La Voce 6

Un pugno nell’occhio?

venerdì 31 novembre 2000.
 

di Umberto C.

 

La Commissione Preparatoria è consapevole che proponendo alle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista di costituirsi in Fronte per la ricostruzione del partito comunista che presenti proprie liste nelle elezioni politiche dei prossimi mesi, va contro luoghi comuni e “sacre verità” di alcuni dei gruppi che si proclamano rivoluzionari e persino comunisti, nel nostro e in altri paesi. In Italia in particolare l’uso controrivoluzionario delle elezioni che la destra del vecchio PCI ha fatto dal 1948 in poi ha reso molti comunisti allergici all’uso delle elezioni. “Chi si è scottato ha paura anche dell’acqua fredda”. Quindi la proposta della CP incontra e incontrerà molte obiezioni e resistenze che sarebbe sbagliato ignorare o accantonare. Il loro aperto esame è una parte importante dell’attuazione della proposta e di quel lavoro di raccolta e di formazione delle forze rivoluzionarie che è la sostanza del lavoro che la CP propone.

Consideriamo con la massima serietà il lavoro che i nostri vari “obiettori” svolgono e ci proponiamo di fare il possibile perché anch’esso confluisca nell’obiettivo della ricostruzione del partito e della mobilitazione rivoluzionaria delle masse. Quindi mi propongo di chiarire meglio che mi riesce i motivi della nostra proposta a tutti quelli che sono interessati a capirli e quindi hanno qualche considerazione per il lavoro che svolgiamo.

La proposta della CP è basata su due ordini di buone ragioni: da una parte l’analisi della situazione in cui si svolge il nostro lavoro e dall’altra il patrimonio teorico e l’esperienza del movimento comunista internazionale. I due ordini di ragioni in realtà si combinano tra loro, nel senso che anche l’analisi della situazione attuale è da noi condotta alla luce della concezione del mondo e dell’esperienza del movimento comunista e con il metodo materialista dialettico.

Fin dai loro primi passi i marxisti hanno parlato di movimento comunista in due accezioni distinte. “Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce il presente stato delle cose”, scrivevano Marx ed Engels nel 1846 ( L’ideologia tedesca ). E circa due anni dopo, nel 1848, nel Manifesto del partito comunista, ribadivano: “Le posizioni teoriche dei comunisti ... sono soltanto espressioni generali di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi”. Ma sempre nel Manifesto essi scrivevano anche: “Dal punto di vista della teoria, i comunisti hanno un vantaggio sulla restante massa del proletariato per il fatto che conoscono le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario”.

Quindi da una parte il comunismo è un movimento pratico compiuto dall’intera società capitalista. È la sostanza, il senso generale, il filo conduttore e la ragione delle lotte che si svolgono al suo interno, che appaiono assurde a chi non vede questa ragione e lo portano a disperare dell’uomo e a sperare in Dio. È un movimento oggettivo che procede incessantemente e si concretizza nell’acuirsi delle contraddizioni della società capitalista, nelle Forme Antitetiche dell’Unità Sociale cui la borghesia imperialista deve ricorrere per ogni verso, nei mille movimenti contraddittori di lotta che la percorrono e la devastano e, infine, nei movimenti comunisti consapevoli e organizzati e nei loro risultati. Questo movimento prescinde dalla coscienza dei suoi protagonisti e ovviamente i protagonisti di questo movimento per forza di cose sono i più vari.

Dall’altra parte il comunismo è un insieme di partiti aventi una ben definita concezione del movimento in corso e che partecipano a questo movimento di trasformazione della società capitalista con una linea e un metodo ben determinati, formati e verificati nel corso di 150 anni e che li distinguono da tutti gli altri partiti proletari. Si tratta di un movimento comunista cosciente e organizzato, riflesso intellettuale e sovrastruttura politica del primo. Esso è composto dai partiti, dagli organismi e dagli individui che condividono, applicano e sviluppano una concezione del mondo e un metodo di pensiero e d’azione che si chiama materialismo-dialettico, marxismo o marxismo-leninismo-maoismo. Questo secondo movimento comunista è la parte cosciente e organizzata del movimento comunista inteso come movimento pratico, di cui è la coscienza più vera che i suoi protagonisti hanno finora elaborato. A sua volta il movimento pratico è ben più vasto, multiforme e ricco della coscienza che di esso i comunisti sono finora riusciti a farsi. Il movimento comunista cosciente e organizzato ha conseguito nella prima parte del secolo che sta per finire in tanta parte della terra risultati così grandiosi e insperati che, nonostante il declino e la sconfitta subita da esso nella seconda parte del secolo, ancora oggi si dichiarano comunisti anche molti protagonisti del movimento pratico che ignorano o rifiutano gran parte, se non la totalità, del patrimonio teorico e dell’esperienza del movimento comunista cosciente. Si dichiarano comunisti anche compagni che, quando devono tracciare la linea da seguire per la soluzione dei problemi pratici che affrontano, non ritengono di alcuna utilità e non fanno alcun tentativo di basarsi sull’esperienza dei 150 anni di storia del movimento comunista e sul suo patrimonio teorico. Né la pochezza dei risultati ottenuti dai loro predecessori (infatti le loro concezioni generali sono tutt’altro che nuove, ma anzi accompagnano il movimento comunista pratico dai suoi inizi), né le sconfitte cui vanno incontro li hanno finora indotti a rivedere questo loro atteggiamento. Tanto pesa praticamente la sconfitta che il movimento comunista cosciente ha subito negli ultimi decenni e tanto è il discredito che su di esso hanno gettato non solo la sconfitta, ma l’abuso che ne hanno fatto per decenni i suoi revisori e i suoi sacerdoti, benché i motivi della sconfitta e dell’abuso siano oramai chiariti e non inficino in nulla bensì confermino la concezione del mondo e il metodo di azione e di pensiero che distingue i partiti comunisti dagli altri partiti proletari, anticapitalisti, rivoluzionari.

