Cristoforo Colombo

La natura della nostra crisi e l’attuale posta in gioco

Capitolo 2° - La crisi del movimento rivoluzionario
martedì 15 agosto 2006.
 

2. LA CRISI DEL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO

La «crisi del movimento rivoluzionario» è diventata oramai un luogo comune. E’ un tema obbligato sia della borghesia e dei suoi portavoce tradizionali e nuovi, sia di molti esponenti del movimento rivoluzionario. In questo capitolo cercheremo di capire in cosa consiste questa crisi e cosa dobbiamo fare per uscirne.

-  La natura della nostra crisi e l’attuale posta in gioco


La natura della nostra crisi e l’attuale posta in gioco

Concludendo, negli anni 70 vi sono alcuni sintomi di situazione rivoluzionaria, crisi nella classe dominante, fermento tra le masse; ma manca quasi completamente l’elemento soggettivo.

Non si può dire, nè quindi ci interessa, se la presenza di elementi soggettivi diversi, quindi di una diversa attività politica consapevole da parte di un’avanguardia avrebbe potuto far prendere una piega diversa agli avvenimenti, togliere alla classe dominante la possibilità del recupero che attuò a cavallo tra gli anni 70 e 80 e quindi far precipitare la sua crisi.

Certamente se avessimo tempestivamente impegnato le nostre forze per passare al partito, avremmo potuto imprimere una piega diversa agli avvenimenti, giovandoci di tutte le forze che avevamo raccolto e che in larga misura abbiamo sprecato nella prosecuzione della «propaganda armata» e sotto i conseguenti colpi delle forze di polizia e delle organizzazioni politiche fiancheggiatrici del regime. Avremmo potuto «tirare per le lunghe», protrarre lo scontro, raccogliere nuove forze nella nuova situazione, evitare insomma la «serrata finale» che in quelle condizioni era solamente nell’interesse della borghesia.

Ostinandoci a proseguire nella «propaganda armata», ora chiamata «guerra civile dispiegata», nonostante essa fosse oramai superata, abbiamo lasciato che la borghesia riprendesse in mano l’iniziativa ed è impossibile dire come sarebbero andate le cose se l’avessimo mantenuta saldamente in mano noi.

Già la fase della «propaganda armata», fin che le bande ebbero l’iniziativa, ha mostrato a sufficienza che una politica rivoluzionaria (che non vuol dire solo un’azione politica che si serve della lotta armata, ma un’azione politica adeguata ai processi sociali in corso) modifica la situazione politica. Quindi non si possono predire i suoi esiti sulla base delle condizioni esistenti al suo inizio, come se essa fosse una cosa che si aggiunge alle altre, con un ragionamento del tipo «a parità di condizioni», ma solo comprendendo le modificazioni che essa produrrà nelle condizioni politiche esistenti e quindi, ancora una volta, avendo una concezione dialettica della società.

E’ ovvio che oggi, come dicono alcuni, «non si riesce a vedere» come la rivoluzione possa vincere in Italia. Semplicemente perchè, stante le condizioni di oggi, non può vincere. La politica rivoluzionaria è appunto la conduzione di un processo di trasformazione delle esistenti condizioni politiche in condizioni politiche nell’ambito delle quali la rivoluzione possa vincere. Se uno ci obiettasse che non si può masticare la farina di grano, gli risponderemmo che certamente è vero, ma che appunto per questo prima di masticarla la si impasta e se ne fa del pane (22).

