imperialisti devono invadere direttamente per farne un nuovo campo di accumulazione di capitale. I gruppi imperialisti razziano le risorse umane e ambientali dei paesi semicoloniali, li devastano e quindi ad opera compiuta li abbandonano e si trasferiscono in altri paesi. I paesi coloniali vengono ridotti nuovamente al rango di colonie, ma ora di colonie collettive dei gruppi imperialisti sicché nessuno di questi assume alcuna responsabilità per la conservazione a lungo termine delle fonti di profitto e di rendita. L’emigrazione disordinata di masse di lavoratori e una sequela interminabile di guerre sono le inevitabili conseguenze di questa nuova coloniazzazione.

Nella maggior parte dei paesi socialisti i regimi instaurati dai revisionisti moderni si sono trovati dapprima schiacciati nella morsa della crisi economica in corso nei paesi imperialisti da cui si erano resi dipendenti commercialmente, finanziariamente e tecnologicamente, quindi sono crollati rivelando la fragilità politica dei regimi stessi. La borghesia ha dovuto prendere atto che era impossibile restaurare gradualmente e pacificamente il capitalismo e ha precipitato questi paesi in un turbine di miseria e di guerra, aprendoli alla restaurazione violenta e a qualsiasi costo. Il sistema imperialista li ha ingoiati, ma non riesce a digerirli. Anzi essi hanno accelerato il procedere della crisi generale anche nei paesi imperialisti.

Tutto ciò viene creando una nuova situazione di guerra e di rivoluzione, analoga a quella attraversata nella prima metà del secolo. Il mondo deve cambiare e inevitabilmente cambierà: gli ordinamenti attuali dei paesi imperialisti e le attuali relazioni internazionali ostacolano la prosecuzione dell’accumulazione di capitale e quindi saranno inevitabilmente sovvertiti. Saranno le grandi masse, prendendo l’una o l’altra strada, a "decidere" se il mondo cambierà ancora sotto la direzione della borghesia creando ordinamenti diversi di una società ancora capitalista o se cambierà sotto la direzione della classe operaia e nell’ambito del movimento comunista, creando una società socialista. Ogni altra soluzione è esclusa dalle condizioni oggettive esistenti: gli sforzi dei fautori di altre soluzioni in pratica faranno il gioco di una di queste due soluzioni che sono le uniche possibili. Questa è la nuova situazione rivoluzionaria di lungo periodo che si sta sviluppando e nella quale si svolgerà il lavoro dei comunisti.

La borghesia imperialista può superare l’attuale crisi per sovrapproduzione di capitale e conquistarsi così un altro periodo di ripresa o con l’integrazione degli ex paesi socialisti nel mondo imperialista, o con la ricolonizzazione e un maggiore grado di capitalizzazione dell’economia dei paesi semicoloniali e semifeudali, o con una distruzione di capitale di dimensioni adeguate negli stessi paesi imperialisti, o con una qualche combinazione delle tre vie precedenti. Ognuna di queste soluzioni porta tuttavia anzitutto a un periodo di guerre e di sconvolgimenti, ognuna delle quali sarà ovviamente presentata alle masse nella veste più lusinghiera: di guerra per la pace, di guerra per la giustizia, di guerra per la difesa dei propri diritti e bisogni vitali, di ultima guerra. Ma l’esito di questo periodo e la direzione che prenderà la mobilitazione delle masse che in ogni caso si svilupperà, e che la stessa borghesia imperialista in ogni caso dovrà promuovere, sarà deciso dalla lotta tra le forze soggettive della rivoluzione socialista e le forze soggettive della borghesia imperialista. In definitiva il dilemma è o la rivoluzione precede la guerra o la guerra genera la rivoluzione.

Il movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della crisi della società borghese e i compiti delle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista, in "Rapporti Sociali" n. 12/13 (1992).

La classe operaia può infatti superare l’attuale situazione rivoluzionaria prendendo la direzione della mobilitazione delle masse popolari e guidandole alla lotta contro la borghesia imperialista fino a conquistare il potere ed avviare la transizione dal capitalismo al comunismo su scala maggiore di quanto è avvenuto durante la prima crisi generale. Questa è la via della ripresa del movimento comunista già in atto nel mondo, che ha i suoi punti più alti nelle guerre popolari rivoluzionarie in corso in alcuni paesi.