Noi siamo comunisti anche nel senso che ci rivendichiamo membri, eredi e continuatori del movimento comunista cosciente e organizzato; facciamo nostra e usiamo la concezione del mondo e il metodo di pensiero e di azione comunisti; usiamo l’esperienza del movimento comunista e analizziamo la nostra presente situazione alla luce di essa e col metodo materialista dialettico. Noi siamo membri del movimento comunista anche nel senso che ci riconosciamo nel patrimonio teorico del marxismo-leninismo-maoismo e facciamo tesoro dell’esperienza storica rappresentata dalle tre Internazionali. Non siamo di quelli che sostengono di essere comunisti, ma ignorano di fatto e spesso anche nelle esplicite dichiarazioni rifiutano l’esperienza e il patrimonio teorico del movimento comunista. La nostra linea politica, la nostra strategia e la nostra tattica discendono dall’analisi della realtà condotta alla luce del materialismo dialettico e con il metodo materialista dialettico. In questo senso ci distinguiamo da tutti gli altri protagonisti del movimento comunista pratico. Questo non ci preserva da errori, ma ci fornisce una buona guida per evitare di commetterne troppi e di troppo gravi e per correggerci da quelli che commettiamo. Ci si perdoni la presunzione, ma, come diceva già Marx 150 anni fa - e i fatti a lui hanno già dato abbondantemente ragione - noi comunisti “abbiamo una marcia in più”.

Anche la nostra proposta di oggi possiamo dimostrarla giusta solo con l’analisi della situazione attuale condotta alla luce di quell’esperienza e di quel patrimonio. È ovvio che la conferma definitiva della sua bontà può essere data solo dalla sua applicazione. Ma chi vuole avere a priori una conferma che si può avere solo a posteriori, chiede a noi qualcosa che nessun uomo ha in nessuna azione e che noi non possiamo dare. Noi chiediamo ai nostri lettori solamente di usare una scienza che ha già più volte dato buona prova di sé e di applicarla nella situazione in cui operano. Siamo convinti che essa porterebbe anch’essi alle stesse conclusioni cui noi li vogliamo condurre.

Quali sono gli insegnamenti, quale è l’esperienza del movimento comunista relativamente al problema di cui parliamo?

Incomincio con alcune citazioni di Lenin del 1909, un periodo di riflusso del movimento rivoluzionario di massa dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905-1906 e di rinnegamento del marxismo da parte degli intellettuali già rivoluzionari, un periodo in cui in Russia Stolypin l’Impiccatore governava per conto dello Zar, ma tollerava un movimento operaio legale. Mi sembrano citazioni pertinenti con il nostro problema. Le citazioni vanno contestualizzate, certo! Ma cito appunto queste e non altre perché dicono, meglio di quanto riuscirei a fare io, quello che voglio dire per la nostra situazione attuale. Basta sostituire il termine “difendere” con “costituire”; il termine “otzovismo” con “astensionismo” o, meglio, con “indifferenza alle elezioni” e con “deviazione militarista”; il termine “socialdemocratico” con “comunista”. E nello stesso tempo mostrano che i più grandi rivoluzionari hanno tenuto conto meticolosamente di tutti i fenomeni politici, hanno di fatto seguito la linea di massa, cercando di usare tutto quello che si prestava per la raccolta e la formazione delle forze rivoluzionarie.

Il nostro compito più urgente consiste nel difendere e nel rafforzare il partito. Nella realizzazione di questo grande compito c’è un aspetto di particolare importanza: è la lotta contro il liquidatorismo di destra e di sinistra. I liquidatori di destra affermano che non c’è bisogno di un partito clandestino (illegale), che il centro di gravità dell’azione socialdemocratica deve consistere esclusivamente o quasi esclusivamente nell’attività legale. I liquidatori di sinistra rovesciano la posizione: per loro nell’azione del partito le possibilità legali non esistono, per loro l’illegalità ad ogni costo è tutto. Gli uni e gli altri sono liquidatori del partito quasi in eguale misura, perché senza un sistematico e razionale coordinamento del lavoro legale e illegale (clandestino), nella situazione impostaci oggi dalla storia, sono inconcepibili la difesa e il rafforzamento del partito. ...