Certamente è così se si considerano le condizioni di oggi. Ma oggi neanche in Italia è all’ordine del giorno la rivoluzione; è all’ordine del giorno solo la conduzione, nei modi a noi più favorevoli, del processo di trasformazione delle condizioni attuali che sappiamo bene non essere ancora favorevoli alla vittoria della rivoluzione. E non è forse evidente che man mano che il nostro lavoro per trasformare le condizioni politiche in Italia avrà successo (e lo avrà perchè è nel corso delle cose, se solo non ci rimettiamo a volerle incanalare in un corso diverso da quello loro proprio), proprio per gli stretti legami esistenti si modificherà anche la situazione politica degli altri paesi d’Europa e i legami stessi tra i vari paesi si modificheranno? Non sappiamo dire oggi come si modificheranno, che forma precisamente prenderanno. Ma è certo che si modificheranno. Nel senso che si creeranno condizioni per la vittoria della rivoluzione anche in altri paesi? Nel senso che la rivoluzione trionferà prima in altri paesi? Nel senso che gli Stati europei avranno ognuno talmente tanti problemi in casa propria da non essere in grado di intervenire all’estero? Nel senso che un intervento all’estero estenderà la guerra a vari paesi europei? Non lo sappiamo. Di sicuro anche l’evoluzione della situazione internazionale è una delle cose di cui dobbiamo tener conto nel lavoro per creare le condizioni per la vittoria della rivoluzione socialista nel nostro paese, che è poi un aspetto dell’internazionalismo proletario.

In realtà l’obiezione avanzata parte da una percezione giusta: la relativa unità mondiale creata nell’ambito del modo di produzione capitalista. Ma questo fatto ci porta, al contrario, a concludere che man mano si crea una situazione rivoluzionaria in uno dei paesi imperialisti importanti, inevitabilmente il comune corso delle cose crea situazioni anologhe anche negli altri paesi imperialisti. E’ solo la gravità e l’esito della crisi che possono differire da paese a paese, date le caratteristiche specifiche ancora esistenti dei movimenti dei singoli paesi in campo oggettivo e soggettivo. Ed è esattamente questo quello che ci mostra la storia delle società borghesi nella fase imperialista.

Il problema oggi non è se la rivoluzione può vincere, ma come si deve agire perchè si attui il processo di formazione delle condizioni per la sua vittoria.

La relativamente breve e debole azione delle bande negli anni 70, nonostante l’inesperienza, la debolezza dell’impianto politico e gli errori di concezione e di linea, oltre ad impedire l’affermazione del «compromesso storico» determinò una serie di trasformazioni nelle strutture della classe dominante, nel suo modo di gestire il potere e in tutte le altre formazioni politiche. Basta pensare a:

-  trasformazione delle strutture addette all’ordine pubblico e delle loro modalità operative,

-  creazione di corpi militari speciali e di speciali servizi di spionaggio,

-  creazione di magistrature speciali,

-  mutamento della legislazione sulla residenza, sulla locazione e la vendita di immobili,

-  mutamento delle procedure e dei regolamenti relativi al segreto bancario e in generale ai movimenti di denaro,

-  mutamento della legislazione relativa all’acquisto, possesso e porto di armi,

-  mutamento delle competenze tra i vari organi statali,

-  internazionalizzazione dell’attività di polizia politica e di magistratura speciale (spazio giuridico europeo),

-  pubblicizzazione della dottrina della Sicurezza Nazionale, le leggi d’emergenza e le leggi antiterrorismo,

-  difesa del movimento delle masse, che grazie all’azione delle bande potè in Italia svilupparsi più a lungo e più profondamente,

-  ridimensionamento sulla scena politica dei gruppi opportunisti e dei gruppi parolai,

-  compromissione palese dei revisionisti con lo Stato, perfino nelle loro strutture di base con il conseguente indebolimento delle stesse,

-  difficoltà a cavalcare le tigre delle lotte rivendicative da parte dei revisionisti e dei riformisti.

Niente nella vita politica italiana è più stato come prima e ancora non è tornato ad essere come prima! Chi rimpiange i tempi della sottomissione sordida e della pace dei cimiteri, dello smarrimento tra le masse e dell’onnipotenza della borghesia e dell’imperversare di gruppetti velleitari, ha ben da piangere!