La lotta contro il liquidatorismo di sinistra è oggi altrettanto indispensabile quanto quella contro il liquidatorismo di destra. Il cretinismo parlamentare, per il quale tutta l’organizzazione del partito deve ridursi a un raggruppamento di operai intorno alle “possibilità legali” e in specie intorno all’attività nel parlamento, non è meno profondamente in contrasto con la socialdemocrazia rivoluzionaria di quanto lo sia l’otzovismo,(1) che non comprende l’importanza dell’attività legale per il partito, nell’interesse del partito. ... Noi non consideriamo mai le possibilità legali e la capacità di utilizzarle come un fine in sé. Infatti noi le colleghiamo sempre strettamente con i compiti e i metodi dell’attività illegale. Questo legame merita oggi particolare attenzione. ... In generale oggi non si deve parlare tanto del posto che la “attività legale” occupa tra gli altri settori di lavoro del partito, quanto invece del modo di utilizzare le “possibilità legali” con il massimo vantaggio per il partito. ... Difendere e rafforzare il partito è il compito fondamentale a cui ogni altro deve essere subordinato.” (Lenin, Comunicato della conferenza della redazione di Proletari, luglio 1909, in Opere vol. 15).

Questo per dire che sbagliano i compagni che oggi non considerano seriamente la questione dell’utilizzo in generale delle possibilità legali. Non tengono conto del nostro compito principale nella situazione concreta in cui lottiamo. Non tengono conto pienamente dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, come noi comunisti siamo impegnati a fare. Il reale stato d’animo di molti di essi è la sfiducia che nella situazione attuale e nell’immediato sia possibile raccogliere forze rivoluzionarie. Essi si sentono diversi, strani, isolati dalle masse che li circondano e di cui fanno parte: semplicemente perché essi non assumono tra le masse il ruolo che è necessario alla raccolta e alla formazione delle forze rivoluzionarie. Sono disposti a far propaganda e a lottare in varie maniere per un qualcosa che sperano sarà nel futuro, ma che sono convinti che non può essere oggi. Di questo stato d’animo tratta già l’articolo Il terreno è fertile del n. 5 di La Voce . Ma noi non possiamo lasciarci guidare da loro. E faremo qualsiasi cosa contribuisca alla raccolta, alla formazione e all’accumulazione delle forze rivoluzionarie.

La prima ondata della rivoluzione proletaria non è sorta dal nulla. Da una parte è stata preparata dall’evoluzione della situazione economica, politica e culturale della società e dal suo inarrestabile affondamento nelle sabbie mobili che il capitalismo comportava: questa preparazione è nuovamente in corso anche oggi. Dall’altra è stata preparata dal lavoro condotto, già nell’epoca imperialista, dai comunisti di allora, in particolare dai comunisti russi. Tener conto oggi della loro esperienza vuol dire anche trovare i modi in cui l’attività legale serve ora alla costruzione del partito comunista dalla clandestinità. Nel testo da cui ho tratto la citazione, Lenin affronta più concretamente il problema dell’utilizzo delle possibilità legali in una situazione appartenente ad un’altra fase dello sviluppo sociale rispetto alla nostra. Ma in quell’epoca la classe dominante era non meno repressiva della nostra e non a caso dava anche luogo a “risposte” politiche militariste da parte di altre correnti politiche differenti da quella comunista; e anche gli avvenimenti hanno dimostrato che quelle correnti sbagliavano, nel caso concreto e più volte anche dopo. Il ragionamento che Lenin fa per la sua situazione concreta serve a noi oggi per impregnarci profondamente della concezione comunista del movimento della società al fine di elaborare con essa, alla luce di essa, l’esperienza presente, in cui noi conduciamo il nostro lavoro. Anche allora nei paesi imperialisti il partito doveva essere clandestino: infatti solo i partiti clandestini riuscirono ad adempiere al loro compito. Anche allora, come oggi, anche nelle peggiori condizioni di repressione delle avanguardie e di sistematica e organizzata confusione, divisione, diversione delle masse saturate di trivialità, di superstizioni e di pornografia, bisognava sfruttare al massimo le attività legali, il lavoro aperto perché consentiva di raccogliere, educare e, combinato con il lavoro clandestino, creava una forza capace di far fronte alla borghesia.

Consiglio la lettura di quel testo e anche dei seguenti: Lenin, Risoluzione della conferenza della redazione di Proletari e Liquidazione del liquidatorismo (in Opere vol. 15) e di Il boicottaggio (vol. 11). Quest’ultimo è lo scritto dell’agosto 1906 in cui Lenin ragiona sulle condizioni concrete per cui bisognava abbandonare, nelle nuove elezioni del parlamento che lo Zar stava preparando, il boicottaggio, che era stata la tattica praticata nelle prime elezioni parlamentari all’inizio del 1906 - e Stalin nella Storia del PC(b)R (cap. 3, sottocapitolo 6) indica che Lenin riconobbe più tardi che anche il boicottaggio delle precedenti elezioni, quelle del 1906, era stato un errore dovuto a una comprensione non abbastanza giusta del movimento reale, mentre rivendicò sempre la giustezza del boicottaggio delle elezioni che lo Zar aveva convocato nel 1905.

Lenin basa il suo ragionamento del 1909 su una analisi precisa dei compiti del momento. Essa imponeva di salvaguardare, nel tremendo riflusso in corso, l’esistenza del partito clandestino, usando a questo fine anche le possibilità legali. Per noi si tratta di imparare ad usare (e di usare) anche le attività legali per costruire il partito comunista dalla clandestinità.

Noi non siamo all’inizio del secolo XX”, è giusto. Siamo all’inizio del XXI. Il compito principale e soprattutto il compito dirigente dei comunisti oggi, il compito a cui tutto il resto deve essere subordinato perché altrimenti è diversione delle forze dal compito principale, è la ricostruzione del partito, più esattamente la prosecuzione della costituzione del partito dalla clandestinità che abbiamo incominciato. Dobbiamo convogliare in questa direzione anche tutte le attività legali che le FSRS e i lavoratori avanzati svolgono. Di più. Dobbiamo usare le stesse propensioni sbagliate, destrorse, per “l’attività legale fine a se stessa”, per favorire la realizzazione del compito. Come concretizzare l’attività legale dei compagni che già oggi sono d’accordo con la settima discriminante? Come usare l’attività legale, l’attività “alla luce del sole” di tutte le FSRS, anche di quelle che non condividono ancora la settima discriminante, come indirizzarla tramite la nostra attività e facendo leva sulla “forza delle cose” in modo tale che anch’essa serva allo scopo che dobbiamo realizzare? Così noi comunisti dobbiamo porci oggi, responsabilmente, il problema.

Per noi politica rivoluzionaria vuol dire formazione del partito comunista, mobilitazione rivoluzionaria delle masse, rovesciamento del dominio borghese, instaurazione del potere politico della classe operaia che darà inizio alla fase socialista della società. La nostra posizione su ognuno di questi capitoli della politica rivoluzionaria l’abbiamo più e più volte già espressa. Rimandiamo in particolare al Progetto di Manifesto Programma e al n. 1 di La Voce . La proposta che avanziamo ora è parte integrante della politica rivoluzionaria che da tempo conduciamo. Essa è in assoluta continuità e coerenza con il lavoro svolto finora: la preparazione delle condizioni per la costituzione del partito, la pubblicazione del PMP, la costituzione della CP, la preparazione del congresso di fondazione. In una parola: con la politica rivoluzionaria di questa fase come noi comunisti la intendiamo.

La politica rivoluzionaria che noi intendiamo - e che è l’unica realistica - non ha nulla a che vedere con i vari illusori propositi di condizionare il capitalismo, di far capire (con le buone o con le cattive, con le contorsioni e gli ammiccamenti alla Bertinotti, con le parole o con gli attentati) ai capitalisti che devono moderare, nel loro stesso interesse, i loro appetiti. La nostra politica rivoluzionaria non si accontenta della destabilizzazione e dell’indebolimento del governo. La nostra è una politica per la sovversione completa non solo degli attuali ordinamenti politici, ma di tutti gli attuali ordinamenti sociali e delle idee ad essi corrispondenti e la creazione di una società senza classi tramite l’instaurazione del potere della classe che oggi col suo lavoro mantiene tutta la società, la classe operaia. Questa politica rivoluzionaria che noi perseguiamo è un compito che solo le larghe masse possono compiere e che le larghe masse sono in grado di compiere con la direzione del partito comunista, quale che sia l’astuzia, la forza e la ferocia della borghesia imperialista.

Noi comunisti siamo assolutamente contrari a tutte le teorie secondo le quali la borghesia imperialista sarebbe in grado di stroncare ogni movimento rivoluzionario delle masse. Perché sono teorie campate in aria, frutto del panico, dello smarrimento, dell’isolamento del piccolo-borghese, dell’influenza della borghesia. Se oggi ci lamentiamo della “scarsa partecipazione delle masse all’attività rivoluzionaria” è perché abbiamo visto e sentito di periodi ben differenti. E “la storia non è finita”. Che la borghesia aspiri a tanto è indubbio e così pure che lo tenti. Ma quanto a riuscirci, i 150 anni di storia del movimento comunista testimoniano che essa ci riesce solo quando noi comunisti commettiamo errori molto gravi e persistiamo in essi senza correggerci. Non aver fiducia nella vittoria della causa del comunismo, ridurre il comunismo solo a una fede coltivata nel proprio animo a motivo del proprio odio disperato per l’infame società di cui facciamo parte: questo è il primo e principale errore che oggi possiamo commettere. Non aver fiducia nelle masse popolari e credere che solo piccoli gruppi di rivoluzionari possono fare una politica rivoluzionaria è il secondo grave errore di questo periodo. Non impiegare a fondo le nostre modeste forze attuali per raccogliere tutte le forze che già oggi la classe operaia, il proletariato e le masse popolari ci possono dare è il terzo grave errore di questo periodo. Dobbiamo combattere questi errori, ogni manifestazione di questi errori. Non c’è bontà di intenzioni dei compagni, spirito di sacrificio di gruppi combattenti, eroismo nella resistenza al nemico di rivoluzionari prigionieri che giustifichi e renda accettabile l’ostinazione in questi errori che indeboliscono la nostra causa.