Solo degli ingenui possono non comprendere che le trasformazioni delle strutture di potere e del regime politico, anche quelle introdotte solo come mezzo per eliminare le bande, ledono in realtà anche interessi costituiti di alcune parti della classe dominante a vantaggio degli interessi di altre e diventano inevitabilmente terreno e strumenti impiegati dalle cosche della classe dominante nella loro lotta intestina e quindi elementi di sviluppo delle contraddizioni nella classe dominante e quindi di forza per noi, se imbocchiamo la strada giusta.

Se le bande avessero fatto il salto qualitativo necessario, forse avrebbero potuto impedire l’inizio del periodo di stabilizzazione del potere che si è avuta all’inizio degli anni 80 sotto Pertini e Craxi nell’ambito dell’alternanza alla direzione del governo. Ma sicuramente si sarebbe trattato solo di una piega diversa degli avvenimenti, di un corso diverso, non di uno sbocco immediato diverso, della «vittoria finale».

La nostra è una lotta di lunga durata e l’idea di aver avuto l’occasione e averla persa, di avere avuto la vittoria a portata di mano ed essersela lasciata scappare è solo frutto di una concezione primitiva e infantile del movimento della società imperialista e dei nostri compiti.

Quindi se guardiamo le possibilità oggettive dell’iniziativa di allora, dell’iniziativa della bande, è evidente che non esisteva alcuna possibilità di conquista del potere, di sviluppo continuo di quel movimento delle masse, di quel «ciclo di lotte» fino alla conquista del potere. Chi sostiene il contrario, deve di conseguenza sostenere che era giusta la decisione folle e fallimentare di passare alla «guerra dispiegata» e quindi non può che spiegare la sconfitta che ne è derivata con l’onnipotenza, l’invincibilità e la solidità del regime (e quindi prosternarsi davanti ad esso).

In realtà, come hanno detto gli autori di Politica e Rivoluzione, con la fine degli anni 70 è finito «il periodo dell’infanzia della lotta armata per il comunismo». Gli anni 70 non sono stati che l’inizio di un lungo cammino! Ed è del seguito di quell’inizio, del suo successo o del suo fallimento, che si decide ora, in questi anni.

Resterà un’esperienza chiusa, priva di continuità e di sviluppo, come lo fu la Resistenza (grazie all’azione del gruppo dirigente del PCI e alla fase economica), o resterà nella storia come l’inizio di un percorso rivoluzionario, l’inizio della storia di un nuovo movimento rivoluzionario che si concluderà con il ribaltamento della situazione politica ed economica in Europa e di conseguenza nel mondo?

Questa è la posta in gioco oggi. Proprio per questo la borghesia nell’ambito della controrivoluzione preventiva ha oggi come obiettivo principale la spoliticizzazione della lotta armata. Proprio per questo vi è un’accesa e premiata corsa a soffocare quel germe: Curcio, Moretti, Balzerani in alleanza con Piccoli, Rossanda. La sproporzione tra l’entità delle organizzazioni combattenti residue e l’impegno di quei signori sull’argomento - soluzione politica - non è dovuta a passione maniacale. E’ la conseguenza dell’importanza storica della posta in gioco. Alcuni borghesi ne sono consapevoli e sono disposti a premiare chi collabora a risolvere il loro problema. La "soluzione politica" non è volta principalmente, come lo furono il "pentimento" e la "dissociazione", a smantellare le organizzazioni combattenti ancora esistenti, alla vittoria militare su di esse. Non è un’operazione prevalentemente poliziesca in senso tradizionale. E’ un’operazione poliziesca nel senso della controrivoluzione preventiva. E’ volta ad impedire che i protagonisti di quell’iniziativa ne tirino le lezioni in senso rivoluzionario. Quindi anche l’opposizione a quella manovra, non sta fondamentalmente, e quindi non sta solo e neanche principalmente, nel serrare le fila e buttare fuori quelli che oscillano, ma sta nel tirare le lezioni che servono ad avanzare, a fare il salto al partito e nel farlo!

La crisi del movimento rivoluzionario è il travaglio di questo parto che si prolunga oltre ogni dire. Non altro! E’ alla soluzione di questo problema che sono chiamati quanti sono fedeli alla causa del comunismo.