Ogni proposito di condurre la nostra politica rivoluzionaria grazie alla lotta, per quanto generosa ed eroica, di piccoli gruppi di rivoluzionari contro la borghesia imperialista è un non senso, un’illusione e una dispersione di forze. I compagni che nel nostro paese oggi si proclamano eredi delle Brigate Rosse perché si dedicano a compiere attentati, giustificano la loro azione con la scarsa partecipazione delle masse alla politica rivoluzionaria. Ed è vero che l’azione rivoluzionaria delle masse è oggi diventata poca cosa. Ma da questa comune constatazione noi tiriamo una conclusione diversa. L’azione rivoluzionaria delle masse può dispiegarsi in tutta la sua forza irresistibile solo se i comunisti arrivano a rimuovere alcuni ostacoli che la frenano e a costruire alcuni strumenti che le sono necessari. Questo sì che è un lavoro d’avanguardia che solo gruppi relativamente piccoli possono compiere e i comunisti sono ancora solo agli inizi del loro lavoro. Ma resta un fatto più volte dimostrato che le azioni degli individui, dei gruppi e dei partiti sono uno strumento efficace per cambiare la società capitalista solo se liberano e promuovono il movimento rivoluzionario delle masse. La borghesia imperialista si affanna ad assimilare noi comunisti a quanti si illudono di cambiare il mondo con qualche attentato. La confusione è un aspetto della controrivoluzione preventiva. Noi siamo certamente fautori della costruzione di organizzazioni clandestine, della formazione e dell’attività di cellule di rivoluzionari di professione e no, delle attività dei piccoli gruppi, perché sono il mezzo indispensabile per liberare e promuovere la mobilitazione rivoluzionaria delle larghe masse. Destabilizzare l’ordine attuale non è un nostro compito specifico: in linea generale esso si destabilizza da solo al punto che spesso gli avvenimenti sorpassano i destabilizzatori di professione. I gruppi reazionari possono accontentarsi di destabilizzare l’ordine attuale, perché essi hanno pronta, ben radicata nei normali e correnti rapporti sociali, la classe dirigente del nuovo ordine per cui lavorano, che è ancora la borghesia imperialista. Loro devono solo indurre l’attuale classe dominante a fare una politica diversa. Ma noi comunisti siamo in una situazione completamente diversa. La causa del comunismo può vincere, anzi prima o poi sicuramente vincerà. Ma essa vincerà perché la classe operaia, che gli attuali rapporti sociali pongono alla base della piramide sociale, arriverà invece a porsi come nuova classe dirigente e indirizzerà il complesso delle masse popolari alla eliminazione del potere politico della borghesia imperialista e alla trasformazione delle proprie relazioni sociali che oggi invece fanno capo alla borghesia imperialista. È già successo altre volte e succederà ancora perché è l’unica via per cui questa società può uscire dal tormento che la travaglia.

I compiti dei “piccoli gruppi”, delle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista e dei rivoluzionari prigionieri oggi si riassumono in un solo obiettivo: ricostruire il partito comunista. Qualunque progetto di liberazione dai mali del capitalismo e, a maggior ragione, qualunque progetto di liberazione dal capitalismo che non ha al suo centro, come suo obiettivo principale, la ricostruzione del partito comunista è un’illusione o un imbroglio. Ogni attività ha senso solo se è finalizzata a questo obiettivo. Certo, la ricostruzione del partito comunista è un cantiere composto di molte attività differenti. Ma ogni gruppo comunista oggi deve spiegare chiaramente a sé stesso e agli altri se e come l’attività che svolge e che propone fa direttamente parte di questo cantiere. La ricostruzione del partito non è solo un ideale da proclamare, una parola da appiccare alla propria denominazione. Deve essere l’obiettivo di un piano concreto di lavoro. Il giorno che quelli che effettivamente lavorano in questo cantiere si riconosceranno reciprocamente per quello che sono, il giorno che saremo riusciti a coordinare tra loro queste attività e ad attuare una divisione anche solo approssimativa delle attività tra quelli che lavorano in questo cantiere, quel giorno avremo di fatto compiuto un altro salto avanti nella ricostruzione del partito comunista.

Questa è una verità che la CP ripete da tempo e da tempo cerca di indirizzare la sua attività in conformità a questa verità. Dalla sua costituzione, la CP chiama le FSRS, i lavoratori avanzati e i rivoluzionari prigionieri del nostro paese a contribuire a realizzare questo primo, indispensabile, decisivo passo sulla strada per uscire dall’attuale crisi del capitalismo in modo favorevole alle masse popolari. Definire il Programma del partito e creare le organizzazioni clandestine del partito che terranno il congresso di fondazione: in questi due punti si riassume il piano di costruzione del partito che secondo noi va perseguito. E per quanto a noi risulta nessuno ha contrapposto un altro piano di costruzione del partito né ha fatto una critica sistematica del nostro. I singoli e inevitabili errori e limiti della nostra azione solo per gli opportunisti sono un buon motivo per lasciar cadere l’intero piano. Ma questo piano è in realtà composto di attività differenti, che mirano a raccogliere, a mobilitare e a far confluire in quei due obiettivi tutte le forze oggi già disponibili.

Come si pone questo compito oggi, nelle circostanze di questi mesi?

Nel giro di otto mesi la borghesia imperialista chiamerà le masse popolari a nuove elezioni politiche. I gruppi che la compongono chiameranno le masse a decidere chi di loro deve governare. Anche se circa il 30% degli adulti non va a votare, le elezioni generali sono un momento importante di mobilitazione dell’attenzione delle masse attorno ai problemi politici. Noi comunisti sbaglieremmo a restare assenti. Quali che siano le giustificazioni addotte: per noi le elezioni sono oramai una cosa superata, le elezioni indette e dirette dalla borghesia sono “storicamente superate”, più del 30% delle masse già non partecipa alle elezioni, “ci vuole ben altro per cambiare la società”, o altro del genere. Nella misura delle nostre modeste forze, dobbiamo approfittare per il nostro lavoro di questa mobilitazione politica di massa indetta e diretta dalla borghesia, come approfittiamo delle altre minori mobilitazioni di massa indette dalla borghesia, dai suoi partiti e dai suoi sindacati.

Oggi la campagna elettorale non è per noi un diversivo rispetto al nostro compito del momento (se così fosse, la propaganda dell’astensione, il boicottaggio o il non occuparci affatto delle elezioni sarebbero una giusta tattica).

Noi dobbiamo giocare a tutto campo. Non essere succubi e servi dei riformisti senza riforme e dei revisionisti (del PRC, dei DS e dei Verdi) non vuol dire stare nel proprio brodo, rifiutare di occuparsi dell’attività politica che le masse fanno (ci piaccia o no almeno il 65% delle masse popolari partecipa alle elezioni e gli astenuti sono un sintomo positivo del distacco delle masse dal regime, ma non ancora un successo per la ricostruzione del partito comunista) perché “siamo superiori a queste cose, siamo ben oltre queste cose”. Chi pone le cose in questi termini, apparentemente è contro i riformisti. A parole è contro i riformisti. In realtà lascia a loro il campo libero. Per chi credete che votino quelli “di sinistra” che vanno ancora a votare? Che cosa fanno gli ultrasinistri contro i riformisti “nelle elezioni”, se non lasciare campo libero ai riformisti e ai predicatori del meno peggio e del “voto contro la destra”? Noi non siamo l’ala extraparlamentare, l’ala combattente, l’ala sinistra, l’ala barricadiera, l’ala militante, l’ala “lottacontinuista” o “autonoma” di uno schieramento (di un blocco sociale antagonista, come quello che ora Bertinotti vorrebbe creare con i centri sociali e altro) che avrebbe i DS, il PRC o i Verdi come propri rappresentanti e portavoce nelle istituzioni. Tale si considerava persino una parte del “movimento degli anni ‘70”, che sperava l’insperabile dal PCI, che agiva come movimento di pressione sul PCI, sulla direzione del PCI. Noi siamo autonomi dalla borghesia di sinistra, apparteniamo rispetto ad essa al campo opposto. Noi occupiamo tutto il nostro spazio (che ovviamente è quello che è, ma sarà quello che riusciamo via via ad occupare). Scomparire durante le elezioni è un brutto servizio che rendiamo alla nostra causa e un piacere che facciamo ai riformisti e alla borghesia. Scomparire durante le elezioni vuol dire lasciare che “turandosi il naso” alcuni nostri potenziali amici votino per i riformisti, cioè si confermino nelle loro residue illusioni e che altri si disperdano nell’astensionismo anonimo. “Scomparire durante le elezioni” è quello che noi abbiamo in generale fatto nel passato. In questo nostro atteggiamento confluivano due cose diverse che ora si dividono. Una era l’incomprensione di un aspetto dell’attività politica dei comunisti (essere in ogni contingenza la parte più avanzata e cosciente delle masse). La seconda era la debolezza delle nostre forze che ci impediva di essere presenti con successo, senza lasciarci travolgere dal cretinismo parlamentare, ma ricavando forza per il cammino che stavamo percorrendo. Ebbene ora siamo un po’ meno deboli e possiamo prendere questa iniziativa con buone probabilità di successo. Quindi dobbiamo prenderla.

La partecipazione delle masse all’attività rivoluzionaria oggi è ancora scarsa. È vero. Da ciò alcuni compagni concludono: “Quindi bisogna andare avanti da soli”. Come da tempo sostengono gli anarchici, i blanquisti e altre correnti. Noi comunisti invece concludevamo e concludiamo: “Quindi dobbiamo usare le nostre poche forze attuali per conquistare una parte maggiore delle masse all’attività rivoluzionaria. La cosa è possibile e solo grazie a questa partecipazione di massa la nostra attività rivoluzionaria vincerà”. A questo scopo usiamo ogni nostra forza, ogni nostra iniziativa, ogni circostanza creata da altri. Per questo per noi comunisti oggi hanno grande importanza anche le elezioni politiche indette e dirette dalla borghesia se le usiamo per conquistare una parte maggiore delle masse a partecipare all’attività rivoluzionaria. Quando la partecipazione delle masse all’attività rivoluzionaria sarà maggiore, allora i nostri compiti saranno diversi. Allora la borghesia userà forse anche le elezioni per frenare o deviare il movimento delle masse e noi decideremo cosa fare sulla base delle nuove condizioni in cui allora lavoreremo. Ma oggi la partecipazione delle masse all’attività rivoluzionaria è poca cosa: non solo, ma anche le poche forze rivoluzionarie sono disperse tra le masse. La borghesia per motivi suoi richiama con la potenza dei mezzi del suo potere l’attenzione delle masse sui problemi politici: noi comunisti dobbiamo approfittare dell’effervescenza creata dalla borghesia per indicare alle masse la sola realistica soluzione politica dei loro reali problemi, per chiamarle a contribuire al primo passo di essa: la ricostruzione del partito comunista e per raccogliere le forze rivoluzionarie già oggi disponibili.

Alcuni compagni ci obiettano: “Oggi da noi le masse si ritirano disgustate dalle elezioni che i gruppi borghesi hanno trasformato in una fiera pubblicitaria, in un mercato di voti e in un aperto inganno del pubblico. Presentando anche noi una lista, non contrastiamo questa giusta tendenza delle masse?”. Il problema sicuramente esiste. Qua e là la borghesia userà la nostra partecipazione per dire che persino noi riconosciamo la sua democrazia; questo può confondere gli strati più emarginati e più all’oscuro delle cose. Ma consideriamo quali sono gli aspetti principali della situazione. Oggi da noi la borghesia indice elezioni perché fanno parte dell’ordinamento ereditato dal passato, ma soprattutto perché le elezioni servono a decidere, senza ricorrere a una aperta guerra civile, quali gruppi avranno la parte del leone nello sfruttare le masse. Solo secondariamente, solo in misura limitata, le elezioni contribuiscono anche a consolidare lo sfruttamento fatto dai gruppi imperialisti, a conferirgli agli occhi delle loro vittime l’autorevolezza della volontà della maggioranza delle masse, a trasformarlo in qualche modo da motivo di conflitto con i gruppi imperialisti in motivo di conflitto tra le masse e a imporlo senza bisogno di ricorrere alla coercizione: proprio perché, elezioni o non elezioni, solo una infima parte delle masse prende parte già oggi alla politica rivoluzionaria. Quanto a noi, oggi le nostre forze sono ancora così ridotte che non siamo in grado né di impedire alla borghesia di tenere elezioni sotto la sua direzione né di aumentare sostanzialmente per opera nostra l’astensione; tantomeno siamo in grado di sostituire alla mobilitazione elettorale indetta e diretta dalla borghesia una mobilitazione rivoluzionaria delle masse. Indipendentemente da noi le elezioni sono un momento di particolare concentrazione dell’attenzione delle masse sui problemi politici e quindi per noi sono un momento in cui, anche con le nostre poche forze, possiamo indicare alle masse la strada per risolvere realmente a loro vantaggio i problemi politici; possiamo conquistarne una parte maggiore alla politica rivoluzionaria, cioè alla ricostruzione del partito comunista; possiamo raccogliere collaborazioni, sottoscrizioni, consensi alla ricostruzione del partito comunista e diffondere la nostra parola d’ordine anche più in là di quelli che la raccoglieranno subito e che già nelle prossime elezioni si schiereranno con noi. Partecipare alle elezioni ci aiuta a orientare le masse che si staccano dal regime verso la mobilitazione rivoluzionaria, la lotta per il socialismo, la ricostruzione del partito.

Cosa significa il rifiuto di partecipare in queste circostanze alla campagna elettorale, l’incomprensione dell’importanza di questa campagna?

Una concezione schematica della lotta politica. Rifiuto di usare in ogni circostanza tutte le forme di lotta che la situazione consente e che ci sono utili per portare avanti la nostra causa. Infatti chi si opporrà a questa campagna?

Si opporranno alla campagna i compagni che reputano inutile o impossibile la partecipazione delle masse alla politica rivoluzionaria. Quelli che ritengono l’azione dimostrativa e l’esempio gli unici, o in ogni circostanza i principali, strumenti per l’educazione, mobilitazione e organizzazione delle masse. E queste sono concezioni palesemente contrarie alla concezione comunista e agli insegnamenti dell’esperienza del movimento comunista.

Si opporranno alla campagna i compagni che fanno dell’astensione dalle elezioni un principio, i compagni astensionisti di principio. In questo punto essi hanno una concezione della lotta di classe più affine alla concezione anarchica che alla concezione comunista. I comunisti non sono mai stati astensionisti di principio. Hanno sostenuto che occorre approfittare di ogni arma per accrescere la coscienza politica comunista, la mobilitazione e l’organizzazione delle masse.

Si opporranno quelli che sono contrari alla ricostruzione del partito o che concepiscono la ricostruzione del partito come la conclusione di un processo di ricostruzione di un “blocco sociale antagonista” o comunque di un vasto movimento di massa. Nella nostra situazione la costituzione del partito da parte delle FSRS è in realtà il primo passo per la costruzione di un vasto movimento di massa. Senza questo primo passo ogni proposito di costruzione di un “blocco sociale antagonista” è velleitario. Senza un centro di aggregazione e una direzione non si costruisce alcun blocco. Ogni aggregazione è impossibile senza un centro di aggregazione.

Si opporranno quelli che non hanno fiducia nello sviluppo in tempi brevi delle nostre forze. Abbiamo già dimostrato nell’articolo Il terreno è fertile di La Voce n. 5 che vi è la possibilità di sviluppare le nostre forze nel breve periodo.

Si opporranno quelli che praticano il politicantismo nelle nostre file: non pongono in primo piano la lotta per la ricostruzione del partito, ma la lotta tra le FSRS come gruppi di potere (ridicoli). Noi combattiamo questa posizione sotto qualunque forma essa si presenti. Noi dobbiamo contribuire ognuno al meglio delle sue forze e risorse a costruire il nuovo partito comunista e condurre una lotta di principio, non una lotta di gruppo o personalistica.

Si opporranno quelli che mascherano l’opportunismo (la collaborazione con i riformisti, non portare via voti al PRC) sotto parole e maschera rivoluzionarie. Perché alcune FSRS non osano nuocere ai riformisti (al PRC)? Perché alle elezioni regionali di aprile non hanno presentato una propria lista in Toscana? Eppure anche loro più e più volte hanno dichiarato che i riformisti non avrebbero concluso niente di buono per le masse popolari, come il corso degli eventi ha confermato. Dichiaravano cose di cui non erano convinti o non hanno il coraggio di trarre tutte le conseguenze logiche e politiche dalle loro stesse dichiarazioni?

Si opporranno quelli che mascherano le loro illusioni nella sinistra borghese (non disperdere voti, votare contro la destra) sotto parole e maschera rivoluzionarie. Perché questi, come i riformisti (PRC), non osano andare contro la sinistra borghese? Per non nuocere alle masse popolari? Ma essi stessi più e più volte e in numerose occasioni (dalla politica economica alla guerra contro la Jugoslavia) hanno dichiarato che la sinistra borghese svolgeva un’attività antipopolare. Mentivano quando facevano quelle dichiarazioni o sono ora costretti a rivelare la loro reale natura di reggicoda della borghesia, di strumento di subordinazione delle masse alla borghesia?

La chiave di tutto è capire che tra le masse popolari esiste una sinistra e che si tratta di trovare il modo di contattarla, orientarla, raccoglierla e mobilitarla. È essenziale non rassegnarsi al minoritarismo e al ghetto. La sinistra tra le masse esiste (nessuno di noi sa oggi quale dimensione ha, ma la campagna elettorale è appunto anche un modo per misurare le cose) e, se il partito, le FSRS, i lavoratori avanzati e i rivoluzionari prigionieri faranno un’azione efficace e giusta, la sinistra delle masse popolari crescerà per effetto del progredire della crisi, si raccoglierà attorno al partito comunista e diventerà una forza politica irresistibile. È già oggi evidente e dimostrato che la sinistra borghese (e la sua appendice, il PRC) non sono in grado di raccogliere la sinistra delle masse popolari e che essa si allontana da loro.

Procediamo a tentoni, ora attaccando il nemico su un lato e ora attaccandolo su un altro, ora affrontando il nostro compito da un lato ora da un altro? In una certa misura sì. Proviamo le varie strade, all’interno della via che la concezione del mondo e il metodo comunisti ci hanno portato ad individuare. Perché conosciamo ancora poco delle leggi del movimento politico dei paesi imperialisti, dello svolgimento della rivoluzione socialista in essi. Chi ostenta di saperne molto, bluffa. Molte cose sono cambiate nel comportamento e nella psicologia degli individui e delle masse da quando siamo entrati nell’epoca della rivoluzione socialista. La sociologia e le ricerche di mercato borghesi non ci forniscono indicazioni utili per la nostra lotta. Dobbiamo procurarcele lottando, attaccando sui vari fronti, avendo chiaro dove vogliamo arrivare (perché questo non è determinato dai comportamenti e dalla psicologia, ma dalla struttura della società che è quella capitalista e che a sua volta in ultima istanza determina psicologia e comportamenti), ma studiando cosa le nostre iniziative determinano nelle nostre file, nelle FSRS, nei lavoratori avanzati, nelle singole classi delle masse popolari (non dimentichiamo mai che la politica comunista è una politica di classe: in proposito segnalo gli articoli pubblicati sui primi 5 numeri del 2000 del mensile Resistenza ) e nel nemico. Oggi viviamo avvenimenti nuovi (il nostro paese è diventato meta di migrazioni, l’abbondanza illimitata di merci e di servizi accanto alle privazioni proprio per questo più atroci, l’emarginazione e l’esclusione fino alla morte di milioni di uomini e donne, di intere popolazioni): dobbiamo vedere come questo agisce sulle masse popolari in relazione alla nostra lotta e alla loro lotta per il comunismo. Chi dice di sapere già tutto, bluffa. Dobbiamo ricercare, provare e riprovare.

Le nostre forze sono certamente piccole, ma tutto è relativo. È quello che c’è oggi e si scontrano con forze della stessa scala. La borghesia imperialista ha dimensioni da gigante, ma ha programmi e idee da infanti; ha spazi di manovra ristretti, è un gigante che si muove in un appartamento di camerette. I “grandi” della borghesia imperialista non fanno che rimasticare sciocchezze mille volte già smentite dai fatti e ripetere assurdità infantili. E molti di loro lo sanno. “La crescita della produzione è l’unico rimedio ai guai attuali” ... creati proprio dalla crescita della produzione in ambito capitalista! Ecco il 90% della politica economica e della scienza economica della borghesia imperialista. Le nostre forze contano più di quello che sono e il risultato che si può conseguire con esse dipende principalmente da come si muovono. Quando una massa enorme è in equilibrio instabile, basta una massa molto piccola per farla precipitare. Da questo punto di vista le nostre forze hanno un vantaggio sulle forze alleate e nemiche: una più profonda assimilazione del materialismo dialettico, quindi una migliore comprensione della situazione, della natura dello scontro in corso tra le classi e dei passaggi di questo scontro, una concezione comunista della società e della lotta. Solo che occorre osare, osare, osare! È il momento di essere audaci e di provare a fare cose che non abbiamo ancora fatto.

A tutti i compagni, e in particolare ai rivoluzionari prigionieri, noi chiediamo quindi di partecipare alla campagna elettorale e contribuire col massimo delle loro forze a raccogliere le forze che già oggi esistono sparse tra le masse popolari e a incanalarle nella ricostruzione del partito comunista.

Umberto C.

 


 

NOTE

1. Otzovismo era la corrente di bolscevichi che nel 1908-1909 voleva che il POSDR rinunciasse al gruppo parlamentare perché il parlamento era dominato dai reazionari - venne chiamato Duma di Stolypin l’Impiccatore - e i parlamentari socialdemocratici si districavano male in quel pantano.